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mercoledì 5 settembre 2018

Dove i nobili villeggiavano una volta


SI COSTRUIRONO “VILLE DI DELIZIA”


MAGNIFICHE IN ZONE SPETTACOLARI
 
Un barcone sul naviglio


Tra i luoghi preferiti la Brianza, dove
l’estate si trasferivano con tutta la
famiglia, servitù completa compresa.

 
Le “madame” ricevevano amiche e
conoscenti o curavano personalmente
le piante esotiche.


Negli interni, spaziosi,
figurazioni pittoriche alle pareti, sculture
sui mobili d’epoca.



Franco Presicci
A volte ci si chiede come e dove una volta trascorressero la villeggiatura i nobili milanesi. Sul Naviglio; lontano dalla città; lungo la Martesana, in una località che ristorasse lo spirito? Non tardarono a mettersi alla ricerca di uno spazio ameno, panoramico, collinare o pianeggiante che fosse, su cui costruire la loro dimora estiva che con la sua magnificenza significasse il potere e l’abbondanza, e che garantisse quella pace, quel silenzio selvaggio preferiti da Stendhal. Il fenomeno cominciò a propagarsi all’inizio del secolo XVII e proseguì fino all’alba del Novecento. Tra le mete preferite le alture della Brianza, nome di cui – scrisse Cesare Cantù, nato da quelle parti – non si conoscono “le origini né il significato né i limiti, sebbene i più la conterminino tra il Lambro, l’Adda, i monti della Valsassina e le ultime ondulazioni delle Prealpi, che muoiono a Usmate”.

Villa settecentesca ripresa da P. Orlandi a Cernusco
Queste dimore, non praticate d’inverno per il gran freddo, erano abitate d’estate da tutta la famiglia, servitù compresa. Ovunque ci fosse un angolo incantevole, che illuminasse lo sguardo e garantisse tranquillità fiorì un’architettura di grande raffinatezza e in qualche caso addirittura una piccola Versailles. Non si badava a spese, tanto i conti in banca dei signori era molto polposo; s’impegnavano pittori e scultori, grandi e modesti, celebri e sconosciuti, bravi e meno bravi, oltre agli architetti di fama: la villa doveva essere uno “status symbol”. Doveva suscitare invidia e ammirazione. Non doveva essere bella, ma bellissima, spettacolare, imponente, in armonia con il paesaggio circostante, che era ameno, ricco di alberi, di profumi, accompagnato - commentò Guido Piovene nel suo “Viaggio in Italia”- anche dal canto degli uccelli e dalla nota del cuculo” che allietavano ancora di più le passeggiate, se si raggiungevano “i sentieri che vagano tra i greppi senza meta evidente, tra piccoli panorami che spariscono quando si entra nel folto dei castagni o delle robinie per riapparire poco dopo”. Viaggiatori e narratori italiani e stranieri non hanno risparmiato elogi a questi luoghi.

Il Ticinello
Per esempio a proposito delle acque manzoniane Johan Gorge Kolh annotava: “Il lago di Como non deve mancare in Paradiso, essendo impossibile che stia al mondo un lago che lo avanzi in bellezze naturali…”. E aggiungeva che era nel sogno di tutti gli europei di buon gusto non soltanto dei concittadini di Carlo Porta… “E quando nel 1826 furono varate imbarcazioni come ’Il Plinio’ (nome derivante dallo scrittore latino che sul lago di Como aveva avuto due ville), la località venne presa d’assalto”. Ma anche Torno, sulla riva interna del lago occidentale, dove nell’elegante villa “Pliniana” Rossini avrebbe composto una delle sue opere: “Tancredi”. Le dimore di villeggiatura che i signori si facevano costruire fuori Milano venivano dette “ville di delizia” e i proprietari amavano farle immortalare dalle tavolozze degli artisti, tra i quali il bresciano Angelo Inganni, che lavorò molto a Milano, dove fu allievo di Giovanni Migliara, da cui ereditò il gusto delle vedute; divenne celebre come illustratore della vita popolare meneghina e anche per le sue tele dedicate alla Milano ottocentesca (sue opere si trovano nel Museo di Milano).

Gita sul Ticinello
In queste ville, sorte nel Bergamasco, sull’Adda, sul Garda…, si svolgevano serate danzanti sfarzose, alle quali partecipava la crema della società. Chi aveva interessi culturali poteva rifugiarsi in una sala apposita per dedicarsi allo studio o alla lettura. E siccome le dimore erano abbracciate dal verde, che andava protetto e alimentato, venivano reclutati giardinieri virtuosi. Nel suo diario Goethe confessava che non voleva farsi sfuggire una meraviglia della natura, uno spettacolo incantevole…”. E descriveva anche la gente: “… vive la vita rilassata, non curante… prima di tutto le porte non hanno serrature, ma l’oste mi assicurò che potevo stare tranquillo anche se tutto il mio bagaglio fosse consistito in diamanti; in secondo luogo le finestre sono chiuse da carta oleata anziché da vetri; infine manca di una… comodità molto importante di modo che si è abbastanza prossimi allo stato di natura…”.

Soste sul Naviglio
Anche sulle sponde del Naviglio Grande spuntarono questi autentici gioielli, visibili attraversando il canale su una barca a motore e non; a piedi o in bicicletta. Verso la metà dell’Ottocento il cosiddetto popolino prese le stesse vie; e vennero aperti alberghi, impiantate funicolari… La gente passava le giornate giocando a carte o a domino, leggendo il giornale o un libro, organizzando gite in barca o in carrozza; per qualche ricorrenza imbandiva le tavolate e poi dava il via alla musica e ai balli, con il conforto di un po’ d’ombra in un paesaggio rilassante e stupendo. Dopo essere stato sul Sacro Monte, nella zona famosa e celebrata per gli aspetti paesistici, panoramici, ambientali, Stendhal potè scrivere: “Una vista magnifica; al tramonto possiamo scorgere sette laghi: per cui si poteva percorrere l’intera Germania e l’intera Francia senza avere sensazioni simili. 

Cascina sul Ticinello
“Varese, la città-giardino, conosciuta e apprezzata come luogo di villeggiatura almeno dagli albori del Settecento, ha sempre tenuto alta la sua reputazione. Alla quale non sono mai stati insensibili i milanesi, che indipendentemente dalle parole di Henry Beyle, tanto innamorato della Lombardia e di Milano, che qui avrebbe voluto essere sepolto. L’amava dunque tanto più di un meneghino, che non ebbe neppure bisogno dell’annuncio, dato nel 1903 su una guida turistica, che Valtravaglia, “a mezzodì da Luino”, entrava a far parte dei centri residenziali del Verbano, perché già vi trascorreva in piena riservatezza le sue vacanze. Il turismo di massa muoveva i primi passi. Nelle zone attraversate dalle acque sorsero anche le cascine. D’inverno il proprietario se ne stava in città, pur avendo le sue attività nel contado, dove si trasferiva con moglie e figli appena scoppiava il caldo. E a beneficiare non era soltanto lo spirito, ma anche i polmoni. Veri e propri luoghi di villeggiatura molto frequentati quando incalzava la calura.

Lungo la Martesana
Sulla Martesana e sul Naviglio Grande i giovani si impegnavano in entusiasmanti e impegnative gare di nuoto, con barriere umane ad applaudire dalle sponde. Molto partecipata quella del 1913 da Corsico fino alla darsena, organizzata dai Canottieri Milano. I meno giovani solcavano il canale con la barchetta o dall’alzaia lanciavano in acqua la lenza per catturare qualche pesciolino più per sport che per la padella. Alberto Lorenzi informava che i nostri bisnonni, anche se avevano il denaro necessario per potersi permettere un meritato viaggio oltreconfine, soggiorni nei migliori alberghi e persino una circumnavigazione del globo su case galleggianti di lusso, erano soliti sedersi anche in pieno giorno al Savini, dopo aver fatto quattro passi in Galleria in compagnia, magari soffermandosi conversando nell’ottagono, fumando un sigaro “Virginia”. Insomma, ognuno aveva il suo modo di godersi l’estate: chi, come detto, in una fastosa “villa di delizia” (detta anche semplicemente “delizia”), dove tra l’altro negli eleganti saloni affrescati e dotati di figurazioni pittoriche alle pareti e sculture sui mobili d’epoca, le ”madame”, quando non si dedicavano alla cura delle rose, di ogni tipo, belle, sfolgoranti, ornamentali, sviluppate ad arco o attorcigliate ad una colonna o con i tralci fissati a un graticcio, rosse, gialle, bianche; o alle piante esotiche, che curavano con orgoglio personalmente escludendo i giardinieri, ricevevano amici e conoscenti ascoltando musica, o facendo quattro chiacchiere, o giocando a carte, mentre gli uomini con le stecche dalle punte incipriate tiravano le biglie sul tavolo verde del biliardo. Chi stava in ville modeste non si annoiava certo, ma aveva la sua maniera di svagarsi. Chi invece non si allontanava dalla città, come tanti fanno oggi, per mancanza di liquidi o di voglia di muoversi, andava all’Idroscalo, a fare il “pic-nic” o a ballare, o al Parco Sempione a godersi l’ombra degli alberi. Da qualche anno si è aggiunto il Parco Nord, grandissimo (spazia tra Milano, Bresso, Cusano Milanino, Cormano, Cinisello Balsamo, Novate Milanese, Sesto San Giovanni), ricco di viali alberati, distese erbose, orti molto ordinati, piste ciclabili, chioschi che servono bibite e gelati. Il Parco Nord, un’oasi per bimbi, mamme e papà, e i nonni, che alle panchine preferiscono i campi da bocce, protetti dagli ombrelli vegetali.









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