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venerdì 14 settembre 2018

Quanti caffè nei secoli a Milano!


 



AL BORSINARI IL BECCARIA ESPLOSE

                                                  PER UN INTERLOCUTORE OSTINATO



I Caffè della Peppina e della Cecchina furono resuscitati allo “Zecchino d’Oro” di Bologna.

Al Caffè dei Servi sedevano gli attori della Compagnia Ferravilla, che
ripassavano la parte da recitare nel vicino Teatro Milanese. 

Un buon caffè gustato al momento giusto può mutarci l’umore.

Il Savini in Galleria

 
Franco Presicci

Si va al caffè per bere una tazzina o una bibita o sedersi a un tavolo, magari nel retro, e chiacchierare con gli amici; e, se all’esterno c’è il campo, ben venga una partita a bocce. “Ci vediamo al caffè Miami”, il vecchio Zucca”; o al “Cova”. Sono frasi ricorrenti.
Bar Taveggia
Non si può più dire: “A mezzogiorno ti aspetto al Taveggia”, perché il locale, fastoso, origini che risalivano alla seconda metà dell’800, una clientela eccellente, da Wally Toscanini a Carla Fracci, a Maria Callas, Renata Tebaldi, al feldmaresciallo Radetzky, “ostaggio” del panettone, ha chiuso da tempo i battenti. L’ultima volta che ci andai il prefetto Ferrante presentava un libro di immagini di masserie pugliesi di Angelo Golizia. Tra il Settecento e il Novecento al caffè si potevano anche ascoltare conversazioni tessute da gruppi di intellettuali accomodati in un angolo semibuio, tra volute di fumo. A volte quegli scambi di idee si arroventavano, perchè chi non vuole essere contraddetto c’è sempre, e in qualche caso volò anche uno schiaffo. Nei caffè è passata la storia. Per esempio al Cova, sorto nel 1817, trovarono appoggio i patrioti delle Cinque Giornate di Milano, nel 1848. Anche la cronaca ventilava nei caffè, come fossero agenzie di stampa. Se accadeva qualche episodio clamoroso e si voleva conoscerlo nei contorni bastava avvicinarsi al bancone.

Caffè moderno
Al Caffè del Duomo – riferisce Sandro Pantanida – al tramonto del 1847 un docente di fisica, Giovanni Cantoni, scrisse e lo dettò al dottor Piero Secondi un manifesto che suggeriva agli italiani di non fumare, per colpire il monopolio austriaco. Il locale aveva fatto la sua comparsa nel 1840 nella corsia del Duomo, per opera di Antonio Pogliaghi. Su un paio di tavoli c’erano sempre mucchi di giornali, il “Lombardo”, il “Pungolo” L’Opinione”, “La Cicala politica”, che i clienti leggevano avidamente, tanto che i perditempo, notando quelle teste chine sui fogli, avevano ribattezzato il luogo “Caffè dell’emicrania” e “Caffè dei matti”. Caratteristica di certi caffè era il silenzio: si ordinava gesticolando e allo stesso modo si comunicava il conto. Gli avventori giocavano a dama o a scacchi oppure a “calabragh”, che il Dossi giudicò più stupido della tombola e dell’oca. Nel 1764 Pietro Verri, che spinse il Beccaria a scrivere “Dei delitti e delle pene” e usava incontrarsi con gli amici e gli avversari al Rebecchino; “e nelle più frequentate brasere (bracieri: n.d.a.) di Milano”, ebbe l’idea del periodico “Il Caffè” al Demetrio, in piazza Duomo, prendendo come modelli i fogli inglesi di Steele e Addison. Famoso nella Milano del Settecento, il Demetrio, “il cui braciere fu attizzato financo dall’abate Parini” (parola di Alberto Lorenzi), ospitava quasi tutti i soci dell’Accademia dei Pegni, intellettuali progressisti, Sebastiano Franci, Luigi Lambertenghi, Beccaria e lo stesso Verri, che elogiava quelle caffetterie, capaci di preparare un “caffè vero, verissimo di Levante e profumato col legno di Aloe”. Anche qui erano sparsi giornali molto in voga, tra cui “Le novelle politiche”.

La Galleria
Probabilmente al Biffi, data di nascita 15 settembre 1867, in Galleria Vittorio Emanuele, nel 1878 Tranquillo Cremona disegnò la prima testata del “Guerin Meschino – come ridevano i milanesi”. Al Caffè Ristorante Savini, già Birreria Stocker, anch’esso in Galleria e contemporaneo del Biffi, erano di casa Filippo Tommaso Marinetti, l’inventore del Futurismo; uomini di affari, scrittori, compositori, tra cui Marco Praga, Mascagni, Giordano, Toscanini, Toti Dal Monte, Emma Gramatica, Maria Callas, Cremona, Guido da Verona, Renato Simoni… Non era ammesso che i commensali vi si presentassero senza giacca. I caffè praticati da maestri del pennello, dello scalpello, della penna, mattatori del palcoscenico, giornalisti erano numerosi. Tra questi il Cambiasi, superbo dirimpetto al tempio della lirica e per questo denominato il “Caffè del Teatro alla Scala”. Qui un gruppo di monelli durante i moti schernirono un monaco che passava spedito; il religioso si voltò e pronto rispose: “Il governo ci lascia vivere per accompagnare gli scapestrati alla ghigliottina”.
Il caffè in un dipinto
In piazza della Scala era aperto anche il “Caffè dell’Orto”, fiancheggiato dal “Caffè delle Sirene”, che cambiò il nome in “Caffè dei virtuosi”, per il fatto che era preferito dagli artisti. Per i cittadini comuni era il caffè dei pompieri, per colpa di certi coristi scaligeri, che essendo sempre a corto di quattrini si accendevano il sigaro con gli zolfanelli dei baristi (una dozzina 12 soldi). A quanto pare tra queste cuccume Domenico Barbaja, già sguattero in una bottiglieria e poi gestore dei ridotti di vari teatri, Scala compresa, inventò la barbajata (panna, caffè e cioccolata). Il Caffè dei Virtuosi, che mandava le sue prelibatezze con i nomi dei cantanti celebri ai palchi scaligeri, entrò poi in competizione con il Caffè dell’Accademia, che luccicava in contrada Santa Margherita 1134, mèta di Emilio Praga… e dei soci dell’Accademia dei Filodrammatici. Assiduo anche Stendhal, goloso di rosoli e di sorbetti, che considerava divini; e il giramondo Tommaso Solera, che quando rientrava a Milano amava raccontare le sue esperienze e i Paesi che aveva visitato. I primi affezionali, all’alba dell’Ottocento, furono molti funzionari di polizia, per cui il locale venne soprannominato “Pavè des espions”, quindi venne scoperto dagli operatori di borsa, che in seguito dirottarono verso il “Caffè della Borsa”. Nella stessa contrada erano accese le luci del Caffè della Fenice, anch’esso ritrovo di poliziotti e dipendenti statali, che abitavano o lavoravano nei paraggi. All’American Bar, già Caffè Europa, all’angolo di via Passerella, Francesco Pozzi, che allora guidava il “Guerin Meschino”, riceveva i suoi redattori.

Caffè Vecchia Brera
Su corso Francesco II, oggi Vittorio Emanuele, erano aperti il Caffè dell’Orologio e il Caffè dei Servi, dove sedevano gli attori della Compagnia Ferravilla, intenti a ripassare la parte da recitare nel vicino Teatro Milanese. A pochi passi sorgevano il Caffè Due Colonne e il Caffè Greco, uno dei più antichi di Milano, essendo stato inaugurato nel 1832, e noto per la sua brasera, più grande di quelle accese in inverno in tanti altri esercizi. Al Borsinari, nell’omonima via, il Beccaria esplose contro un interlocutore irriducibile, scuotendo l’ambiente. Il Caffè della Peppina e il Caffè della Cecchina sono tornati famosi grazie alla canzone cantata a suo tempo allo “Zecchino d’Oro” di Bologna. Anche loro – parole di Otto Cima – ebbero parte nelle agitazioni patriottiche. Mai visto nei caffè Carlo Porta, che preferiva qualche osteria. Ma la sua assenza era colmata dalla declamazione dei suoi versi, che immancabili “fans” proponevano agli avventori. I caffè milanesi, letterarie o no, erano dunque un’infinità.
L'ingresso della Galleria









Le vetrine del Caffè Gnocchi, frequentato dagli Scapigliati e da Giuseppe Rovani, l’autore di “Cento anni”, brillavano, quanto il prestigioso, ricco di specchi e luci, Camparino, che, succeduto al Campari, dette impulso alla moda dell’aperitivo, nella Galleria Vittorio Emanuele, grandissima, spettacolare, lunga 200 metri, tra piazza della Scala e piazza Duomo. Credo non ci sia persona, che, in visita a Milano, non sia mai stata in Galleria per ammirare i suoi caffè e i suoi negozi storici. Il caffè, bevanda sorseggiata anche da Napoleone Bonaparte per tenersi sveglio, ha ispirato tantissimi artisti. Da ammirare “Conversazione familiare” di Bruno Longhi; “Colazione in giardino” di Giuseppe De Nittis; “Ritratto di Becca Benso”, di Achille Funi; “La famiglia del pittore”, di Mario Tozzi; “Il Pergolato” di Silvestro Lega…, quadri inclusi in una ricca, interessantissima pubblicazione con prefazione del gastronomo ed esperto di musica leggera Vincenzo Buonassisi, edita anni fa dal Centro Luigi Lavazza per gli studi le ricerche sul caffè. L’opera contiene testi godibili, interessanti e molto informati che raccontano anche nei dettagli ogni aspetto del caffè (“Il caffè e “l’amore”, “Il caffè e l’intellettuale”, “Il caffè e le casalinghe”…). In un capitolo si ricorda che “il caffè sia come luogo sia come bevanda fa parte della nostra vita quotidiana”. Un caffè preso al momento giusto può cambiarci l’umore. Il caffè ha legami con la satira politica... Il caffè ci inebria con il suo profumo.


















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