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mercoledì 16 agosto 2017

Il sito su Facebook “Memorie tarantine”



CARTOLINE E FOTO D’EPOCA

 

SUSCITANO GRANDI EMOZIONI

 

Il tram sul ponte girevole

 


Accompagnano in un viaggio a ritroso

 

nella città di una volta, fra tram, carrozze

 

e tramonti magici sul Castello. Questa

 

perla non ha perduto la sua luce, anche se

 

ha qualche neo. Come tutte le bellezze.

 

                                               (Foto: collezione "Memorie Tarantine")




Franco Presicci


C’è un sito su Facebook che è una pregevole antologia d’immagini della Taranto di una volta: rinfrescano la memoria e suscitano nostalgia.

Il ponte sul canale
Su quei rettangoli di carta, foto o cartoline d’antan, riemergono il vigile urbano che troneggiando sulla pedana dirigeva il traffico, con i cittadini che il giorno della Befana deponevano ai suoi piedi pacchi-regalo per ringraziare il corpo del servizio reso; il tram che percorreva sferragliando il ponte di Porta Napoli o il ponte girevole con le braccia spalancate, mentre una folla s’ingrossava in attesa del via libera libera; le strade più famose; la facciata di un cinema chiuso da tempo con i brandelli di un manifesto strappato dell’ultimo film proiettato; la Sem, che ha lasciato soltanto il nome; le processioni dei Misteri e dell’Addolorata; gli stabilimenti balneari in viale Virgilio (“Lido Taranto”, “Elena”, “Nettuno”…), che rispuntano con Praia a Mare e Lido Bruno sul vialone per San Vito; gli oggetti in disuso non so più da quanto: “a frascère”, “’u scarfalìette”, ‘”u mòneche”, “’l’abbrustelatùre” … Qualcuno gioca con gli indovinelli, sollecitando chi ama pescare tra i ricordi luoghi, monumenti, targhe, personaggi... “Che via è questa?”, è la domanda che accompagna la cartolina d’epoca o la foto con il pallore dell’anzianità. E piovono numerose le risposte, giuste o sbagliate, segno dell’amore che tanti tarantini conservano per la città.
L'Arsenale
Chi vive lontano sfoglia con interesse e passione questo album che diventa sempre più folto; e in parte si consola alla vista delle paranze e delle lampare; “d’u chiùdde” che rammenda la rete; dei vicoli, dei nugoli di ragazzini che giocano all’aria aperta; dei negozietti, dei piatti copputi in terracotta colmi di frutti di mare (noci, vongole, ostriche, mitili, cozze pelose, “javatùne”, “spuènze”…), allineati su banchi a più ripiani, a scala. Faccio due passi su quell’interminabile strada molto trafficata che costeggiando “’u màre peccerìedde” va dalla discesa Vasto “’a Duàne d’u pèsce”, concludendosi in piazza Fontana, e vedo baluginare la figura di Francesco Miccoli, che trascorreva le ore ad aprire quelle delizie (un chilo mille lire) per clienti appassionati, tra i quali un grande intellettuale tarantino di Pulsano, Piero Mandrillo; e a “Pesce Fritto” e ai suoi giorni di gloria.
Queste immagini mi rimandano alla chiesa di “Sanemìnghe”, da dove nella Settimana Santa esce la Madonna. Tante volte ci sono andato da ragazzo, attraversando “’a vieremiènze”.

Taranto vecchia
Quasi settant’anni fa il parroco era don Stefano Ragusa, di Martina Franca; e il sacrestano “’u caggiàne”, uomo buono e simpatico detto così, benevolmente, per il modo di camminare. Il sacerdote trasformò in teatro una cappella sconsacrata per iniziare alle scene un gruppo di giovani aspiranti. Salivo i gradini della chiesa sempre con gioia, ammirando ogni volta, là in alto, il celebrato rosone. Fu solenne la cerimonia svoltasi nello stesso tempio fra una siepe umana in onore di un Crocefisso eseguito e donato da uno noto scultore, il cui nome mi sfugge. A volte preferivo sgambare sulla Ringhiera per fermarmi ad ammirare le imbarcazioni alla fonda in Mar Grande; e i veloci motoscafi che da lontano sembravano baffi d’cqua. E’ notevole il merito di “Memorie Tarantine”, che di memorie ne sforna a josa, non solo nelle vedute. Leggo Carmen Adamo, interprete brillante - mi dicono – di commedie dialettali con il suo gruppo “le Pizzecarìedde”, e ripasso la storia della mia culla e il mio dialetto, che mi è sempre caro. Sono curioso di sapere se siano tanti a farne uso o se anche questa preziosità sia rimasta soltanto nel cuore di pochi. Ero nel verde degli anni quando mi sedevo in platea, all’Orfeo, per godere le opere di Bino Gargano, Diego Marturano, Alfredo Nunziato Majorano… Di quest’ultimo, “’A stutàte”, rappresentata al cinema Dopolavoro Ferroviario, se non erro nel ’57. Accanto a me, Saverio Nasole esprimeva la sua approvazione con sorrisi lampeggianti. Il commento su “La Voce del Popolo” lo scrisse Antonio Rizzo, critico teatrale di grande cultura e severità, tanto da essere inutilmente chiamato a Roma da “La Voce Repubblicana. Niente avrebbe potuto estirpalo. Lo rivedo uscire dal Circolo Unione, con l’abito bianco, il cappello e il bastone. Fu lui a portare nel ’50 il Premio Taranto nei saloni adiacenti all’Istituto Talassografico, dove era direttore il professor Pietro Parenzan, che dipingeva i fondali del Mar Piccolo e mise in aldeide formica un pescecane a due teste appena nato, raro esempio – mi informò – di teratogenesi marina.

Altro angolo della città vecchia
Quella mostra, che attirò a Taranto pittori contemporanei famosi (da Cassinari a Pirandello, a Meloni) e critici d’arte autorevoli, come Marco Valsecchi, scatenò un putiferio tra i pittori locali, che preferivano Giotto e Velasquez. Nella mia testa lampeggiano anche i giorni della Fiera del Mare nella Villa Peripato; e della balena spiaggiata trasportata con un camion nella stessa oasi Beaumont, che ospitò anche un festival con grandi nomi della musica leggera: Joe Sentieri, che cantava “E’ mezzanotte”, facendo il saltello; Paolo Bacilieri, Nuccia Bongiovanni, Wilma De Angelis, Miranda Martino… Tra i giudici, Mario Casalbore, de “Il Corriere Lombardo”, quotidiano del pomeriggio di Milano da anni scomparso (ultima trovata pubblicitaria la ricostruzione nel salotto del capoluogo lombardo della famosa rapina all’oreficeria Colombo in via Monte Napoleone). Mario, che navigava sulle note da una città all’altra, scese apposta quaggiù, ritenendo la rassegna di suo gusto. Quante memorie dunque risveglia questo sito, che seguo quasi dalla sua nascita, apprezzando il clima che vi si respira. Mai impennate polemiche; mai interventi scurrili, o sfoghi pirotecnici o intemperanze. E sempre un linguaggio morbido, educato, per parlare della città dei due mari, delle sue vicende storiche, dei suoi nastri più belli: la vecchia piazza Maria Immacolata, nome voluto dall’arcivescovo Bernardi in anni agitati; via Di Palma, dove, proprio di fronte al cinema Odeon (altro capitolo del libro dei ricordi), s’incrociavano i binari di scambio dei tram.

Il Castello
Nell’una e nell’altra “Il Corriere del Giorno” ha avuto la sede dopo via Mazzini in cui lavorarono firme notevoli: Livio De Luca, Mario Ligonzo, Franco De Gennaro, Tani Curi, Domenico Casulli… Ed eccoci in via D’Aquino. Chissà quanti amori sono sbocciati in questa arteria; quanti sono andati in malora, e quante amicizie sono state coltivate o disintegrate. A migliaia facevano la ronda (rubo l’espressione a un grande della nostra poesia: Alfredo Lucifero Petrosillo) da un capo all’altro, chiacchierando, spettegolando, tirando scherzi mancini. Alcuni sostavano davanti all’edicola Fucci per leggiucchiare a scrocco i titoli dei giornali; altri curiosavano nella libreria Mandese, dove signoreggiava il cavalier Antonio, vero gentiluomo. “Qui abbiamo avuto in visita Raphael Alberti, Vittorio Sgarbi e tante altre personalità dell’arte e della letteratura”, mi disse un giorno Nicola, sempre garbato e premuroso.
Il fiume Galeso
Non lo sapevo, ma non mi stupivo. Rispolvero dunque il passato grazie a “Memorie tarantine“. Guardo cartoline e foto di Mimmo Di Todaro, Enrico Vetrò, Franco Scherma, Dino Pignatelli, Jole Sorrentino (Cuzzarùle tarandìne nel 1935; il ponte girevole aperto nel 1900; un braccio di questa meraviglia; il Castello Aragonese…)…, e compio continui viaggi a ritroso nel tempo. Nonostante le ferite, i drammi, le offese che questa nostra città ha dovuto subire, conserva gran parte del suo fascino. “La perla ha perduto la sua luce?”. La provocazione fattami a Milano da un tarantino renitente alle rimpatriate rimase senza risposta. Non la meritava. Per me ogni ritorno è un’emozione, e divento pellegrino tra le vie del borgo e quelle al di là del ponte, ascoltando la sonorità delle parole che sfuggono alle labbra screpolate d’“u chiùdde” o l’urlo “d’u cuzzarùle”; “Na, mo’ t’hà’ fàzze vedè accum’jè chiène, ‘sta còzze”. E fluiscono i versi di Majorano in “Tàrde vècchie mije” e quelli di Nerio Tebano, che a Roma sospirava Taranto e il Galeso. M’indignai alla battuta dello stesso tarantino radicato al Nord come l’edera al muro e la mosca al vischio. Per lui il fiume Galeso, era “un canale, tutt’al più un torrente”. Ah, se Orazio, Virgilio… potessero alzare la testa! Sacro, è il Galeso. Un luogo dell’anima, che dovrebbe essere più rispettato, e invece quando ci andai la prima volta trovai difficile arrivarci perché non c’era alcuna indicazione utile. Il Galeso è un vanto, come i colori che al tramonto si accendono nel cielo, ispirando tante tavolozze: magie di Taranto. Sì, è una regina, Taranto, nonostante certi spazi che avrebbero bisogno di qualche ritocco. Ogni bellezza ha il suo neo.




3 commenti:

  1. Ti ringrazio tantissimo per aver parlato del gruppo Memorie Tarantine.

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  2. Il gruppo "memorie tarantine" merita questo bell'articolo perché si è sempre mantenuto aderente alle regole dettate dal suo fondatore Danilo Fanigliulo, foto vecchie e nuove,motti e ricette tarantine,quesiti e storia della nostra città.

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  3. Sono lieto che il mio articolo vi sia piaciuto.

    Franco Presicci

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