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mercoledì 31 gennaio 2018

In Galleria del Corso, tempio della musica leggera


Pippo Baudo intervistato da Presicci
 
COMPARIVA L’ASTRO DI MIMMO
MODUGNO SEGUITO DAGLI
ASPIRANTI SENZA SPERANZA


Gli incontri con il grande maestro
Mascheroni, Jhonny Dorelli ,
Memo Remigi, Orietta Berti…

e gli attori Alberto Lupo, Gastone
Moschin, Rosario Borelli e tanti
altri nomi famosi.






Franco Presicci

Galleria del Corso
Due o tre volte la settimana, negli anni ‘60-70, i giornalisti che seguivano la musica leggera andavano in Galleria del Corso, dove erano concentrate quasi tutte le case discografiche. In quel passaggio, che, inaugurato nel 1926, congiunge corso Vittorio Emanuele e piazza Beccaria, convenivano cantanti già affermati ed esordienti in cerca di un’anima buona disposta a valutare la loro ispirazione. Uno dei primi che incrociai, nel ’63, si chiamava Nicola La Forgia, era di Trani e faceva il bigliettaio sulla “E”, l’autobus che dal Lorenteggio andava fino a piazza San Babila e oltre. Inventava canzoni napoletane e sognava il Festival di Napoli. Ma non riusciva ad aprirsi uno spiraglio.  Una mattina apparve l’astro: Domenico Modugno, che aveva già scritto “Lazzarella”, “’U pisciu spada”, ma soprattutto “Nel blu dipinto di blu”, che volava in tutto il mondo. Mimmo era espansivo, alla mano, lontano da atteggiamenti divistici, brillante, sorridente, di una simpatia unica. Ci conoscevamo già. Mentre l’ascensore saliva, gli mostrai un mio articolo su di lui che stavo portando alla Carosello; cominciò a leggerlo e, arrivati al piano, mi ringraziò dicendomi che lo avrebbe letto meglio stando seduto.. Lo rividi l’anno successivo a Campione d’Italia, al Festival del Clown dedicato a Grock, dove interpretò una canzone (credo “Un pagliaccio in Paradiso”). Frequentavo tutti gli uffici-stampa di Galleria del Corso, per avere notizie e dischi da recensire, allora sul quotidiano “L’Italia” e sul settimanale “La Tribuna del Salento”, confezionato a Lecce da Totò Vergari con interventi del professor Ennio Bonea.
Nicola Arigliano intervistato da Franco Presicci
Una mattina m’imbattei in Orietta Berti, accompagnata dal suo Osvaldo, e scambiai con loro un paio di frasi. L’avevo conosciuta, bella, affabile, un sorriso dolce, in un festival nelle Marche allestito da Lino Luceri, “patron” del concorso della “Donna Ideale”. Salutata Orietta, mi si avvicinò un’ugola triste che aspirava alla ribalta senza avere troppe speranze. Subito dopo m’imbattei in Jhonny Dorelli, all’anagrafe Giorgio Domenico Guidi, che già conduceva ottimi spettacoli televisivi e stava per partecipare al suo quinto Sanremo. Lo rividi ancora. Era gentile, scherzoso. Non dimenticherò mai l’incontro con il maestro Gian Vittorio Mascheroni, il grande musicista e compositore, autore di tante canzoni di successo: “Adagio Biagio”, “Stramilano”, da cui probabilmente ha preso il nome la maratona dei 50 mila, che si corre ogni anno da piazza Duomo alla ‘Arena, “Bombolo”, “Fiorin Fiorello”, “Il tango della gelosia”, “Addormentarmi così”, che nelle balere incatenava i giovani innamorati ed era spesso sulle labbra delle mamme. Mascheroni mi accolse con molta cordialità. Era un mito.
Galleria del Corso (interno)
Ero da poco a Milano e mai avrei pensato che mi sarei trovato a tu per tu con un personaggio così importante, tra l’altro cugino di Ada Negri. Bassino, con gli occhiali, era premuroso, puntuale nelle risposte alle mie domande anche sulla storia di Sanremo. Era stato al Conservatorio “Giuseppe Verdi”, ma si era fermato a metà strada, per cui gli avevano assegnato, per stima e affetto, il nomignolo di “maestro senza diploma”. Fu il compositore più poliedrico: realizzò musiche per il teatro, la rivista e colonne sonore per moltissimi film. Aveva iniziato la sua attività nel 1915 con “pezzi” per le sale da ballo. Non sopportando le limitazioni imposte dal fascismo, aveva preferito il silenzio, smesso dopo il 25 Aprile con “Il suo nome è donna”, “Una casetta in Canadà”, “Papaveri e papere”.
Una settimana prima di Sanremo i giornalisti venivano invitati dalle case discografiche, che facevano ascoltare in anteprima le canzoni in gara, distribuendo i propri dischi a ciascuno di loro.
Tony Renis con Franco Presicci
Nel ’62 arrivai in ritardo: Tony Renis, al secolo Elio Cesari, se n’era andato dieci minuti prima. Mi feci dare il numero e gli telefonai a casa. “Stai fermo all’apparecchio, ti faccio sentire la canzone accompagnato dal pianoforte”, mi ordinò Tony. “Quando quando quando” mi incantò. Al suo “Ti piace?” risposi che con quella composizione avrebbe vinto la rassegna. La battuta detta per caso si rivelò divinatoria. Tony fece il bis l’anno dopo interpretando “Uno per tutte” (Testa-Mogol-Renis). Per valutare i brani si era insediata una commissione d’ascolto presieduta da Vittorio De Sica e formata da Giovanni Mosca, Cesare Zavattini... In Galleria del Corso una mattina comparve Alberto Lupo, al secolo Alberto Zoboli, grande attore e autentico gentiluomo, che nel ’64 aveva tenuto inchiodato alle poltrone milioni di telespettatori recitando il ruolo di dottor Manson ne “La Cittadella” tratto dal romanzo di Cronin. Parlammo della sua attività (aveva anche inciso 45 giri di poesie) e alla fine, essendo ora di pranzo, mi fece salire in macchina e mi portò fino a casa. Arturo Testa, che tuonava in “Io sono il vento”, andai a trovarlo nel suo negozio di dischi, in viale Papiniano. Era un tantino sostenuto, ma cortese. Pippo Baudo, che avevo rivisto in un festival a Miradolo Terme, per un’intervista sul quotidiano “L’Italia”, mi dette appuntamento nella sua camera d’albergo nei pressi di corso Sempione. Era perseguitato dalle telefonate. “Fino a ieri non mi chiamava nessuno; adesso che sto per sfondare non mi lasciano in pace”. Pippo è un giocherellone, coltissimo soprattutto in storia e ama il Corvo rosso di Salaparuta.
Ernesto Calindri intervistato da Franco Presicci
Avevo appena imboccato la Galleria, dopo una lunga conversazione con Ernesto Calindri, attore egregio e persona distinta, nello studio della sua abitazione allora in via Statuto, quando incrociai Rosario Borelli, attore di cinema e di fotoromanzi su “Bolero film” e altri periodici, i cui lettori lo amavano alla follia. Nel ’53 era stato nel “cast” di “Napoletani a Milano”. Lo avevo conosciuto a Taranto, non ricordo se in occasione di un film girato appunto nella bimare con interpreti Antonio Cifariello, Alberto Bonucci e Nik Pagano. Avevo con lui una certa confidenza. Quel giorno lo trovai amareggiato, essendo stato da tempo arruolato in una grossa casa cinematografica, che non lo faceva lavorare. “Evidentemente mi hanno preso per evitare che altrove potessi fare fare ombra a Maurizio Arena”, Maurizio Di Lorenzo, noto soprattutto per la trilogia di Dino Risi: “Poveri ma belli” del ’56, con Marisa Allasio e Renato Salvatori”; “Belle ma povere”, del ’57, con Renato Salvatori, Marisa Allasio, Lorella De Luca”, “Poveri milionari”, del ’59, con Renato Salvatori, Sylva Koscina… Negli anni ‘60 Arena riempì le cronache di tutti i giornali non solo italiani per la sua storia d’amore con Maria Beatrice di Savoia, detta Titti, terza figlia di re Umberto e della regina Maria Josè. Fu in Galleria del Corso che avvicinai Memo Remigi,
Memo Remigi
spassoso, ironico, divertente, coinvolgente. Sarà stato nel ’67, e stava per andare a Sanremo per la prima volta. Vi tornerà nel ’69 e nel ’73, con Sergio Endrigo, imponendosi con “Dove credi di andare”. Di Memo si ricordano la sua attività teatrale e di bravissimo conduttore televisivo, oltre alle sue presenze come autore a diverse edizioni dello “Zecchino d’oro”, e ovviamente le tante canzoni trionfanti, come. “Innamorati a Milano”, che è stata la sigla di un programma tivù. L’ho rivisto a Martina un paio di anni fa alla festa per gli 80 anni della Rotonda, organizzata da Antonio Rubino. Insomma si andava in Galleria del Corso, a due passi dalla Rinascente, dalle piazze San Babila e Duomo e da piazza San Carlo, per interviste a cantanti, maestri, attori… In Galleria m’incontrai per un’intervista con Gastone Moschin, attore simpaticissimo e persona gioviale ed elegante. Vidi passare Walter Chiari, che poi intervistai a Chiesa di Valmalenco, dove si trovava per una serata con la sua compagna Patrizia Caselli, dolce e bella.
Franco Presicci, Patrizia Caselli e Walter Chiari
Impareggiabile Walter: durante ta la conversazione sfornò una battuta dietro l’altra. Una sera lo avevo cercato al Teatro Nuovo, dove era impegnato in uno spettacolo, e non lo avevo trovato. A mezzanotte una telefonata a casa. Era lui. “Scusami, ero impegnato in un affare di Stato”. A Chiesa gli domandai: “Ti ricordi quando una ventina di anni fa mi chiamasti?…". “E mi rispondi adesso?”. Spuntava l’epoca dei capelloni. Mi si avvicinarono quattro ragazzi dalla testa cespugliosa che non avevano potuto sostenere gli esami all’università, perché il docente non accettava che nel tempio della cultura gli allievi si presentassero così conciati. Quattro pagine su un noto settimanale che vendeva un milione di copie la settimana la notizia le meritava, e cedetti alle sollecitazioni di Alberto Tagliati, una vecchia volpe sulla plancia di “Stop” e poi di “Grand’Hotel”.
Qualche giorno fa sono tornato in Galleria del Corso, per fotografarla. Ha cambiato aspetto, come tutto quello che ha attorno. C’è ancora il bar “Le tre Gazzelle”, dove tanti anni fa gustavo la granita con il questore Vito Plantone. Mi sono ricomparse le figure di allora: gli artisti, i colleghi che gestivano gli uffici-stampa, il maestro Pino Calvi, i giovani aspiranti che non hanno trovato la strada desiderata. E ho ricordato le ugole frequentate a Sanremo, come Annarita Spinaci, che trionfò con “Quando dico che ti amo” (presidente della giurìa Ugo Zatterin); Claudio Vitta, che mi telefonò in albergo alle 2 di notte per dirmi che era morto Luigi Tenco, con cui avevo parlato nel pomeriggio; Orietta Berti che nello stesso anno mieteva successo con “Io, tu e le rose”, citata da Tenco nel suo ultimo biglietto; i critici Mario Casalbore, del “Corriere Lombardo”; Vincenzo Buonassisi, del “Corriere della Sera” (prima di dedicarsi alla gastronomia), Aldo Locatelli, de “L’Avanti”, autore, con Piero Trombetta, di “Kriminal Tango” . Come non provare nostalgia anche per gli anni lontani?


















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