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mercoledì 21 agosto 2019

Milano esaltata e criticata dai viaggiatori

Roberta Cordani


STANDHAL AVREBBE VOLUTO VIVERCI 

TUTTA LA VITA, PERCHE' L’ADORAVA




Il suo splendore anche nella Raccolta
Stampe Bertarelli, sistemate nelle sale
del Castello Sforzesco: un patrimonio
immenso, vanto della città.







Franco Presicci

Di Milano si è sempre parlato tantissimo, forse persino troppo. E se ne parla ancora. Da parte di chi la esalta e di chi la censura. Ne hanno parlato in tutti i tempi scrittori, viaggiatori, artisti... Per molti Milano affascina, avvince. Milano ha sempre catturato i visitatori più che gli indigeni con le sue piazze, i suoi monumenti, la Zecca, i Giardini Pubblici, oggi Indro Montanelli, le chiese, le vie, le biblioteche, gli archi, gli edifici storici, i navigli, che secondo il poeta Alfonso Gatto “restano strade d’acqua silente, con odore di terra, di carreggiate, di verdura… miracolo di questi canali tranquilli, su cui s’alzano persino le strade…”.

“Chi ha visto Milano nelle giornate limpide marzoline, quando tiracchia il vento e le nuvole si ammassano e si sfilacciano, quando la luce diventa cristallina come nelle tele di Bernardo Bellotto, quando le facciate si colorano col mutare delle ore non può che restarne colpito…”, scriveva Giorgio Lise, curatore dello splendido libro “Milano seducente e gioiosa”, pubblicato da Cordani editore. E Gaetano Afeltra, che era di Amalfi e che, come ricorda il grande critico letterario Giuliano Gramigna, già nel ’42 era entrato a far della famiglia del “Corriere della Sera”, sosteneva che se Milano qualche volta può sembrare inamabile resta pur sempre incantevole con i suoi teatri, i cinema, i locali illuminati, i bar allietati dal sorriso delle graziose cassiere, i tram rigurgitanti di folla nelle ore di punta, la Scala e il “Corriere”… “Milano che sta al centro vivo dell’Europa, ma mantiene ancora il profumo della realtà lombarda; città insostituibile per tanti milanesi e tanti che milanesi non sono…”. Questo canto d’amore don Gaetano, che tra l’altro diresse il quotidiano “Il Giorno” quando la sede era in via Fava, lo fa in un libro, “Milano amore mio”, che si legge volentieri anche per la limpidezza e la semplicità dello stile appassionato. “Bellissima Lombardia, e bella Milano - scrive Guido Piovene nel suo ‘Viaggio in Italia’, del ‘57.
Il Naviglio Grande
Bisogna liquidare il luogo comune che questa regione e questa città siano inferiori di bellezza al resto dell’Italia. Certo la bellezza lombarda è meno rigorosa e chiusa, e perciò più difficile intenderla a prima vista di quella veneta e toscana. Ed è anche meno esemplare, meno italiana, per lo straniero che avvicina l’Italia e la vuole conoscere nei suoi paesaggi resi tipici dalle convinzioni turistiche…”. E Stendhal, giunto qui per la prima volta in divisa di dragone dell’esercito francese, disse che “Milano è stata per me, dal 1800 al 1821, il solo luogo in cui abbia sempre desiderato di stare. E aggiungeva un commento dal punto di vista pratico, e cioè che a Milano un pranzo eccellente, per due persone, nel ristorante dei nobili, “costa appena sei lire” e altrettanto un palco alla Scala. Non si contano i forestieri che hanno avuto come mèta questa città. Uomini e donne. Fra le seconde, Lady Sidney Owenso Morgan, di Dublino, e Olga von Gerstfeldt, polacca.
La Scala da "Milano seducente e gioiosa"
Le personalità, francesi, tedeschi, spagnoli…, che vennero a Milano a visitare il Duomo, Palazzo Reale, il Palazzo de Mercanti, il Teatro alla Scala, la Galleria de Cristoforis, Palazzo Brera, le chiese, le porte, la basilica di Sant’Ambrogio e altri luoghi importanti alloggiavano prevalentemente all’Albergo del Pozzo, che nel secolo XVIII era considerato il migliore della città. Ospitò anche ambasciatori e capi di Stato. Portieri di notte, camerieri, guardarobiere, maitre ricevevano i clienti con tutti gli onori; e se erano illustri, mobilitavano la banda musicale. I destinatari di questo trattamento provavano ovviamente piacere, e se avevano una lamentela da fare riguardavano i prezzi, considerati un po’ alti. Anche fuori dell’hotel avevano dissensi da esprimere. Per esempio la Biblioteca Ambrosiana, sempre affollata di studiosi, secondo molti era inattaccabile sotto tutti gli aspetti; secondo altri, invece, aveva assorbito più soldi per i dipinti che per i volumi; secondo altri ancora le opere che ritraevano uomini celebri erano addirittura inutili. 
Il Duomo
I luoghi più visitati erano il Duomo, da tanti esaltato per la grandiosità e la quantità delle statue e da altri disapprovato: “Tutto è gotico e quindi grossolano”. Prese di mira anche le finestre: senza vetri. Ma ammiravano certi edifici patrizi, come Palazzo Litta. Del Castello dicevano che era una delle fortezze più imponenti d’Italia; e dell’Ospedale Maggiore che era magnifico, tanto che a loro dire qualcuno “si deciderebbe essere un po’ malato per alloggiarvi”. Elogiavano le collezioni di orologi, cannocchiali, microscopi esposte nelle sale di Palazzo Settala in via Pantano e altri oggetti lì collocati. Piacevano le donne in abbigliamenti vistosi, che amavano farsi corteggiare, le ville spettacolari, scenografiche, simboli di potere e di ricchezza, sparse nei paraggi della città, dotate di verde architettato a mò di galleria, e di fontane e di aiuole come tavolozze d’artista, semiarchi, sculture, trionfi di profumi… I visitatori consideravano il dinamismo di Milano invidiabile: entusiasmo che dava impulso a nuove opere, pubbliche e private, moltiplicando i progetti, che per fare spazio e luce precedevano abbattimenti di ciò che pareva brutto o superfluo. I padroni di casa si mostravano bonari, cordiali. Nel !789, l’agronomo inglese Arturo Young, scrittore e saggista, che si occupò anche di economia e di statistiche sociali (nel 1784 cominciò a pubblicare gli Annali dell’agricoltura, continuati con 45 volumi, che ebbero contributi anche di re George III con lo pseudonimo di Ralph Robinson), arrivò per analizzare l’agricoltura lombarda e trovò porte spalancate ovunque, soprattutto dal marchese Visconti e dal conte Castiglioni. 

Tram sulla neve
A molti stranieri Milano dunque piaceva. Tra l’altro osservavano gli opifici e le loro attrezzature, come quella, che, introdotta nel 1760 da Carlo Morelli, consentiva di accelerare molto il lavoro. Young andò anche in una società detta d’incoraggiamento, voluta da Maria Teresa; e quando varcò la soglia lo salutarono con calore e gli mostrarono gli ambienti, interrompendo una riunione. Un artigiano aveva appena finito d’illustrare un’invenzione che ottenne un riconoscimento, fu applaudito anche dall’eminente forestiero. Poi fu la volta di alcune aziende agricole, dove Young presenziò alla fattura del formaggio e apprese informazioni sui metodi d’irrigazione. Più che soddisfatto, annotò tutto; e scrivendo sul suo viaggio a Milano e dintorni rese omaggio all’acutezza di questi procedimenti, facendo confronti con il proprio Paese.

Foro Bonaparte col Monumento a Garibaldi
Per l’inglese Richrd Lassels, Milano era una grande città. L’astronomo francese Joseph-Jerome Lafaud ne celebrò la cultura e le scuole, che formavano allievi molto preparati. I forestieri – annotava Lorenzi - apprezzavano anche le carrozze nobiliari, scortate da valletti in livrea, i “lacchè”, i quadrupedi imponenti parati a festa anche quando il corteo era diretto alla villeggiatura, di solito verso settembre. 

Catalogo Raccolta Bertarelli
La città vantava un primato anche in questo settore: secondo una statistica riportata da Gualdo Priorato nella sua ”Relazione della Città e Stato di Milano”, già nel 1666 circolavano 115 tiri a sei, 437 tiri a quattro, 1034 tiri a due. I cocchieri non si attenevano sempre all’ordine di andare piano sia di giorno sia di notte. Correvano a velocità pericolosa, addirittura ingaggiando gare tra loro, rischiando una multa o il carcere per un mese. Alberto Lorenzi riferisce che ad incorrere nel rigore dell’autorità fu anche la contessa Brebbia, che si offese parecchio. Successivamente le redini della giustizia si allentarono e ad essere perseguite furono soltanto le carrozze comuni, cioè quelle dei vetturini di piazza, che, nonostante un suggerimento poetico di Carlo Porta, scritto stando comodamente seduto in carrozza, continuarono a non rispettare i divieti. Senza curarsi neppure dei cavalli, costretti a fare una fatica in più per il divertimento dei “brumisti”, cioè i padroni. L’ultimo rappresentante della categoria fu – ricorda Cesare Comoletti – il scior Togn Esposti, andato in pensione nell’aprile del 1978, dopo tanti anni in serpa nella sua bella uniforme imposta dal Comune nel gennaio del 1870. Splendide immagini di quei tempi sono custodite dalla Civica Raccolta delle Stampe A. Bertarelli di Milano, nata dalle cospicue donazioni, nel 1925, al capoluogo lombardo di Achille Bertarelli, studioso profondo e infaticabile, che, nato a Milano nel novembre del 1863, laurea a Bologna nel 1888, amante a sua volta dei viaggi, cercò nelle stampe (biglietti di visita, ex libris, calendari e almanacchi, teatro e spettacoli, manifesti pubblicitari, ventagli, arti, mestieri e professioni, cartoline, carte da lettere figurate… ) le testimonianze delle attività in ogni settore dei tempi andati. Le raccolte, migliaia e migliaia, sono state sistemate dal Comune in alcune sale del Castello Sforzesco. Un patrimonio immenso. Achille Bertarelli morì a Roma nel ’38.







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