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mercoledì 20 marzo 2019

Gli orologi di Jader Barracca


Jader Barracca
UNA COLLEZIONE PREZIOSA

CURATA CON VERO AMORE



Abruzzese, titolare a Milano
di due ristoranti, amava la
pesca subacquea. Conservava
oggetti di una volta, tra cui un
braciere che usavano i nonni
della sua terra. Era figlio di un
maresciallo dei carabinieri. Lo
incontrai nel 1972.









Franco Presicci
Già covavo un notevole interesse per gli orologi quando visitai il Museo Poldi Pezzoli, a Milano. Accompagnato dalla direttrice, ammirai i pezzi più belli, tra cui quelli donati qualche anno prima da Bruno Falk. Ricordo la sfera armillare del 1568 e gli smaltati settecenteschi… Prima di quel giorno avevo incontrato collezionisti di figurine, ricordi di viaggio, ex libris, segnapagine, distintivi, bambole, bottoni, tarocchi e cavatappi… E sognavo il Museo di La Chaux-de-Fonds, la cui inaugurazione risale al 1865, e il Museo svizzero, di cui a suo tempo mi aveva informato un grande esperto di circo e di raccolte prestigiose pubbliche e private, Massimo Alberini, che scriveva sul “Corriere della Sera”.

Osvaldo Menegazzi nel suo negozio
Uscendo dalla sua abitazione, mi rimase in mente il “notturno” con la sua scena di Armida tra i pastori, del 1630, conservato, in quel tempio di gioielli. E fui felice quando, nel giugno del 1972, prima Osvaldo Menegazzi, autore di tarocchi stimato anche da Kaplan – esperto mondiale del ramo - e poi Giuseppe Rossicone, ceramista di Scanno trapiantato a Milano da cinquant’anni e vincitore del premio di Gualdo Tadino, mi promisero di farmi conoscere Jader Barracca, abruzzese, titolare dell’”Osteria del Vecchio Canneto” e della “Taverna del Gran Sasso”, l’una e l’altra a quattro passi da piazza della Repubblica e dall’”Hotel Principe e Savoia”. Felice perché Barracca non era soltanto un ottimo ristoratore e un appassionato di pesca subacquea, ma anche un collezionista di orologi, quindi il personaggio ideale per le interviste che andavo pubblicando sul “Giornale del Mezzogiorno”, diretto da Paolo Cavallina, noto per la sua conduzione del programma Rai “Chiamate Roma 31 31”. Barracca mi invitò a cena al “Canneto”, dove il cameriere mise il bavaglino a me, a mia moglie e agli altri ospiti (una ventina, tra cui la consorte, il figlio, la cognata, Menegazzi e signora…), comunicandoci il menù, a base di pesce. Il primo piatto, spaghetti alla chitarra.
Jader Barracca (1°a sx. l'autore di tarocchi Menegazzi)
Per salutare la compagnia alzò il calice e tutti si aspettavano un discorso; invece si limitò a regalare un sorriso e una parola: “Grazie”. Quando si rimise a sedere, gli chiesi notizie dell’orologio a campanile che campeggiava all’ingresso del locale, ricevendo questa risposta, in modo cortese: “Adesso godiamoci la tavolata, poi andiamo ad ammirare i miei tesori, che per l’occasione ho prelevato dalla banca…. Ci ripensò. ”E’ un orologio fatto per una villa sulla Costa Azzurra nel 1850, unico esemplare per un tale che lo teneva in un salone, con un sistema di bacchette snodate, che andavano fino alla “torre”, sistemata al piano superiore attraverso un buco nel pavimento, con le campane che battevano le ore. A differenza dei suoi ‘parenti’, che sono grezzi perché solo funzionali e non costruiti per essere visti, questo è rifinito in ogni particolare ed è fatto come un orologio da tasca, ha lo scappamento su rubini, la forza costante, un pendolo compensato, snodato, ecc.”. I convitati invocarono la sua attenzione, e lui si concesse parlando di un pesce da lui pescato in Sardegna, così grosso, che per mostrarlo in posizione verticale dovette salire su un tavolo.

Osvaldo Menegazzi
Barracca mentre suona
Lo trovai simpatico, comunicativo, l’occhio svelto, la barbetta, la prontezza del cavallo di razza al segnale dello ‘starter’, ricco di idee e di iniziative. Gli rivelai il mio desiderio di trascorrere una notte in mare con i pescatori e mi assicurò che potevo considerarmi già su una barca. Aveva amici anche in quel campo. Era legatissimo alla sua terra. In un angolo del “Canneto” aveva bracieri con cui si scaldavano i nonni in Abruzzo (erano usati anche in Puglia, mancando i sistemi di riscaldamento di oggi, da tutta la famiglia), conchiglie giganti e tante altre cose. Terminata la cena, si avviò verso la sua abitazione, nel centro della città, seguito da me e da mia moglie; ci fece accomodare in cucina (un salone), tutta in rame; ci offrì un whisky e cominciò ad aprire le valigie piene di esemplari stupendi. “Questo è un orologio moderno”: splendido, scendeva su un piano inclinato lungo una settantina di centimetri. Per andare da un’estremità all’altra impiegava due giorni. Poi tirò fuori un anello, dove un orologio in miniatura era nascosto sotto una “pietra” (almeno così ricordo). Parlò per ore, inoltrandomi in una selva di rubini, spirali, bilancieri, castelli, ruote-cannone, calotte, chiavistelli, fusti… Dei suoi orologi conosceva, oltre alla storia, le particolarità tecniche. Raccontava senza enfasi, mentre l’argomento mi catturava senza farmi pensare alle ore che scorrevano. “Sono passato attraverso varie fasi: prima preferivo l’orologio di una certa forma estetica; poi mi sono rivolto a quello antico; infine, mi sono lasciato prendere dalla tecnica, dalla macchina, dallo scappamento. Prima d’incontrarlo, avevo avuto notizie della sua biografia. Lui la integrò spesso senza attendere le mie domande. Testa dura come la bicornia, dinamico, affabile, impastato del calcare del Gran Sasso, era partito per la conquista del camice bianco del chimico industriale e si infilò la giacca bianca del cameriere. Figlio di un maresciallo dei carabinieri, si era diplomato al liceo scientifico e iscritto all’università per maneggiare alambicchi, alcalimetri, becchi di Bunsen serpentini e imparentarsi con i protossidi.

Rossicone e Pomodoro
Un amico ristoratore lo fece dirottare, chiedendogli di dargli una mano nel proprio locale, dove si dovevano incolonnare delle sfere; ma lui capì che se voleva racimolare qualche lira in più doveva prestarsi a servire gli avventori, che pagavano 350 lire a pasto, tutto compreso. “La prima sera si sentivo avvampare, ma dopo una decina di giorni superai l’imbarazzo”. Ben presto diventò una colonna. Vent’anni, universitario, faceva lo “slalom” fra i tavoli, ma anche altro: il lavapiatti, il cuoco, il direttore. Diventò un apprezzato “gourmet”, tenendo d’occhio il portone dell’ateneo. “L’amico mi offrì la partecipazione agli utili; ma gli odori degli arrosti erano ormai come il canto delle sirene. Lasciai l’amico e me ne andai per conto mio”. Il maresciallo dell’Arma aveva restituito le chiavi della caserma e Jader lo fece venire a Milano. Sottrasse anche un fratello al rango di ufficiale dell’esercito, allargando così la sua organizzazione, alla quale si aggiunse una bellissima fanciulla che, innamorata di lui, lasciò il pianoforte per seguirlo nei suoi ristoranti e all’altare. Il suo prestigio lievitò, e la notorietà anche. Raccolse frutti a “Italia 61”, a Torino. Nell’ambito della mostra delle regioni, alla celebrazione dell’unità d’Italia, furono organizzati dei ristoranti, la cui gestione venne affidata a lui; rilevò un locale di piazza Cavour nel grattacielo svizzero.
Barracca nel suo ristorante
Nella “Guida d’Italia piacevole” Luigi Veronelli espresse questo giudizio: “L’oste Barracca sa il fatto suo, punta sul folklore d’Abruzzo: pesce al ‘Canneto’, carni alla ‘Taverna’, e ha successo, meritato da che ha cura nei rifornimenti e attenzione alle cucine”, assaporate anche da Gronchi, Segni, Moro, giornalisti come Gianni Brera, e tante altre personalità, i cui nomi venivano vergati sullo schienale delle sedie”. Della sua passione per gli orologi sapevano in pochi, perché lui per carattere l’assecondava in modo riservato. In materia aveva una competenza profonda. Delineò le caratteristiche e la storia di un orologio francese smaltato dei primi decenni dell’Ottocento e un gioiello in astuccio, Cartier del 1920. E affrontò l’origine degli orologi da tasca che si diffusero grazie alla ferrovia: gli addetti ai convogli dovevano averne uno per fare bene il loro lavoro; le grandi marche si attrezzarono per rispondere alle richieste delle compagnie, inserendone sul quadrante il nome e l’emblema. Fu una nottata molto istruttiva. Barracca accennò anche ad orologi che non aveva, senza annoiare con gli aspetti tecnici dei vari tipi. Concluse con quelli da polso apparso durante la prima guerra mondiale. “Io amo i miei orologi, e quando lei mi ha detto che voleva vederli ho intuito che non era spinto soltanto da motivi professionali. Stasera ho notato che era incantato mentre glieli illustravo”. Niente mi avrebbe schiodato da quella sedia, se non il timore di dargli l’impressione di approfittare della sua disponibilità. Quando imboccai l’uscio erano più delle quattro del mattino. Milano cominciava a svegliarsi: alcune finestre erano illuminate.



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