Pagine

Print Friendly and PDF

mercoledì 11 settembre 2019

Mario Dagnoni, “stayer” di grande successo


Mario Dagnoni

QUANDO NON CORREVA TIRANDO I CAMPIONI
INTERPRETAVA DIVERTENTI CANZONI MILANESI 

Fu amico di Fausto Coppi, che con lui si confidava

considerandolo una persona riservata.

Nella sua cascina di Limito ha ricevuto Bearzot, Gianni

Motta, Felice Gimondi, Ernesto Colnago, corridore legato

a Eddy Mercks, e tante altre glorie dello sport.










Franco Presicci

Cominciò giocando al calcio. Poi scelse la bicicletta. E in sella percorse le stradine attorno a casa, affrontando in seguito itinerari più lunghi, non soltanto nell’ambito di Lavanderie - un centro poco distante da Milano - dove ha un’azienda. Al rientro, era soddisfatto. Si affezionò alle “due ruote” e la cavalcava sempre più spesso. Divenne bravo, bravissimo. E partecipò a gare con molto entusiasmo, tanto da vincere il campionato italiano Uisp (Unione italiana sport popolari).
Piazza della Scala
L’anno successivo conquistò dodici vittorie su strada. Gli proposero di correre come motociclista tra gli “stayers” ed ebbe successo. Intanto Mario Dagnoni - di lui parlo - cantava in milanese, componendo anche qualche piacevole canzone in vernacolo. Gli amici, e non soltanto loro, lo ascoltavano volentieri, nella sua cascina di Limito, dalle parti della casa editrice Mondadori, a Segrate. Li riuniva spesso, gli amici e i conoscenti, in quella struttura agricola, dove in un angolo del salone aveva il suo bel pianoforte. A volte si esibiva in coppia con Armando Pisanello, informatore scientifico pugliese da anni a Milano, che aveva imparato molto bene a prestare la sua voce a brani lombardi. Dagnoni cantò anche con Nanni Svampa, che poi dette vita ai Gufi con Gianni Magni, Roberto Brivio e Lino Patruno, e con loro realizzò per la Durium, in dodici 33 giri, “La Milanese”, presentando l’opera alla cascina Abbadesse, in viale Zara, in una serata affollata di giornalisti, discografici. scrittori, interpreti del cabaret. 
Gigi Pedroli
Da un po’ Nanni Svampa non c’è più. Dagnoni amava dire: “Sono rimasto uno dei pochi a cantare in milanese autentico”, non ricordandosi di Gigi Pedroli, che scriveva, e continua a scrivere, sempre in dialetto, brani di tutto rispetto, ispirati soprattutto al naviglio e alla sua gente, oltre ad eseguire acqueforti pregevoli, che hanno come soggetto quasi sempre Milano. Come “stayer”, Mario Dagnoni è stato un campione. Ha vinto, con vari ciclisti dietro il suo rullo, 28 campionati italiani, 5 Gran Premi d’Europa, circa 400 altri Gran Premi anche in corse meno importanti, due medaglie di bronzo, una d’argento e 3 d’oro. Ha avuto la fortuna di tirare corridori come Marino Vigna, Francesco Moser, Louison Bobet, Beppe Saronni, Eddy Mercks. Ed è stato amico di Fausto Coppi. “Il campionissimo mi faceva delle confidenze, ma io lo chiamavo signor Fausto. Un giorno gli chiesi il motivo che lo spingeva a dirmi tutte quelle cose e lui mi rispose che ogni uomo ha bisogno di parlare con un altro uomo, aggiungendo che mi considerava una persona a modo, molto riservata e quindi degna di raccogliere i suoi sfoghi.
La Stazione Centrale
E io ho sempre rispettato il segreto anche con mia moglie e con i miei ragazzi anche dopo la sua morte, per riguardo alla sua memoria. Sono amico del figlio Faustino e dei cugini del campionissimo, Sergio e Piero”. E le canzoni? “Fui coinvolto da un pugliese come te, ma della provincia di Lecce, Armando Pisanello. Lui cantava in napoletano; io ho poi preferito Giorgio Gaber, Nanni Svampa…”. Quali sono i tuoi pezzi forti? “’Il ballo in maschera’, di Mimmo De Miccoli; ‘I tusan de Milan’ (brano che celebra le ragazze che la sera, a maggio, vanno a spasso gorgheggiando in gruppo; ‘El noster dialett’; ‘Nostalgia de Milan’; ‘Lassa pur ch’el mond el disa…”, e continuò la lista, invitandomi ad ascoltarli nella sua cascina, dell’800, dove le donne di casa preparavano la cena con piatti milanesi. I brani che hai scritto tu? “’La canzone della mamma’…”.
Lavandaia
Mario, che è presidente della Darimec (Dagnoni riduttori meccanici), con sede a Lavanderie, non è abituato a vantarsi: è cordiale, spiritoso, compagnone. E ama moltissimo Milano, che conosce profondamente. “Durante la guerra i lavandai del mio paese, che da loro prende il nome, per non essere derubati mentre prelevavano la biancheria sporca al Savini in Galleria o al Bar Commercio in piazza Duomo… portavano sul carrettino un ragazzo che faceva da guardiano”. Uno era lui. “Milano mi piaceva, nonostante gli sfregi che le avevano provocato le bombe, e quando ne avevo l’occasione la visitavo”.
Piccolo Teatro
Diventato grande, le occasioni si sono moltiplicate e veniva a godersi la città, dalle vie e viuzze del centro ai canali, da piazza Duomo al Castello Sforzesco, a via Rovello, dove sorge il Piccolo Teatro, nel quale ogni anno da Franco Punzi viene presentato il Festival della Valle d’Itria, ormai noto e apprezzato nel mondo. Gli domandai ancora: Quando iniziasti a giocare al calcio? “All’età di 15 anni, nella prima squadra dell’Innocenti, la più prestigiosa. Poi mi accorsi che nel ciclismo si guadagnava di più e scelsi il manubrio, entrando nella società ‘Luigi Campeggi’ di Lambrate (quartiere di Milano); quindi in quella di Crescenzago, l’’Ottusi’, con ottimi risultati”. In seguito passò allo Sport Club “Genova” di Milano, che lo indusse a correre in pista. Fu il commissario tecnico degli “stayers”, Edoardo Severgnini, ad esortarlo a correre in motocicletta tra questi specialisti. L’idea gli andò a genio e accettò. Lo incalzai e proseguì: “I miei ricordi sono una montagna. Mamma, quanti”: Si mise a pensare, stringendo il mento tra il pollice e l’indice destri. Sorrise. “Si osava dire: “Andiamo a Milano”, nonostante la distanza tra Lavanderie e la Madonnina ci sembrasse tanta. Allora Lambrate, che stava tra il capoluogo Lombardo e Lavanderie, faceva comune a sé. Lavanderie era terra di Lavandai, uomini e donne, che svolgevano la loro attività nei fontanili della zona. Milano era ordinata, pulita, non ingolfata nel traffico come oggi, frenetica, spossante. La Galleria Vittorio Emanuele luccicava: era davvero il salotto buono della città, un’oasi di pace, di silenzio.
Il Savini
Alzavamo lo sguardo verso la cupola per vedere il ‘ratin’, credendo fosse un topolino con la casa tanto in alto; e invece erano delle fiammelle a gas accese da uno speciale meccanismo a molla, che “scorrendo velocemente giro giro, lasciava dietro di sé una scia luminosa” (Guido Lopez), a cui i milanesi dettero quel nome. C’era la guerra ed erano parecchi i giorni in cui non si andava a scuola per paura dei bombardamenti. I ‘confetti’ cadevano all’improvviso, facendo disastri. Tanti gli edifici danneggiati, la stessa Galleria, la Scala…, diffondendo il terrore fra la popolazione. Mi ricordo soprattutto le bombe su Gorla. Io ero in classe, alla ‘Pietro Maroncelli’, a Lambrate, e quando sibilò la sirena chiusero il cancello per non farci uscire. Senza pensare al pericolo, lo scavalcai, corsi a Gorla e vidi il macello: una scuola elementare disfatta, nella piazzetta, quasi di fronte alla piccola chiesa. Una strage d’innocenti. Gli ordigni violarono anche il convento della Visitazione in via Santa Sofia e il pesante portone venne aperto per lasciare uscire le monache di clausura”. Non volle dire altro sull’argomento, che provocava angoscia. “La guerra è terrificante”. Tornammo allo sport. “Per 20 anni sono stato la prima guida nazionale e ho riportato le soddisfazioni che ti ho detto. Che posso ancora aggiungere? I tempi d’oro del ciclismo sono stati quelli compresi tra il 1960 e il 1995. C’era più trasparenza, La lealtà era sicuramente un valore. La categoria degli ‘stayers’ è venuta a mancare quando sono state inserite specialità a noi estranee, venute da molto lontano. Lo considero un peccato. Con lo ‘stayer’ è venuto meno anche il tandem, specialità molto spettacolare e quindi molto seguita dagli appassionati di ciclismo. Annoverava tanti virtuosi… Dimenticavo, alla cascina di Limito, detta ‘casinetta del Mario’, si racconta abbia dormito Napoleone Bonaparte, diretto a Cassano d’Adda, per il primo catasto al mondo, che ha funzionato sino a pochi anni fa”. Hai una moglie, Diva, e tre figli. I ragazzi seguono le orme del padre? “Cordiano e Christian guidano moto leggere anche durante la Sei Giorni”. Le serate di Mario erano frequentate da nomi prestigiosi anche dello sport. “Sono venuti Bearzot - mi disse - Gianni Motta… Ogni anno organizzavo una festa con tutte le medaglie d’oro del ciclismo e arrivavano Ernesto Colnago, costruttore di biciclette e già ottimo corridore legato a Mercks, Felice Gimondi… Ho grande nostalgia dei tempi andati, perché il ciclismo di 50 anni fa era meno raffinato, ma praticato da uomini di parola”. Questa frase concluse l’intervista, svolta in casa mia lunedì 27 ottobre 2008. L’imprenditore campione aveva 73 anni ed aveva un fisico ancora forte.






Nessun commento:

Posta un commento