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mercoledì 23 gennaio 2019

Un indimenticabile viaggio ad Altare


Alfio Bormioli

I PREZIOSI SOLDATINI DI PIOMBO

DI ALFIO E AMANZIO BORMIOLI


Gli abiti e le uniformi erano sovrapposti, damine, soldati in un realismo anatomico ed espressivo perfetto; come lo erano le caratteristiche etniche. 

Cavalli al galoppo, all’ambio, al trotto, quello impegnato in una piroetta.

Autentici artisti anche del vetro. Mostrarono come s’introduce un veliero in una bottiglia.









Franco Presicci

Sempre effervescente come la gazzosa versata dalla bottiglia con la pallina (si troverà forse nei mercatini), un giorno Osvaldo Menegazzi mi ordinò di prepararmi per andare ad Altare, vicino a Savona. “Vedrai che la gita ti piacerà!”. Era l’uomo delle novità, delle sorprese, e lo seguii, certo che mi avrebbe fatto fare una esperienza interessante. Durante il viaggio mi parlò di tutto, dei tarocchi d’ispirazione surrealista che stava disegnando, dei diorami… nel suo studio a un tiro di schioppo da piazza Greco; ma nemmeno una parola sul motivo di quel viaggio. Solo quando, giunti a destinazione, aveva parcheggiato mi fece un vago accenno: “Questa è la terra del vetro soffiato. Più di 2 mila abitanti e tanti laboratori specializzati nel settore…”. Due passi a piedi, due colpetti a una porta, un sorriso largo sotto la barba e i baffi folti e neri, gli occhi vispi. Comparve la copia dell’attore caratterista francese Bernard Blier, protagonista di “Legittima difesa”, che indietreggiò per farci entrare, accogliendoci con autentica cordialità.
Osvaldo Menegazzi
Una mitragliata di domande incrociate su sagome di vetro e carte da gioco e quadri con conchiglie vaganti nello spazio eseguiti dal Menegazzi, persona intelligente, briosa, spiritosa. Dissi che non ero riuscito mai a capire come s’inserisce una nave in una bottiglia e il padrone di casa prese una canna, vi soffiò più volte sagomandola, v’introdusse dal fondo il veliero e chiuse l’apertura continuando a manipolare il manufatto. Blier, che in verità era Amanzio Bormioli, artista eccellente, come il padre, Alfio, 74 anni, che si era sollevato dallo sgabello lasciando il tavolo da lavoro e venne verso di noi. Lo studio era riposante, bene illuminato. Il mio sguardo si soffermò su un “Abbraccio”, in cui Amanzio aveva colto l’essenza dell’espressione, lo slancio del sentimento. “Quattro anni fa – era il 13 ottobre del ’72 – si fece largo in me il bisogno di costruire soldatini di piombo. Ho sempre frugato nelle pagine della storia, nei piccoli e grandi particolari delle battaglie: quella di Nikolajewka, evento della campagna di Russia del 26 gennaio del ’43. Mi prendeva anche quella di Magenta del 4 giugno del 1859, nella seconda guerra d’indipendenza italiana… Le studiavo con grande attenzione, soprattutto le lotte del periodo napoleone”. Nei primi tempi le sue mani erano ovviamente incerte; ma ben presto si sono fatte più sicure nel modellare il piombo, trasformandolo in soldati con le divise, gli abiti sovrapposti: damine, cavalli di un realismo anatomico ed espressivo davvero sorprendenti. 
Fanti in una raccolta della  Bertarelli
Colpivano soprattutto i cavalli, per il movimento, la forza. Cavalli al galoppo, al trotto, all’ambio; il cavallo impegnato in una piroetta, nel salto, in una corvetta, in una capriola; il cavallo ferito in battaglia, perfetto nella sua armonia, per fedeltà al dettaglio, dall’unghiella, al garetto, alla criniera… Li ammirai sugli scaffali, su un mobiletto di questo laboratorio di due stanze, striminzito, pieno di libri, canne vi vetro, un elmo con visiera e coprinuca a “coda di gambero”, il banco di lavoro… Menegazzi, che era anche autore di soldatini di carta, era incantato di fronte a queste ricostruzioni e a quelle che Amanzio descriveva: “Isbuscenki, dove gli episodi di eroismo non si contarono: cadde il sottotenente Ragazzi, il maggiore Litta, che gravemente ferito continuò a combattere fino a quando non venne colpito a morte”. 
Soldatino antico
Soldato di Kodra
I personaggi di questa carica del Savoia Cavalleria sul fronte russo (24 agosto ’42) elaborati da Bormioli erano l’alfiere ferito e il comandante che si lancia per evitare che la bandiera caschi in terra; un soldato della scorta, il più vicino all’alfiere, con la sciabola alzata, sta per trafiggere il nemico. Dietro, altri soldati con una funzione estetica. C’era anche un gruppo che rievocava Napoleone alla battaglia di Rivoli (14-15 gennaio1797), dove – raccontò Bormioli – il Corso dovette provvedere a fatica per distribuire le truppe su un fronte molto vasto. Quando poi capì che il nemico puntava su quell’obiettivo vi raggruppò tutte le forze ed ebbe ragione. Osservai un “quadro” per l’Unità d’Italia: un soldato piemontese che baciava la ciociara. “Eseguendo i soldatini – riprese Bormioli – non penso alla retorica di certi libri, ma al soldato come essere umano, con le sue paure, le sue debolezze che si nascondono sotto l’uniforme... ”E cerchiamo di dare al volto di ciascun soldato le sue caratteristiche etniche”, intervenne il papà di Amanzio, Alfio, che non dimostrava i suoi anni. Sino a quel momento se n’era stato discretamente in disparte, partecipando con un sorriso amabile. ”A suggerire a mio padre il nome che porto fu la sua passione per la ‘Cavalleria rusticana’, il melodramma di Mascagni in cui il carrettiere Alfio sposa Lola, della quale è perdutamente innamorato Turiddu”. Era lui, Alfio, che si curava di cesellare le facce, mentre Amanzio faceva il resto; e da quell’esperto di uniformologia che era si occupava anche della vestizione, sovrapponendo gli abbigliamenti in lamine di piombo sul corpo dei militari. Ogni elemento era diverso dall’altro, uno più bello dell’altro. 
Antico soldatino su carta da gioco
Splendidi quelli che ricordavano Balaklava, episodio della guerra di Crimea: 25 ottobre1854, ”combattuta tra Russia e Turchia, comandanti lord Raglan e lord Cardigan per gli inglesi, partecipanti con Francia e Regno di Sardegna e il generale Liprandi per i russi; soldati semplici del 17° lancieri, del 2° dragoni, ufficiali dell’11° ussari, soldati del 14° fanteria e della brigata fucilieri, ufficiali dei granatieri della Guardia. Di fronte ufficiali del 10° ussari, il reggimento preferito da Giorgio IV, che ne divenne colonnello nel 1793, all’epoca in cui era principe di Galles… Una volta salito al trono non smise di occuparsi del suo prediletto”. Roba per collezionisti. E si sa quanto sia diffusa ovunque la passione di raccogliere figurini storici militari, armi, eserciti di piombo, di carta, di plastica… Si ricordano i 300 soldatini d’argento fatti eseguire da Nicola Reger da Maria de’ Medici per il delfino, il futuro Luigi XIII, e trasmessi poi a Luigi XIV, il Re Sole, i cui ideali di Stato si condensavano nella frase “L’etat c’est moi”. Amanzio conosceva la materia e ne discuteva con il suo eloquio piacevole, con alcune cadenze piemontesi che di tanto in tanto ritrovava echi del dialetto ligure; mentre il padre Alfio, tornato aluno sgabello, schizzava facce di soldati sul suo tavolo. Oltre che un artista eclettico, del vetro e del piombo, ricco di idee e di progetti, di iniziative, Amanzio era iscritto alla Società di storia patria.
Kaplan e Menegazzi
Al termine della conversazione, durata oltre due ore, mi aspettavo un immediato ritorno a Milano; invece il programma prevedeva un invito a cena, con un risotto con i tartufi a casa di Amanzio. Lasciammo molto tardi questo piccolo agglomerato piemontese che per poco non era stato inghiottito dal confine ligure; un paese raccolto con gli sdruccioli che s affacciano su scalinate o s’immergono sotto archi aperti tra i caseggiati. Questi ricordi sono scaturiti quando il mio amico Gianfranco Radice, colto collezionista di etichette di confezioni di profumo e di altro, mi ha riferito di una sua visita nel regno di Osvaldo, “Il Meneghello”, trasferitosi da via General Fara nei pressi delle ex Varesine trasformate in un contesto ultramoderno che comprende un giardino verticale, a corso di Ripa Ticinese 53. A ricevere in questo luogo in cui si respira aria di magia, gli appassionati di tarocchi di Osvaldo, apprezzati dal Kaplan, esperto mondiale, e alcuni pubblicati nella sua autorevole e famosa enciclopedia, c’è la bella Cristina, nipote dell’artista surrealista, che ebbi il piacere di conoscere oltre cinquant’anni or sono, grazie a Vito Arienti, grande collezionista ed editore di tarocchi storici (possedeva diecimila mazzi, da quello della Corona ferrea alla Geografia intrecciata nel gioco dei tarocchi). Vito stimava Menegazzi, che tra l’altro stava per pubblicare “I Tarocchi Visconti-Sforza” del XV secolo, con le quattro carte mancanti del gioco originale: il Diavolo, la Torre, il Cavallo dei Denari, il Tre di Spade, ricostruite dal miniaturista Giovanni Scarsato di Milano, in occasione di questa particolare edizione); e “I Ventidue talismani in 22 arcani” ideati dallo stesso Menegazzi, un vulcano. Gianfranco si è soffermato con entusiasmo su quello spazio, elencando tele, libri, bellissime scatole firmate dal Menegazzi, paraventi decorati con tarocchi… un mondo incantato che conosco. Anni fa vi incontrai l’attore Arnoldo Foà.


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