SPLENDIDE ARCHITETTURE TESTIMONI DI UNA CIVILTA’
Cascina Linterno dove per 9 anni abitò Petrarca |
A Milano alcuni di questi
gioielli
sono stati azzannati
dalla ruspa,
qua e là di notte, per
evitare le
proteste della gente.
La loro storia
è stata scritta con i
sacrifici e il sudore.
Franco
Presicci
Molte cascine di Milano sono come certe “dame d’antan” che nella gloria dell’età conservano ostinatamente il fascino del tempo che fu. Quelle che non lo sono più hanno purtroppo le ossa rotte, sono gusci vuoti o offrono alloggio ad attività estranee alla loro destinazione originaria: qui uffici decentrati del Comune, come in via Passerini, a Niguarda; lì una carrozzeria... A Milano, nell’hinterland e in Lombardia è facile imbattersi in una di queste strutture rurali, anche nei borghi antichi ingoiati dalla città: a Greco come a Baggio.
Cascina Guardia di Sopra |
Cascina sul Naviglio |
In via Novara 340, s’impone per fascino e grandezza la Cascina San Romano edificata in più fasi nel XVI secolo. In via Bellaria 90, l’omonima Cascina sorge nel bel mezzo del parco di Trenno. In via Sant’Arialdo 17, la Cascina Anna, che, eretta agli inizi del ‘900 per volontà dei Visconti di Modrone, si lascia ammirare per le sue caratteristiche stilistiche. In via Mosca 82, dalle parti di Baggio, è situata la Molinello: In via Gallarate, la Merlata; al Gratosoglio la Chiesa Rossa e la Basnetto con i suoi vari corpi disposti attorno a un ampio slargo rettangolare. In via Melchiorre Gioia, la Cassina de’ Pomm, sfiorata dal Naviglio Martesana che a una decina di metri, gorgogliando, comincia a scorrere sotto traccia. In piazzale Cimitero Maggiore 18 la Cascina Torchiera, che deve il nome al lombardo “torcera”, stanza con il torchio del vino. A Peschiera Borromeo la Cascina Pescaccia, menzionata nella mappa del Claricio del 1600…
Altre architetture di questo tipo sono sparse lungo il Naviglio Grande: Guardia di Sopra, appartenuta ai Visconti; dirimpetto Guardia di Sotto, che vanta anche un oratorio, innalzato nel 1622 da Giovan Battista Pozzi e dedicato alla Vergine Maria (una testa di cavallo in terracotta troneggia sotto la grondaia sulla parete della stalla). Al Parco Lambro, la Cassinetta San Gregorio; a Rozzano l’ottocentesca Cascina Grande, trasformata in luogo di cultura, con una sala-convegno nell’ex fienile, e la biblioteca; a Porta Romana, la Cascina Cuccagna, così chiamata forse in omaggio a un albero da festa paesana issato nel cortile dell’osteria che una volta si apriva nel complesso. Ad Assago la Cascina Bazzanella, data di nascita XVII secolo. La quattrocentesca Cascina Resenterio a Locate Triulzi, con la vecchia pesa e la macchina per la pilatura del riso…
Altra cascina milanese |
Il fotografo Pietro Orlandi nel 1999 fece una lunga passeggiata da una cascina all’altra, puntando il suo occhio magico su quelle più notevoli, tenute con ogni riguardo. Riprese alcuni momenti del lavoro agricolo o zootecnico, gli attrezzi (vomeri, zappe, falci fienaie…); gli ambienti (brolo, stalla, portici, corti, loggiati della dimora del padrone, “caminate” (stanze del camino…), torri, fontanili, pozzi, chiese, campane, che scandivano i tempi della fatica e segnalavano gli eventi straordinari. Immagini bellissime, di ampio respiro. Realizzò anche panorami dall’elicottero: a Pavia, ad Abbiategrasso, a Vigevano, a Ronchetto delle Rane, a Mede Lomellina, persino sorprendendo rane intrappolate in una sorta di nassa e mondine genuflesse, le gambe affondate nell’acqua: scene da “Riso Amaro”, il film del ’49 di Giuseppe De Santis con Silvana Mangano, Vittorio Gassman, Raf Vallone.
Cappella Linterno |
E raccolse questi tesori fotografici in un libro ormai esaurito, il cui testo venne affidato al sottoscritto. Milano e la Lombardia sono dunque disseminate di cascine: nel 1288, nel suo “De Magnalibus Mediolani”, Bonvesin de la Riva le definisce “mansiones extraordinaree”, appunto per indicarne la loro abbondante “fioritura”. Purtroppo, alcune hanno subito i colpi del piccone, che in qualche caso ha operato di notte o nei mesi in cui il sole brucia e la gente è al mare o in montagna. Spesso la demolizione è stata decisa dal degrado, come per la cascina di via Cottolengo, alla Barona, già sfigurata dal tempo e dall’incuria. Il “De profundis” è stato recitato anche per la Cassinazza di via De’ Missaglia, nell’85; per la Cascina della Seta, a Quarto Oggiaro, azzannata dalle ganasce della ruspa nel ’91… E dire che questi manufatti sono testimonianza del secolare rapporto dell’uomo con la terra, quindi patrimonio da tutelare. Documenti rimasti per molto tempo sconosciuti le fanno risalire al X secolo, sotto forma soprattutto di depositi e fienili. Alcuni esperti ritengono che il termine cascina derivi dal latino “capsia”, ricovero per le bestie, o “casius”, cacio, formaggio. Nel Medioevo l’attività di questi luoghi ebbe un notevole incremento anche con l’allevamento dei bovini, quindi carne e latticini. Con il passare del tempo il settore, sviluppandosi, richiese nuovi locali atti ad accogliere le diverse fasi della produzione. Nella seconda metà del Seicento si inaugurò l’epoca della cascina a forma chiusa o a corte, per difendersi delle bande criminali incline al saccheggio e a ogni sorte di violenza; e per la decisione dei padroni di farsi costruire la propria dimora “in loco”, di solito su un lato o di fronte all’entrata, per esercitare un controllo più diretto sul lavoro nei campi. Che era organizzato razionalmente: ogni dipendente un compito preciso: il “bozzolone” preparava il cibo; lo “strapazzone” faceva di tutto; il “cavallante” governava i cavalli; il “camparo d’acqua” si occupava della rete d’irrigazione… Erano, questi, i lavoratori fissi, sempre in debito con il proprietario pur percependo poche lire e un piatto di minestra.
Ingresso di una cascina |
A loro si aggiungevano gli ”obbligati”, che dovevano correre in cascina per ogni necessità; e gli avventizi, che venivano liquidati quando non servivano, e alcuni di loro s’intruppavano tra i malviventi, facilitando le loro scorribande per la conoscenza che avevano dei luoghi. L’agricoltore lombardo è stato l’artefice della prima intensiva coltura del riso, nella quale, secondo antiche fonti, nel 1470, s’impegnò con risultati soddisfacenti, a Villanova in Lomellina, Galeazzo Sforza. Il suo esempio fu seguito da altri e alla fine del XVI secolo la risicoltura padana, grazie anche a terreni inondati artificialmente, prese ad eccellere in Europa. Intanto, faceva capolino il granoturco, gonfiando le tasche dei signori e fornendo di polenta le tavole povere con la conseguente propagazione della pellagra. Diffusi anche la vite, il gelso, che, probabilmente nel 1148, introdusse l’industria della seta per merito di un tale fra Daniele, degli Umiliati. Lodovico il Moro provvide a migliorare la produzione con i gelsi bianchi. Qualcuno ha scritto che la casa è il prodotto di una storia.
Cavallo in cascina |
La cascina è il contenitore in cui si snoda la vita e il lavoro.
La storia delle cascine è stata scritta dall’impegno, dai sacrifici, dalla ricerca di nuove risorse atte a strappare il meglio alla terra. Nella cascina il contadino viveva con i genitori, la moglie e i figli. Si alzava all’alba e andava a letto al tramonto. Quando lasciava il campo dopo ore di sudore pregava. E in tante lo si fa ancora oggi. Viene in mente Renzo Tramaglino, che, arriva a Greco, a Milano, e cerca qualche “cascinotto” in cui poter riposare. Memorabile un passo di Ferruccio De Bortoli, sulla plancia di comando de “Il Corriere della Sera” per due volte, intervallate da una direzione del “Sole Ventiquattr’ore”, in “Terre delle cascine a Milano e in Lombarfdia”, dell’editore-libraio Nicola Partipilo, barese trapiantato nel capoluogo lombardo una sessantina di anni fa: “Per vedere questi monumenti, basta percorrere da Milano, dalla darsena, la pista ciclabile del Naviglio Grande, che poi va su fino al Ticino, e a Sesto Calende. Si può non incontrare nemmeno un’auto. Oppure da Abbiategrasso scendere verso Bereguardo e magari puntare verso Morimondo. La sensazione è quella di un tuffo in una Lombardia antica, che alterna marcite e risaie, che allinea pioppi e gelsi…”, tra chiese e conventi, ville, castelli, cascine…. “Se si ha voglia, si raggiunge Albairate, dove alcune cascine sono di provenienza medioevale….”. I visitatori, sempre più assetati di verde, di quiete, di silenzio, restano estasiati di fronte a queste gioie dell’anima. Nella Cascina Linterno per 9 anni abitò Petrarca.
La storia delle cascine è stata scritta dall’impegno, dai sacrifici, dalla ricerca di nuove risorse atte a strappare il meglio alla terra. Nella cascina il contadino viveva con i genitori, la moglie e i figli. Si alzava all’alba e andava a letto al tramonto. Quando lasciava il campo dopo ore di sudore pregava. E in tante lo si fa ancora oggi. Viene in mente Renzo Tramaglino, che, arriva a Greco, a Milano, e cerca qualche “cascinotto” in cui poter riposare. Memorabile un passo di Ferruccio De Bortoli, sulla plancia di comando de “Il Corriere della Sera” per due volte, intervallate da una direzione del “Sole Ventiquattr’ore”, in “Terre delle cascine a Milano e in Lombarfdia”, dell’editore-libraio Nicola Partipilo, barese trapiantato nel capoluogo lombardo una sessantina di anni fa: “Per vedere questi monumenti, basta percorrere da Milano, dalla darsena, la pista ciclabile del Naviglio Grande, che poi va su fino al Ticino, e a Sesto Calende. Si può non incontrare nemmeno un’auto. Oppure da Abbiategrasso scendere verso Bereguardo e magari puntare verso Morimondo. La sensazione è quella di un tuffo in una Lombardia antica, che alterna marcite e risaie, che allinea pioppi e gelsi…”, tra chiese e conventi, ville, castelli, cascine…. “Se si ha voglia, si raggiunge Albairate, dove alcune cascine sono di provenienza medioevale….”. I visitatori, sempre più assetati di verde, di quiete, di silenzio, restano estasiati di fronte a queste gioie dell’anima. Nella Cascina Linterno per 9 anni abitò Petrarca.
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