UNA
VITA PER IL PRESEPE
TRA
LUMINARIE E FUCINA
Costruiva
le architetture natalizie
e
le raccontava alle scolaresche, che
seguivano
avide e numerose le sue
lezioni.
Amava parlare e raccontare.
Lavorò
anche alla costruzione del
Palazzo
del Governo. Infaticabile,
severo,
inflessibile, si è spento con
le
note di un poeta.
Franco
Presicci
Quando conquistò la soglia dei 90 anni, parlando con un amico, disse: “Chissà se arriverò al secolo”. Antonio Mazzarano lo ha superato, andandosene a 104 anni. “E mezzo”, precisa il figlio Giuseppe, che di anni ne ha 71. “A quell’età gli spiccioli contano”. Ed entra subito nell’argomento senza aspettare la domanda, aggiungendo che il padre ha mantenuto viva a Taranto la tradizione del presepe. Parla in modo pacato, sottovoce, misurando le parole, avvolgendo l’interlocutore con uno sguardo benevolo.
Quando è nato i ragazzini giocavano per strada alla “livoria”, con la palla di pezza, “’o spezzìedde” o con le cinque pietruzze che si lanciavano a una a una in alto, le si riprendevano velocemente nella caduta, mentre si raccoglieva e lanciava un’altra rimasta a terra. Un gioco di abilità. La città presentava le ferite provocate dalla guerra e negli occhi della gente c’era ancora la paura dei bombardamenti e del suono lugubre della sirena che li annunciava. Diventato grande, Giuseppe, tredici, quattordici anni, non ha mai tirato calci alla palla imbottita di stracci, che i coetanei si confezionavano da soli. Il papà Antonio era severo ed esigeva che i sette figli rigassero dritto e loro, tutti e sette, gli obbedivano. Dalle parole di questo signore cordiale e molto ospitale si capisce la devozione e il rispetto che la famiglia nutriva per Antonio, che nella città dei due mari era stimato e amato. “Voleva che noi collaborassimo con lui, imparassimo la difficile arte del presepe, che a me ha riempito la vita”. Era intransigente e dava l’esempio. Infaticabile, “non si fermava mai. E non lasciava che qualcuno gli suggerisse di riposare un po’, di risparmiarsi”. Dava molto di più di quello che chiedeva.
Il Palazzo del Governo |
Il fiume Galeso |
Era di Massafra; ed era occupato come capo operaio, fabbro fucinatore, ai Cantieri Tosi, due passi dal fiume sacro, il Galeso, che scorre placido tra filari di alberi ad alto fusto. Dal Tosi passò all’Arsenale. “Era ricco di idee, inventivo, ingegnoso”, interviene Grazia Spataro, 47 anni, la bella, cordiale, simpatica nipote di Giuseppe, alla quale è affidata la gestione della “Casa del Presepe-Dmat” (Dmat sta per Ditta Mazzarano Antonio Taranto), di via Principe Amedeo. Lasciò l’Arsenale e si mise in proprio aprendo un’officina in via Cesare Battisti. Chiuse l’officina, acquistò una cassarmonica sgangherata e con l’aiuto dei figli la rimise in sesto. “Intanto aveva inaugurato un negozietto di statuine del presepe nel borgo antico, dove stava la mamma; ed è lì che alimentò la vocazione per i paesaggi natalizi.
Andava a farli nelle case, nelle chiese, ovunque lo chiamassero, coinvolgendo i figli, soprattutto Giuseppe e Luciano che tra l’altro ha realizzato un ponte girevole in dimensioni ridotte e perfettamente funzionante, collocato in bella vista nel Castello Aragonese. Personaggio di rilievo, Antonio, consacrato “re del presepe”. Nel laboratorio di via De Cesare, e battezzato il giorno in cui nacque Giuseppe, cominciò anche a confezionare stelle, grotte, montagne, scale, ponti, illuminazioni con lampade a forma di pisello… Poi anche a Taranto arrivò il “boom” dell’albero. Quando la moda si sgonfiò, tutti tornarono all’antico. E l’impegno di Antonio e dei suoi ragazzi si accrebbe. I concittadini lo sollecitavano e nascevano architetture con artigiani in movimento, cascate d’acqua, effetti di luci in dissolvenza: alba, giorno, tramonto, notte. Nel laboratorio, Antonio distribuiva gli incarichi, e tutti eseguivano fedelmente. Lui costruiva magie continuando ad esercitare il mestiere di fabbro, perché quando la Befana aveva portato i doni, attraverso la gola del camino, se c’era, chiudendo la parentesi della festa più attesa dell’anno, la famiglia doveva continuare a nutrirsi. Ma la passione non andava in vacanza. E i costruttori Antonio, Giuseppe e Luciano, e qualche altro fratello, tenevano corsi anche alle scolaresche, avide di apprendere. Spiegavano come nasce un presepe, in sughero, in cartapesta, in gesso, poliuretano, tutti i materiali che impiegavano in quell’arte. L’attività oggi continua.
E’ evidente la fiammella che Giuseppe si porta dentro. “Quando fai il presepe ti rilassi, non pensi ad altro, sei estraneo a tutto, i pensieri quotidiani sono lontani, il tempo scompare: sei così preso che non ti accorgi delle ore che passano, cominci la sera e finisci al mattino; sei lì intento ad allestire montagne, casette, a piantare alberi, cespugli, a erigere muretti, a montare recinti per le pecore, forni, castelli, laghetti, sentieri, a disporre i pastori, il guardastelle, il dormiente, presenti sempre in ogni presepe, e ti immedesimi, ti senti dentro quel mondo idilliaco che stai plasmando”.
Opera artistica di Mazzarano |
Un sogno fatto di simboli: l’acqua, la luce, il fuoco…, cioè la purificazione, l’amore, la palingenesi... Il presepe affascina, dà serenità, affonda il pessimismo. “Una volta a Taranto – dice Giuseppe – i presepi nelle case occupavano mezza stanza. Univa la famiglia. Padre, madre, virgulti, tutti si davano da fare per produrli. Ed era sempre una gioia”. C’era chi li arredava con rami di pino veri, erba e paglia vere; chi le statuine se le faceva da sé; e chi sullo scheletro in legno modellava carta da pacchi impregnata di acqua e creta. In via De Cesare, nel ’58, accompagnai l’indimenticabile Raffaele D’Addario, che era tornato a Taranto dopo aver fatto lo scenografo a Cinecittà e l’insegnante di disegno a Roma. Persona buona, intelligente, schietta, pittore e presepista. Li fabbricava in scatole di cartone. A casa, in via Cataldo Nitti, quasi all’angolo con corso Umberto, aveva un ampio locale con un bancone e cumuli di sughero. Il risultato finiva nella vetrina della drogheria del padre, in via D’Aquino. Comperava i personaggi dalla “Casa del presepe”, che ne aveva, e ne ha, anche in alabastro, in argilla grottagliese, in cartapesta romana trattata a Lucca, di scuola partenopea e siciliana, un Bambinello in cera che realizza cinque movimenti al ritmo di un carillon… e tutta la minuteria, vasi, secchi per i pozzi, fascine, pagliai, lampioncini, pollai…ciò che è necessario per addobbare quel mondo affascinante. Ha anche Madonne, schiere di “perdune”, carabinieri, vigili urbani che seguono le processioni della Settimana Santa e dell’Addolorata. Poi D’Addario abbandonò il sughero e avviò la serie dei presepi di carta.
Grazia Spataro e Giuseppe Mazzarano |
E intanto dipingeva quadri di fiori, paesaggi, utilizzando anche i gessetti. Una sera a una sua mostra in via Di Palma, vicino al negozio di scarpe di Protopapa, che creava opere con scampoli di pelli (un suo catalogo fu firmato da Piero Mandrillo), in pochi tratti mi descrisse Antonio Mazzarano: “Loquace, amava raccontare, aveva un carattere forte, era stakanovista, maestro indiscutibile, carico di umanità”. Oggi al timone della “Casa del presepe” c’è lei, Grazia Spataro, una giovane straordinaria che fa onore ad Antonio: tra l’altro va in Spagna per comperare le natività iberiche; corre in Germania, alle fiere, ai mercati, per fornirsi di innaffiatoi, lampade ad olio, cestini e altro in miniatura… La guarda con simpatìa e affetto, Giuseppe, che assieme ai suoi fratelli ha inventato la galleria del presepe tarantino, dove emergono anche figure di quello napoletano, tra cui il pizzaiolo, ieri presente soltanto negli allestimenti campani e, da quando la pizza ha espugnato altre città (a Milano è arrivata nel 1929 al ristorante Santa Rita), ovunque. Sul cavalier Antonio Mazzarano, classe 1912, c’è molto altro da dire. Per esempio, che lavorò all’edificazione del palazzo del Governo; tenne una ditta di luminarie per le feste patronali (quella di Cosenza e dintorni, soprattutto)… Il professor Antonio Fornaro gli ha dedicato alcune poesie in vernacolo. Una è intitolata “’Nu valente presepare”(che pubblichiamo in coda a questo articolo) con alcuni versi che recitano: “Ne cunzume de fatije/ tra sedore e receddije/ tene all’erte p’osce adije/ 'a cchiù bella tradizione…”. In un’altra, per festeggiare il suo secolo, “Cìend’ànne de sedòre e de fatìe, care cavaliere Mazzarane mjie…”. Ha lasciato sette figli (sei maschi e una femmina), tredici nipoti, 11 pronipoti.
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