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mercoledì 17 aprile 2019

Quando Piero Colaprico faceva la “nera”


RACCONTAVA SCRUPOLOSAMENTE LE IMPRESE E I “BOSS” DELLA MAFIA





Scrive libri gialli di successo e saggi,
pubblicati da case editrici importanti:
Garzanti, Rizzoli, Saggiatore. Cominciò
a scriverli con Pietro Valpreda e con
il maresciallo Binda come protagonista.
Da mesi è caporedattore a Milano del
quotidiano “La Repubblica”.










Franco Presicci

Era quasi mezzanotte e in un ristorante di via Tertulliano, in periferia, conversavo con un amico, che spesso mi soffiava notizie interessanti. E mentre sorseggiavano un bicchiere di bianco di Martina Franca, commentandone l’eleganza, il profumo, il sapore, una telefonata mi segnalò una imponente operazione che polizia e carabinieri insieme, con mezzi blindati, cani-poliziotto, un elicottero, stavano per compiere, alle 5 del mattino, in uno dei più attivi mercati della droga.

Colaprico, Presicci, il questore di Milano
Continuai a parlare con l’amico, un po’ imbarazzato per la presenza di un cameriere, immobile a due passi da noi, stanco e imbronciato, ma attento alle nostre parole, in evidente attesa che si spegnessero le luci. Ogni tanto guardavo l’acquario diventato troppo stretto per i due piccoli coccodrilli che vi abitavano, ricordando la femmina che una volta riuscì a varcare la vasca e a rifugiarsi in cucina. Poi avvertii mia moglie e in macchina andai ad appostarmi in una via vicina a quella dell’imminente irruzione, da dove però potevo vedere l’arrivo delle truppe. Verso le 4 arrivò Piero Colaprico, molto più giovane di me, tenace, ricco di talento, infaticabile. Mi vide, s’infilò nella mia 850 con molta cautela per evitare sospetti da parte di eventuali “sentinelle” e aspettammo l’evento. All’ora prevista spuntarono due “pantere”, seguite da una colonna che sembrava non finire mai. Dagli abitacoli sbucarono gli uomini, agenti e ufficiali, ispettori e commissari, che entrarono negli androni di quelle case screpolate, bussarono alle porte, salirono sui tetti, altri si appostarono in punti strategici, mentre qua e là esplodevano voci rabbiose di uomini sorpresi nel sonno, urli di donne. Frugarono dappertutto, piombarono negli orti, scavarono alla ricerca della “roba”, evidentemente sapendo per controlli eseguiti a distanza in precedenza che sotto le insalate e i pomodori, le zucchine, era nascosto il veleno che veniva fornito ai ragazzi.
L'ispettore Sala, Colaprico, Presicci
Con Piero seguimmo le varie fasi dell’operazione, salimmo anche noi sui terrazzi, vedemmo decine di persone, i polsi bloccati, agitate come animali in trappola; l’elicottero che sorvolava la zona; cordoni di folla contenuta da poliziotti inflessibili. Sollecitammo alcuni abitanti, che la curiosità aveva spinto sulla strada, a raccontarci la vita quotidiana nella zona, ma ricevemmo soltanto silenzi ostinati. Paura o disperazione per il degrado del contesto o tutte e due le cose insieme. L’operazione durò parecchie ore; e quando stava per concludersi, verso mezzogiorno, si presentarono i nostri colleghi, che avevano appreso la notizia alle 11, l’ora in cui di solito ci ritrovavamo nella sala-stampa di via Fatebenefratelli per fare il giro dei vari uffici, tra cui quello del capo della squadra Mobile, che allora era Ermanno Rea. Con Piero ci incontravamo spesso davanti a una banca rapinata o un morto ammazzato. Ricordo la volta in cui erano stati trovati a letto due giovani morti, pieni di sangue, e sul momento non si capiva se fosse stato un omicidio-suicidio o un duplice omicidio.
Colaprico e il prefetto Paolo Scarpis
Notai la meticolosità con cui svolgeva il suo lavoro, l’accortezza con cui faceva domande agli inquilini, ai vicini: domande che non erano mai banali. Ricordo anche il delitto nel centro storico, il 26 gennaio ’88, che a Milano e in Lombardia suscitò clamore, dominando le pagine di cronaca per settimane. Piero e io ci incrociammo e vendemmiammo insieme, portando a casa un buon raccolto. Ricordo la strage di via Selvanesco, il 29 giugno ’84; e il delitto di corso Magenta, il 26 dello stesso mese e dello stesso anno, per il quale qualche giorno dopo andai in aereo a Zurigo, presi alloggio all’hotel Bahnpost, dove avevano arrestato l’autrice del fatto, rientrando 48 ore dopo a Milano in treno, nello stesso vagone riservato alla giovane donna, seduta, con tre poliziotti (due svizzeri e un italiano) di fianco al finestrino con lo sguardo fisso al paesaggio. Milano trasudava di storie di delitti, in quegli anni. Anche uno o due al giorno. E due furono le vittime di una sparatoria in piazzale Susa. Uno fu ucciso in piazza Napoli un pomeriggio, dopo essere appena uscito da san Vittore. Il 18 novembre dell’81, la mattanza di via Delle Rose, al Lorenteggio: quattro uomini uccisi per vendetta dopo una “dura” in una bisca clandestina.
Piero Colaprico e Antonio Velluto
Con Piero abbiamo commentammo spesso quegli episodi: ha una memoria che non fatica a sfornare situazioni, personaggi e date, come quella dell’arresto, il 29 settembre dell’84 in zona Fiera, del re della coca e delle “rondini del fango” o case da gioco clandestine; le catture contemporanee, il 4 aprile dello stesso anno, di un capo delle Br vicino alla stazione Centrale, e di un altro sotto le finestre di un convento di suore; le grandi operazioni, da “Fiori di San Vito”, realizzata dallo Sco (Servizio centrale operativo della polizia), illustrata ai giornalisti dal vice questore Manganelli, che tra l’altro elencò le “doti”, cioè gli incarichi nella ‘ndrangheta o “fibbia”         (“santista”, trequartino, “vangelista”, “sorella d’ omertà”, “mastro di giornata”), i riti d’iniziazione dell’organizzazione criminale, le sue imprese; e la “Nord Sud”. Serio, grande volontà e bravura, leale, quando Piero addentava la notizia la spolpava. Ne ha consumate, di scarpe! Ne ha trascorse, di ore appostato davanti all’abitazione di un “trombettiere” che gli poteva riempire il carniere o in un posto dove poteva sorprendere uno della malandra da intervistare. A volte quelle attese le abbiamo fatte per caso insieme; e insieme abbiamo cercato elementi delle vecchie consorterie criminali, che avevano fatto assalti in banca rimasti nella storia della “nera”; e ancora insieme abbiamo interpellato i parenti di un ragazzo finito nei guai per fatti gravi allo stadio di San Siro. Ero convinto che Piero avrebbe fatto una carriera brillante. Non ha mai avuto la puzza sotto il naso: sempre calmo, sereno, saggio, rispettoso, disponibile, indifferente al collega, quasi vicino alla mia età, che guardava i giovani dall’alto in basso e continuava a tenere banco vantando una superiorità non legittimata.
Colaprico tra il giornalista Zelio Zucchi e lo storico Guido Lopez
Avrebbe dovuto invece prendere lezioni dal giovane pugliese, che non si fermava alle conferenze-stampa, ma indagava per conto suo senza risparmiarsi. Su “Repubblica”, dove oggi è caporedattore nella redazione milanese, pubblicò, in coppia con Oreste Del Buono, un’inchiesta di tre puntate su una famiglia che dettava legge a Quarto Oggiaro e se non ricordo male riuscì a parlare con chi guidava la compagnia. Insomma con il suo impegno faceva rivivere i vecchi tempi, quelli che nell’85 furono ricordati da Gabriele Bensan, che ormai ultraottantenne viveva ad Arco di Trento, rivolgendo spesso il pensiero a Milano, dove aveva lavorato anche al quotidiano “Il Giorno”, vivendo ore di ansia per captare una notizia. Gabriele parlò con me, che stavo rispolverando fatti, protagonisti, ambienti della malavita di un tempo e le fatiche affrontate dai vecchi cronisti per afferrare un particvolare. Erano Arnaldo Giuliani e Fabio Mantica, Salvatore Conoscente e Mario Berticelli, Patrizio Fusar, tanti anni al “Giorno”, Giancarlo Rizza, Falletta, che avrebbero con ragione potuto gloriarsi della stoffa di cui erano fatti e non lo facevano per pudore. Qualche anno fa Piero ha cominciato a scrivere libri di successo assieme a Pietro Valpreda, e con il maresciallo in pensione Pietro Binda come protagonista. 

Colaprico a un convegno
Poi l’anarchico ballerino è morto e Piero ha continuato da solo. Alcuni titoli, tutti di successo: “La nevicata dell’85”, che mise in ginocchio Milano; “Trilogia della città di M.”, “La quinta stagione”; “La donna del campione”; “Mala storie”; “Quattro gocce d’acqua piovana”, edito da Marco Tropea. Ancora: “Il giallo e il nero della vita metropolitana”, dal Saggiatore; “Le cene eleganti” da Feltrinelli; “Kriminalbar”, da Garzanti; “La strategia del gambero”. Ricordo la presentazione di una fatica di Colaprico alla Feltrinelli di piazza Piemonte -presente anche il questore Paolo Scarpis -, in cui il vicedirettore di “Repubblica” Dario Crestodina confidò di non capire dove potesse trovare il tempo di compilare libri un cronista così preso dal lavoro per il giornale. Li ha scritti, il resto importa poco. E ha scritto anche diversi saggi, tra i quali ”Duomo connection”, con Luca Fazzo; “Manager calibro 9 - Vent’anni da malavita a Miano”, anche di questo coautore Fazzo; “Mala storie: il giallo e il nero della malavita metropolitana”, edizione Il Saggiatore; e chissà quante pagine ha nel cassetto in attesa del “labor limae”. Il 4 aprile, in una sala di Corsico, in un incontro sulla legalità, ha raccontato la mafia nell’Hinterland di Milano, mentre la dottoressa Dolci Alessandra, procuratore aggiunto, capo direzione distrettuale antimafia di Milano nel suo intervento, ha invitato a leggere i segnali, quai sono e come capirli. Nato a Putignano – nel Barese - paese posseduto per secoli dai Cavalieri di Malta; noto per il carnevale, dalle origini antiche; le grotte carsiche e la farinella, un cibo tipico del luogo; laurea in giurisprudenza, da sempre a “Repubblica”, dove è stato anche inviato e oggi titolare, fra l’altro, di una rubrica di risposte ai lettori. Quando si occupava prevalentemente di “nera” curava ogni dettaglio, e la lettura dei suoi articoli era sempre piacevole, avvincente. Ricordo a memoria l’attacco di un suo pezzo scritto in occasione della cattura di un esponente rilevante di “Cosa nostra”, eseguita dalla polizia: “Sul tavolo fumava ancora un piatto di spaghetti al pomodoro…”. Oggi Piero Colaprico non segue più la “nera”, ma è impegnato con la stessa energia di un tempo e con la stessa volontà, forse con un po’ di nostalgia per le strade bazzicate e anche per la sveglia che gracchiava alle prime ore del mattino.


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