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martedì 12 marzo 2019

Ricordo del pittore Alberto Amorico


Amorico esegue il ritratto


NEI SUOI QUADRI PALPITAVA LA PUGLIA 


CON TUTTI I SUOI MERAVIGLIOSI COLORI


Aveva soltanto dodici anni quando

cominciò a maneggiare la matita nella

bottega del padre barbiere a Foggia.

Dipinse la sua terra con passione vera.

Fece il ritratto del compositore Umberto

Giordano, suo amico, sul letto di morte.




Franco Presicci 
Se mi venisse in mente di stilare la biografia dei pugliesi che hanno onorato la propria terra a Milano, dovrei chiedere al direttore Michele Annese tutte le pagine del giornale. Lui, nonostante sia generoso, penserebbe a una deviazione delle mie facoltà mentali. Mi resta comunque il proposito di raccogliere in un libro la vita e le opere dei tanti personaggi che ho conosciuto. Per dirne alcuni, il pittore Domenico Cantatore, di Ruvo di Puglia, al quale Giuseppe Giacovazzo a metà anni ’70 dedicò il primo documentario a colori della televisione; i tarantini Domenico Porzio, di  Taranto (tra l’altro padre, con Edilio Rusconi, del settimanale “Oggi”), giornalista e scrittore, e il poeta e critico d’arte Raffaele Carrieri (“Epoca”, “Il Corriere”);
Guido Le Noci-a Sinistra Elio Greco
Mimmo Dabbrescia
Guido Le Noci, di Martina Franca, gallerista famoso in tutta Europa (sua la prestigiosa ”Apollinaire” in via Brera); Mimmo Dabbrescia di Barletta, impegnato come brillante fotografo di cronaca al quotidiano di via Solferino prima di dar vita alla rivista “Prospettive d’arte”, quindi all’omonima galleria d’arte dalle parti del Naviglio Grande); Peppino Strippoli, di Conversano, che fece conoscere la Puglia a Moni Ovada, musicista, cantante, scultore, nato a Plovdiv in Bulgaria e trapiantato a Milano, dove si laureò, alla Statale, in Scienze Politiche, aprì a Saronno il supermercato del vino e nella terra del Porta trattorie e ristoranti frequentati da personalità eminenti: Paolo Grassi, Luigi Veronelli, Vittorio Notarnicola, pugliese caporedattore del “Corriere”, Vincenzo Buonassisi, Folco Portinari, critico letterario, saggista, docente universitario a Torino…,Salvatore Giannella, della città di San Nicola, direttore di “Airone”… Strippoli ospitò anche la “troupe” del Bolscioi in “tournèe” alla Scala, mettendo in tavola con i primi e i secondi piatti il pane di Altamura, il vino che scopriva nei suoi pellegrinaggi in Puglia e le mozzarelle di Gioia del Colle. Erano i tempi in cui, quando la “Freccia del Sud” si fermava in quella stazione, esplodevano le voci dei venditori di quel formaggio e centinaia di mani si allungavano dai finestrini per conquistarlo. Gli altri? A uno a uno, Annese permettendo, li racconterò con gioia in questa pagina. Adesso tocca ad Alberto Amorico, che con la sua tavolozza, oltre ad eseguire ritratti meravigliosi, catturò i colori e le atmosfere della sua terra. Era nato a Foggia ed era emigrato a Rho, pochi chilometri dalla metropoli lombarda.

Filippo Alto
Catalogo mostra a Titograd di Alto
Il suo nome me lo fece Filippo Alto, barese notissimo a Milano per la sua apprezzatissima attività di pittore, durante una conversazione nel suo studio di via Calamatta alla vigilia di una sua mostra a Titograd. Conosceva tutti, era coltissimo, interessato agli eventi culturali più importanti e aveva l’attenzione dei critici più autorevoli, da Renzo Biason a Maurizio Calvesi, a Mario De Micheli, a Raffaele De Grada …Telefonai ad Amorico e mi dette subito appuntamento nella sua dimora. Era il maggio del ’71. Mi soffermai davanti a un cavalletto con un bellissimo ritratto di donna e passai in rassegna le tele appese alle pareti: rustici, distese di verde inondate di luce attorno ad ovili o a casolari un po’ screpolati, brani di antiche architetture, strade deserte nel centro di paesi pugliesi.



Amorico osserva il dipinto e la modella
Lui mi stava accanto senza fare commenti: era taciturno, poco propenso a parlare delle sue opere: come Alto, pensava che il pittore dipinge lasciando il giudizio agli altri. Poi ci sedemmo nel soggiorno, lui in attesa delle mie domande e io con lo sguardo ai suoi paesaggi che mi riportavano nella mia Puglia, ai contadini, ai tratturi, alle viti di Martina, inginocchiate come in una poesia di Carrieri. Lui forse cercava d’indovinare i miei pensieri; sicuramente era lieto di vedermi osservare i suoi lavori. Al mio risveglio, avviammo la conversazione. “Il primo pennello che mi capitò sotto lo sguardo fu quello di mio padre barbiere. Il cliente arrivava con aria pigra nel dimesso salone, si sedeva sulla poltrona girevole e offriva le guance all’insaponatura.
Il ritratto finito
Ogni tanto io passavo a papà gli attrezzi: tosatrice, spruzzatore, cesoie… oppure gli reggevo il bacile. Non ero il garzone. Avevo un altro motivo per stare in bottega: mi appartavo dietro una tenda calata sull’apertura di un bugigattolo e spiando il cliente riflesso sullo specchio gli facevo il ritratto”. Fuori - aggiunse - in certi pomeriggi autunnali, in cui nell’aria circola odore di vinaccia, i suoi coetanei si rincorrevano tra i roveri, scuotendo la gente che faceva il pisolino dietro le persiane. Foggia allora era una città più tranquilla. “Feci tanti di quei ritratti, che avrei potuto allestire una galleria nello stesso negozio”. C’erano tutti quelli che avevano adagiato il cranio sulla testiera di papà: il netturbino dal volto emaciato; lo zappatore dal profilo incartapecorito; il maestro con gli occhiali alla Cavour; il muratore massiccio che faticava a sottoporsi a pettine e forbici... “. E ancora: “Il disegno era istintivo, incerto, il volto quasi sempre indovinato”. Ed era tanto per un ragazzo che aveva accumulato da poco una dozzina d’anni. Di scuole neppure a parlarne. Ne aveva frequentata una che irrobustisce: la miseria della sua famiglia.
Caricatura di Amorico
E Alberto, per procurarsi i carboncini tutte le domeniche doveva scegliere tra il “western” con Tom Mix e il cartolaio. Fosse stato sfacciato, ma già allora era serio, compito, discreto, preciso, avrebbe potuto ottenere gli uni e l’altro infilandosi tra le gambe della maschera del cinema. Un giorno in bottega entrò il proprietario di un mulino che aveva una certa sensibilità per le cose d’arte. “Salutando papà e la clientela in attesa, sorprese Alberto che occhieggiava da uno spiraglio della tenda. Lo fece venire allo scoperto, osservò lo schizzo, gli sorrise compiaciuto, suggerendo lo scultore Natola di Foggia, che poteva rifinire la mano del ragazzino, che non desiderava altro che imparare a maneggiare con abilità e sicurezza la matita. “Intuii che non era tanto la precisione esteriore di un volto che contava, non bastava la sapienza della tecnica: bisognava andare più a fondo, entrare nel vivo del soggetto, scavare nella sua psicologia, quasi penetrandone i segreti…”. E fu così che più tardi arricchì l’arco delle sue competenze artistiche con studi autodidattici sul nudo, sul paesaggio… Con il tempo in una sua figura a olio o a matita si leggevano l’anima, i sentimenti del modello… Nei suoi paesaggi c’era sempre una solidità compositiva: i suoi rustici, a lui tanto cari forse per i ricordi d’infanzia, immersi in una quiete di giorni d’estate, scaturivano da emozioni genuine ed erano resi con virtù impressionistiche vibranti. Era affascinato dalla luce: palpiti di giallo tra un piano e l’altro contribuivano a quell’aria di serenità e di ottimismo che si trasmettevano all’osservatore. Il rustico di Amorico faceva pensare a Constable anche per quella gamma cromatica modulata con tanto lindore. Atmosfera di poesia autentica, verità di toni…Il tempo per sorseggiare un ottimo caffè preparato dalla moglie Rosa, una signora molto ospitale che si muoveva con discrezione, e rispuntarono i giorni di Foggia, quando spesso la notte la sua matita tracciava un volto sotto una lampada anemica. In seguito realizzò a penna il ritratto di Umberto Giordano, quado il compositore, arrivato a Foggia, si trovò con la carrozza assediata dagli ammiratori. I più accesi si fecero largo, sciolsero i cavalli e si misero alle stanghe. Nel 1948, spentosi il maestro, autore di “Fedora”, “Madame Sans-Gene”, “Andrea Chénier”, “il Re”…, la vedova concesse ad Amorico il permesso di ritrarre il marito sul letto di morte, nella sua casa di via Durini. Per questo profilo l’artista s’inginocchiò commosso. Il quadro è esposto al museo giordaniano. Poco prima dei del congedo, Amorico descrisse la Madonna dei pescatori che stava per essere collocata sotto i portici di Varazze. “Questa Madonna ha una storia: nella nicchia dei portici ce n’era un’altra che a poco a poco veniva mangiata dall’umidità. Un maniaco una notte la deturpò, suscitando una vasta indignazione”. Il sindaco si rivolse ad Amorico, che di Madonne ne aveva eseguite molte, amante com’era dell’arte sacra. Un’ultima occhiata alle pareti, cercando volti del Sud. Mancavano. Eppure l’artista aveva trascorso ore seduto sul marciapiede della sua città ad ammirare un artigiano che all’aria aperta aggiustava le ossa alle botti, intenzionato ad immortalarlo mentre metteva insieme le doghe. Chissà quanti ritratti di contadini di Puglia, di quelli che gli erano rimasti nella memoria, si trovano in case private e in musei. Ecco, è da tempo che avevo voglia di ricordare la figura di Alberto Amorico, un artista che nella sua casa di Rho, continuava a palpitare per la Puglia, per la sua Foggia, ricordando la bottega del padre, dove iniziò a riprodurre, non visto, le facce da sbarbare e le teste da potare.








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