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mercoledì 14 agosto 2019

Un paio d’ore a Crispiano con un artista



Adamo Di Palma
LE PREGEVOLI OPERE DI ADAMO DI PALMA

ESEGUITE CON LA LEGNA DA ARDERE 


Passa almeno tre ore al giorno al tornio,
d’inverno di più. Quando non realizza i
suoi capolavori se ne va in campagna a
lavorare con la motozappa. Ha allestito
due mostre; prossima una terza nei locali
dell’Università del tempo libero e del
sapere, diretta da Silvia Annese.

 





















INTERVISTA DI FRANCO PRESICCI


Reliquario
Un cubo che al minimo stimolo si agita imprigionato in un cilindro di radica con quattro aperture; un calice ben sagomato; un ostensorio; un reliquario; un sinuoso delfino spiaggiato scolpito in un pezzo di ulivo; sfere piccole e grandi con intermittenze cesellate e tante altre opere sono i “gioielli” eseguiti da Adamo Di Palma nel suo laboratorio allestito in un locale della sua bella villa a Crispiano.
Le sfere






Sparsi su un ripiano sgorbie, martelli, lime e per terra vicino al tornio e in un angolo, pezzi di legno pronti per essere trasformati in forme suggerite dall’estro dell’autore. Seduti a un tavolo con Michele Annese passiamo in rassegna le opere di Adamo, che sta in piedi con un sorriso amabile, senza darsi arie da artista, anche se la definizione gli compete. Alto, faccia vagamente da Mel Gibson, non si sottrae all’invito di raccontarsi, mentre la moglie, Maria Pia Santoro, dispone sfere, altri oggetti a forma di carciofo e “faraglioni”, descrivendoli ammirata.

Il cilindro in legno e Annese
Scultura e pumi

La signora è gentile, ospitale, premurosa, orgogliosa della genialità del marito. “Pensi che ha fatto anche cento bomboniere per il nostro matrimonio”, dice indicandone un esemplare. E poi: “Guardi queste scatolette con il coperchio arabescato e queste altre bombate”. Non vuole sostituirsi ad Adamo nel narrare, ma integrare, arricchire le informazioni che lui fornisce con un tono pacato, a spizzichi e bocconi. Gli chiedo se abbia fatto una mostra, perché questi suoi lavori meritano di essere visti e apprezzati. Ne ha fatte due: una nelle sale della biblioteca “Carlo Natale”; un’altra nella masseria Pilano, calamitando un pubblico scelto e interessato. Lo ricorda Annese che coglie l’occasione per invogliarlo ad esporre all’Università del tempo libero e del sapere, diretta dalla moglie Silvia, già professoressa d’italiano e corrispondente del “Corriere del Giorno”, il quotidiano che usciva a Taranto.
Di Palma e il cilindro col cubo
La Bimare. Lì è nato Adamo. In viale Virgilio, precisamente in via delle Ceramiche, a un centinaio di metri dalla scogliera, alla quale si arrivava lasciandosi alle spalle l’oratorio dei Salesiani. Due passi dal mare, dallo stabilimento balneare “Santa Lucia”, riservato agli arsenalotti. E di Taranto questo artista prolifico e delicato ha tanti ricordi: di strade, persone, avvenimenti. Non ricordi pallidi, ma limpidi. Ascolto con interesse quando afferma che molte delle cose di una volta sono scomparse, come lo stesso sentiero che portava agli scogli, sepolto per dare spazio al cemento. Stiamo per deragliare? Ma no, La Taranto dello scrittore Giacinto Peluso, dei poeti Alfredo Nunziato Majorano, Diego Marturano, Nerio Tebano, Claudio De Cuia; del Galeso caro a Orazio, a Virgilio…; del ponte di ferro; del canale navigale che lega i due mari, Il Grande e il piccolo; la Taranto dei tramonti da tavolozza fa parte della sua vita e lui, pur vivendo a Crispiano, dove soggiornò Alda Merini, la poetessa dei navigli milanesi, non la dimentica. Ma siamo qui, in questa villetta ariosa, spaziosa, ampiamente illuminata, i cui balconi danno sulla via che porta a Martina Franca tra vigneti e uliveti, per osservare anche i bracciali, le collane, gli anelli, i pumi, da regalare per la loro funzione apotropaica, che Maria Pia tira fuori dai contenitori, che lei custodisce gelosamente.
Di Palma mostra il cilindro in metallo

Adamo guarda, come se li vedesse per la prima volta. E’ un uomo sereno, simpatico, quasi un frate cappuccino anche per quella sua barba ben curata. Sorride, quando, scherzosamente, glielo dico. Per un tratto mi ha ricordato Padre Mariano, che a suo tempo predicava dalla televisione, concludendo con le parole pace e bene a tutti. Allora, Adamo, ripercorriamo la sua storia. “Ho lavorato per vent’anni come tecnico di laboratorio all’Istituto professionale “Archimede” di Taranto; e per altrettanti anni all’Istituto tecnico ”Majorana” di Martina Franca. A Taranto ero stato assunto per insegnare ai ragazzi i primi rudimenti, quindi, nel ’64, ho cominciato ad impegnarmi a casa, un anno prima del mio matrimonio. Usavo il metallo (acciaio, alluminio…); poi Maria Pia ha preferito il legno. E ho fatto le bomboniere”. Ho continuato con il delfino. Adoperando la radica. “L’ho fatto con un pezzo scoperto in una pizzeria di Torre Canne, dove stava per finire nel forno”. Un delfino che sembra in movimento nel disperato tentativo di riconquistare il suo elemento naturale: un cetaceo dalla pelle lucente che vorresti accarezzare. Il retro della scultura raffigura la roccia.

Il retro del delfino realizzato con una radica d'ulivo

Opera splendida, degna di un posto di riguardo in salotto, sul mobile più bello, fra un Treccani e un Fiume. Torniamo a Taranto, la sua culla. Non se lo fa ripetere. Tarantino verace come le vongole che tanti anni fa i bagnanti raccoglievano a Lido Bruno, a Praia a Mare…, scavando con le mani nella sabbia del mare a pochi centimetri di profondità. “Avevo 6 anni e con il permesso dei miei genitori andavo dai pescatori che tiravano la rete a riva, davo loro una mano e mi entusiasmavo alla vista del pesce che cercava di guizzare. Una decina di alici venivano versate nel mio recipiente: “’u cammelline”. Un po’ di dialetto ristora. Ed ecco emergere parole come “chiudde”, pescatore (il grande Piero Mandrillo, che era di Pulsano, ma appassionato cittadino di Taranto, ne studiò la genesi) e ‘a nache”, la culla. Il dialetto è inciso nel nostro cuore. Ovunque andiamo, lo portiamo con noi, se amiamo davvero questa città bella e sfortunata.
Adamo Di Palma marinaio
Durante la nostra conversazione riviviamo i giochi di una volta: “’u spezzjidde” (il legno quasi a punta che con un’asta si lanciava il più lontano possibile, per vincere); le cinque pietre (si lanciavano in alto a una a una raccogliendole nel palmo della mano mentre velocemente si prendeva l’altra); “’a levorie”. “Palle, palette e levorie”, dice Adamo. Lo contesto. “Cape, ce mandene jè fatte”, avvertimento seguito dalla frase pronunciata da lui. Ah, il dialetto. Dopo cinquant’anni trascorsi a Milano non è stato scalfito dal vernacolo meneghino. Ho dato lezioni propedeutiche a un collega camuno, che ha trattenuto alcuni suoni (il dialetto è musica).
Pumi
Sfera in metallo

Dimenticavo: “’U currùchele”. Quante “azzugnate” hanno onorato il mio. Adamo si diverte. A Crispiano non ha la possibilità di liberare la sua parlata madre. Ci rimettiamo sulla via che avevamo intrapreso: “Già da piccolo avevo una buona manualità. Facevo spade e con i raggi dell’ombrello frecce da impiegare nella guerra fra banditi e indiani. Quando giunsi all’età di 14 anni ci trasferimmo ai Tamburi, nei pressi dell’Italsider. Poi con le nozze seguii Maria Pia a Crispiano, la città delle cento masserie, le cui origini sono lontane nel tempo.
I coniugi Di Palma-Santoro con Presicci e la moglie Irene


Maria Pia si è assentata e rispunta con un vassoio di dolci, che offre con generosità ed eleganza. Poi regala a mia moglie, Irene, una scatoletta pregevole con un intreccio armonioso di linee cesellato sul coperchio. Adamo, che tipo di legno adotti? “Il mogano, il limone, il noce, il pero (pregiato), l’arancio, legni esotici come il “paduk” (rosso) e il “bechèt” (nero). L’ulivo vado a prenderlo da Marcucci di Crispiano, che ha cataste da ardere. Io lo faccio stagionare. A darmi più soddisfazione è proprio l’ulivo. La consideri un “hobby”, questa tua attività? “Sì un hobby”. “Più che un hobby”, irrompe sorridendo Maria Pia. Hobby o no, le sue sono opere d’arte.
L'artista Di Palma al tornio
“Quando non sono al tornio, dove trascorro almeno tre ore al giorno, e d’inverno molte di più, sono in campagna. Ne abbiamo due: una a Martina Franca, dove sto realizzando un bonsai d’ulivo. Insomma, artista, artigiano e contadino che manovra abilmente la motozappa e dà anche alimento ai fiori. Descriviti, Adamo. Maria Pia lo anticipa: “E’ uomo riflessivo, che sa scegliere le persone da frequentare (devono essere in gamba e naturalmente perbene). Non frequenta la piazza nè il bar. Gli piacciono il mare e il suo dialetto. E la sua città d’origine”. Hanno fatto una crociera sui mari di Taranto, sulla motonave “Clodia”. A bordo c’era il professor Enzo Risolvo, che faceva da guida e spiegando a volte ricorreva al dialetto. Il dialetto è la nostra anima. Quanti lo parlano, oggi? Male facevano i nostri genitori a imporci di non usarlo, perché, secondo loro, era volgare. Salutiamo Maria Pia, Adamo Di Palma ci accompagna giù e riprende a dare una mano di vernice al cancello.














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