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mercoledì 3 gennaio 2018

Pezzi di Milano di un tempo




IL CANALE MARTESANA PALPITA

SFIORANDO UN’ANTICA CASCINA


Era la “Cassina de’ pomm”, che ospitò Napoleone, Casanova e
La vecchia “Cassina de’ pomm”

qualche volta il vicerè

Raineri. La frequentava

anche Carlo Porta, amico

di Manzoni, Foscolo,

Berchet e Stendhal..,che

lo ammirava.

Era un ritrovo alla moda.

Vi sostava chi andava

o tornava da Monza e

l’èlite milanese.







Franco Presicci


Scivola tranquillo, placido, silenzioso, il Martesana, attraversando spadini, ciuffi, chiome d’erba che s’incurvano quasi a volerlo baciare. Sfiora la “Cassina de’ Pomm”, e s’inoltra gorgogliando nella griglia di ferro, che imbriglia rami e rametti, continuando il suo tragitto senza farsi più vedere sotto via Melchiorre Gioia.

Il Martesana sfiora la Cassina de' Pomm
Coperto in parte negli anni 70, questo coriandolo d’acqua, che partendo da Trezzo sull’Adda arriva a Milano, nell’Ottocento divenne una via importante per il trasporto di vario materiale, tra cui il legno, mentre ai suoi lati fiorivano dimore e ville che i benestanti e i nobili utilizzavano per la villeggiatura. Un paesaggio decantato dal Cantù e dal Manzoni, ma anche da Luigi Medici, che tra l’altro compose “Mi son la Martesana”. Una volta sulle sue sponde sognavano gli innamorati e passava il postino in bicicletta, con la corrispondenza nel cestino, per raggiungere viale Monza più in fretta. Oggi tanta gente si tiene in forma percorrendola sulla “due ruote”, magari mentre fischia un treno appena partito dalla stazione Centrale. Quando lo vidi per la prima volta, nel ’76, il Martesana, canale antico che un tempo arrivava alla Cascina, era un tantino trascurato; e c’era chi si lamentava di qualche maceria che guastava il suo contesto. Qualcuno diceva che le rive del canale erano come una ruga sul volto di una signora attempata con ancora una bellezza da mostrare. E se ne dispiacevano gli sfilacci di aristocratici diretti alle loro case di vacanza e i borghesi che la domenica e negli altri giorni festivi, provenendo da Porta Renza e da Porta Nuova in “barchett”, omnibus, o a piedi, scampagnavano su questo ritrovo alla moda. Alcuni si spingevano un po’ più in là, da dove s’intravvedevano le modulazioni della Brianza.
Il Martesana va a nascondersi
E nel punto in cui il Martesana svirgola per nascondersi si aveva l’impressione di aver fatto un passo indietro di un paio di secoli, ammirando questa architettura, che conservava un’atmosfera di graziosa ospitalità. Ai giorni nostri è più dimessa, quasi nascosta da spioventi di verde ed è rimasto solo il nome un tempo celebrato. “E’ vero che è stata toccata dalla storia?”, mi domandò un signore che osservava il movimento rumoroso sulla griglia. “Pare che Carlo Porta vi abbia letto qualche sua poesia, come riferisce Luigi Medici in un suo libro, “Vecchie osterie milanesi”, del 1932. Secondo il Medici, “el sciur Carlin” (espressione che indicava il maggiore poeta in vernacolo meneghino in quei locali), proprio lì fece ascoltare agli amici, il 14 maggio del 1809, un brindisi pro Napoleone. Ma gli studiosi negano che quei versi fossero del Porta, che nel 1810 più verosimilmente compose “Il brindisi del Meneghino all’osteria” per le nozze del Corso con Maria Luigia d’Asburgo Lorena, dove auspica un buon governo per Milano e la Lombardia. Sembra che quei versi l’autore di capolavori come la “Ninetta del Verzee”, il mercato ortofrutticolo di Porta Tosa, li avesse elaborati nell’ufficio del Debito Pubblico, dov’era impiegato. Frequentatore della Scala e della Società del Giardino, amico di Manzoni, di Foscolo, Berchet, Grossi, Stendhal, che in una domenica di sole fece un giro da queste parti per completare la conoscenza della città.
Foto del 1976 - lungo la Martesana

Parlava tanto del poeta, che ha avuto tra l’altro il merito di elevare il dialetto milanese a dignità di lingua. Il giovane amico, che arrivato dal Sud e diretto a Padova, mi aveva telefonato per invitarmi a pranzo proprio alla “Cascina dei pomi”, della quale aveva molte informazioni. “Tra i commensali a volte c’era Carlo Porta”. “Già, era un buon compagno, ambrosiano di ottima lega, affabile e ironico, a suo agio nell’allegria e davanti a una tavola imbandita…”. Ci veniva di tanto in tanto dopo aver attraversato le vie di Milano poco illuminate e, come ha scritto qualcuno, “zeppe di prepotenti che salpavano dall‘Isola Garibaldi e di lacchè con fiaccole accese davanti ai break dei nobili pronti a partire pe la Scala”. E si dice anche che in questa osteria avesse preso alloggio il Bonaparte e che Giacomo Casanova vi fosse stato portato dagli amici per gustare piatti tipici e i “navicellini”, pasticceria non più presente. Si faceva vedere anche il vicerè Raineri.
La Griglia
Durante le 5 Giornate di Milano vi si distribuiva il pane ai patrioti e Stendhal vi trovò l’ispirazione per alcune sue opere. Insomma, questo è un posto blasonato” - insistette l’amico, che non vedevo da dieci anni -. Immagino che la sera vi si potessero vedere coppie in abito elegante e avere la gioia di trovarsi seduti vicino a un personaggio illustre come il Porta, che forse vi si rifugiò anche per smaltire l’ansia dovuta al caso "Prineide”, una satira caustica contro l’uomo politico Giuseppe Prima a quanto pare scritta da Tommaso Grossi con la collaborazione del Porta. Ci ritornai nel ’settembre del 76. Vicino alla cascina, sulla ringhiera sventolavano lenzuola bianche e il suolo del cortile era un tantino scalcinato; le porte chiuse, qualche comignolo sul tetto. Da una porta che si apriva scricchiolando, emerse una gentile signora ottantaduenne, vedova di un pirotecnico, bassina, con i capelli argentei, brillante, loquace, che cominciò subito a sfornare episodi veri e fantasiosi. “Io abito lì. La mia casa è separata dalla locanda da un tronco di 200 anni almeno”, ricurvo come la schiena di un contadino del Sud avvizzito dalle fatiche e dal sole, oltre che dalla vecchiaia. “Sono nata in provincia di Brindisi e sono venuta a Milano cinquant’anni fa, vivendo sempre fra gli stessi muri”. Si bloccò un attimo per esaminare uno sconosciuto che stava varcando la soglia del fabbricato, e riprese: “Qui sono venuti Mina, Rascel, Achille Togliani, Lola Falana… E “Coccolo Spinnatu”, lo dico, per carità, con tanta simpatia e stima e rispetto”.

Passeggiata sul Martesana
Presicci nel tombino con il fotografo Duilio Zanni e un tecnico

“D’accordo, ma chi è, questo Coccolo?”. “Pietro Nenni. Sulla testa di capelli non ne ha più” (il nomignolo appartiene al dialetto brindisino, che la signora non aveva perduto). Aggiunse che in questo cortile sostavano le diligenze mentre i cavalli riposavano. Il Martesana era solcato dai barconi e tanti anni fa i ragazzi vi si tuffavano e sulla riva la gente si raccoglieva per suonare e giocare. “Alcune cose le ho viste io con questi occhi; altre me le hanno raccontate persone davvero istruite”. Fece una breve pausa per ripescare una storia incredibile. “All’epoca in cui stavano facendo il Martesana le autorità avevano prosciugato la cassa. Allora una contessa, disperata perché il figlio era stato condannato a morte, promise di offrire lei la somma necessaria se avessero revocato la pena.
Il Martesana venne terminato, ma la sentenza eseguita”. E la nobildonna scatenò una maledizione: “In quelle acque ne devono morire sette alla settimana”. E la maledizione, secondo l’interlocutrice, si avverò. Ma come? Si dice che al Nord, e a Milano in particolare, maledizioni, fatture, fantasmi non hanno diritto di cittadinanza? Lo ha scritto anche un autorevole giornalista e autore di libri importanti”. Risposta che non ammetteva repliche da parte di un ometto dagli occhi fulminanti che sino a quel momento era rimasto in disparte e all’apparenza disinteressato al nostro dialogo: “Ha mai sentito parlare della donna velata del parco Sempione che adescava gli uomini, li portava in una villa vicina e poi scopriva il volto, che era un teschio?”. “Ne ho sentito parlare, ma è una credenza dalle radici antiche”. Tornai a guardare l’ampio cortile della “Cassina de’ Pomm”, via Melchiorre Gioia, movimentata e ricca di palazzi; la chiesa, mentre sentivo il sibilo del treno che correva verso la stazione Centrale. E pensavo al quartiere Greco, che una volta era un borgo, ricordato oggi dalla via Comune Antico, e alla stessa via Melchiorre Gioia che ha sotto la pelle un brivido d’acqua, che prima degli anni Settanta era scoperto. E pensavo anche a quella volta in cui Guido Gerosa, vicedirettore e capocronista de “Il Giorno”, mi incaricò di compiere un viaggio nel grembo di Milano e tentai d’infilarmi in un tombino all’angolo con viale Lunigiana e non riuscendoci ricevetti dall’assessore Polotti il suggerimento di entrare da piazza Bonomelli. Giorni fa rieccomi davanti alla cascina, che non ha più i pomi, ma conserva la sua aria antica, mentre ciò che le sta attorno ha cambiato faccia.



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