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mercoledì 26 febbraio 2020

Il fotografo che per fare i suoi scatti mette le ali


Piero Orlandi
SAPESSI QUANTO E’ BELLA 


MILANO VISTA DALL’ALTO


Piero Orlandi ha una passione per Milano.

Guai a dire male della città del Porta. 

Per lui è favolosa; e l’ha ripresa in ogni angolo: 

“Sono felice quando punto l’obiettivo sulle sue preziosità”. Adora le cascine, i cortili, i monumenti, la Cattedrale, le vie storiche, le piazze…


 

 

 

Le foto della Basilica di San Simpliciano e dell’Abbazia e cascina-monastero di Abbazia Cerreto, viste dall’alto sono di Piero Orlandi

 



Franco Presicci
Le sue foto hanno contribuito ad impreziosire i volumi della Celip, la casa editrice di Nicola Partipilo, con quelle di Mario De Biasi e Fulvio Roiter. Fa riprese dall’alto, dall’abitacolo di un elicottero, che si alzava ronzando, andava dove lo portava lui, Piero Orlandi, che puntava l’obiettivo su prati, abbazie, risaie... A volte, dopo essersi allacciato bene la cintura, apriva lo sportello e scattava su una villa di delizia o su un’architettura rurale, anima e fulcro del lavoro contadino, magari facendo inclinare la libellula senza provare un brivido. Non so se lo fa ancora: non lo vedo da tanto tempo. 
L'Abbazia e la cascina-monastero di Abbadia Cerreto
Avrei voluto navigare nell’aria con Orlandi, ma quando lo incontrai nella libreria di Nicola Partipilo, in viale Tunisia, via cara al compianto presidente della Repubblica Sandro Pertini, non me la sentii di chiederglielo. Da qualche mese lo storico tempio della cultura, notissimo a Milano, e molto ben frequentatao(ci andarono Enzo Biagi, Carlo Castellaneta, Gianni Brera, Guido Lopez…), ha abbassato la saracinesca per sempre, per i motivi che costringono tanti librai a svuotare gli scaffali, e non ho più la possibilità d’incrociare questo grande fotografo, che per fare uno scatto particolare usava spesso mettere le ali. “Non immagini come sia bella la città vista dal cielo. Se ne ha una visione totale, come hai notato editando i miei volumi su Milano per la tua Celip”, disse un giorno a Nicola, che era diventato editore grazie alla grande passione che nutre da sempre per questa città, pur essendo nato a Bari. S’inebria, Piero Orlandi, quado parla di Milano, “bella, bellissima, come hanno scritto autorevoli autori“. Non toccategli Milano. S’inalbera, lui così pacifico e sereno, quando sente parlare male di Milano o della Lombardia. 
Giardino verticale

Certo io non posso dargli torto, pensando come lui. L’amarono ed esaltarono anche geni della tavolozza, come Pietro Annigoni. Il Carducci come Catullo celebrarono Sirmione. Corrado Alvaro, nel suo “Itinerario italiano”, scrisse che “tutto a Mantova parla un grande linguaggio, torri, castelli, palazzi”. Stendhal elogiava Milano come la città europea che “vanta le strade più belle e i più bei cortili …”. E potrei continuare. Orlandi ha percorso la Lombardia e Milano con la macchina fotografica appesa al collo, e ne conosce ogni angolo. Ha passato ore ad aspettare la luce voluta., con la pazienza e la costanza di un cacciatore appostato nell’uccelanda. E’ nato nel “borg di Cigulat”, in via Paolo Sarpi, che già settant’anni fa era un centro importante e popoloso. “Allora Milano era certo più vivibile, vi si poteva circolare in bici o sui pattini; sulla strada si poteva giocare al pallone o a ‘tollini’…”. I tollini? “Tì, ricordi i tappi metallici delle bibite? Quelli erano i tollini. Li si scalciava verso un tombino e chi lo centrava vinceva”. La domenica, con il papà capo contabile all’Icmesa, si armava di macchina fotografica e faceva con lui un giro sui Bastioni e oltre. “E’ scoccata da lì la mia passione per la fotografia”.Quasi ancora un bamboccio, riprendeva le facciate dei palazzi nobili, i giardini, le vie storiche, come la Bigli, dove visse il poeta Premio Nobel Eugenio Montale; piazza Belgioioso, una delle più affascinanti; via Borgonuovo, dove abitò il poeta e critico d’arte tarantino Raffele Carrieri; i monumenti, i cortili, i navigli… Quando capì che quello sarebbe stato il suo mestiere, dopo aver frequentato per qualche anno Brera, si iscrisse alla scuola di fotografia “Cesare Correnti”, dimostrando subito di avere talento, tanto che venne mandato alla facoltà di Agraria, diretta da Vittorio Treccani, ripartizione microbiologia, per impiantare la camera oscura e insegnare ai docenti ad eseguire foto al microscopio. Quando era alle prime armi già si prendeva le sue soddisfazioni, e non si montava la testa. Ancora oggi è una persona alla mano, cordiale, riservata, generosa, di poche parole. Gli chiesi una foto che ero quasi sicuro non avesse; e alcuni giorni dopo eccone una con un bellissimo asino di Martina Franca. 
La Basilica di San Simpliciano dall'alto
Me la consegnò nella libreria di Nicola, mentre l’architetto Empio Malara, esperto dei navigli, presentava il libro sui corsi d’acqua, licenziato anche questo dalla Celip. “Allestii lo studio in casa nel ’60”. L’anno in cui, il 7 maggio, si concludeva “Il Musichiere”, fortunatissima trasmissione televisiva condotta da Mario Riva con la sigla “Domenica è sempre domenica”, e al Festival di Sanremo trionfava “Romantica” con Renato Rascel, battendo “Libero” di Domenico Modugno, che aveva trionfato l’anno precedente con “Piove”. Ci sono uomini che di passioni ne hanno più d’una. Piero Orlandi ha anche quella per il volo. E prese il brevetto di pilota di aerei da turismo. 
Torre Velasca



Quando l‘ottenne chiese l’autorizzazione al ministero della Difesa di riprendere l’Italia dalle nuvole, e sorvolò la Torre Velasca, il Castello Sforzesco, l’Università Statale, che con i suoi cortili forma quasi una mezza scacchiera, il Duomo, la Madonnina, la darsena, la Triennale incastonata nel verde del parco Sempione, la Basilica di Sant’Ambrogio, la Cassina de’ Pomm, lambita dal naviglio Martesana che in via Melchiorre Gioia si tuffa sotto l’asfalto… Prese così corpo il suo primo omaggio alla città dal cuore in mano: “Milano dal cielo”, un libro splendido, spettacolare. Con tutte quelle immagini realizzate magistralmente sfidava chiunque a dire che la terra meneghina non avesse nulla a che vedere con la bellezza. “E’ discreta, la bellezza di Milano, ritrosa, non civettuola”, ha scritto Guido Piovene nel suo “Viaggio in Italia”. Milano somiglia a una signora che arrossisce a sentirsi complimentata. E’ bella soprattutto dove possono vederla soltanto pochissimi privilegiati. E’ bella nei cortili interni delle case patrizie, spesso vigilati da custodi inflessibili, come fossero a guardia del “caveau” di una banca. Lo è in corso Venezia, dove può ammirarla chi vuole, chi sa camminare con il naso all’insù, come scrisse Francesco Ogliari nel suo libro “Milano di sopra”. Che, presentato al Pac (Padiglione di arte contemporanea) di via Palestro, credo nell’80, fu accolto da un pubblico numeroso, tra cui Renato Pozzetto. E’ bella dunque Milano, Piero. “Basta spingere il passo verso piazza Belgioioso…”. E ripete: “Specialmente vista, ripeto, dall’elicottero Milano è favolosa, procura emozioni indescrivibili “. Gli piace trasformarsi in volatile. Lo ha fatto anche per la De Agostini. Quanta fatica, accettata con gioia. Se sceglie un castello, una villa, prima d’inquadrarli li studia, fa ricerche, visita gli interni, parla con le persone. Quando decise di illustrare i libri sulle cascine i cortili lombardi (l’editore volle me come autore del testo) tornò diverse volte nelle strutture più importanti, facendo, per esempio, domande sulla vita che vi si svolgeva un tempo… “Devo sentirlo, l’ambiente”. 
Piazza Duomo
Di Milano coglie tutti gli aspetti, i dettagli, i simboli… Ho meditato su alcuni suoi libri, avendo la sensazione di intraprendere percorsi indimenticabili, con vecchie strade ricche di edicole abitate da madonnine, alle quali qualche vecchietta porta i fiori; via della Spiga con la sua fisionomia ottocentesca; la scala interna del palazzo Poldi Pezzoli; l’edificio contrassegnato dal numero civico 15 in via Borgospesso, dove si trovava il salotto di donna Cima, figlia e nipote di patrioti lombardi; il bassorilievo della scrofa annidata nel secondo arco su via dei Mercanti; le cariatidi, le “vedovelle”, che sopravvivono nei “vicoli” di corso San Gottardo; il Liberty, il palazzo “dei parol che sgura”, quello con le frasi pubblicitarie che scorrevano sulle facciate dirimpetto al Duomo; e la gente che passeggia, si affolla alla Festa del Naviglio Grande o fa “shopping” in centro; i turisti scaricati a frotte dai pullman; il sagrato del Duomo; la Madonnina d’oro sulla guglia maggiore (chi non ricorda la canzone “Oh, mia bella Madunina”, di Giovanni D’Anzi?); le tantissime, grandi statue di Santi. 
Cascina Guardia di Sopra
“Amo molto la Milano di notte e la Milano di Ferragosto. Le percorro con mia moglie, a piedi o in sella alla bicicletta”. Meritato il Premio Galatea assegnatogli nel ’98 dal consiglio comunale di Lainate, dove tra l’altro aprì nel ’72, dopo 40 anni che era chiusa, Villa Litta, con una mostra fotografica sulle preziosità di questa dimora di delizia. Parlai a lungo di Orlandi con Nicola Partipilo, mentre prendevamo un caffè nel bar di fonte alla libreria, mentre Antonio Di Pietro prendeva il suo con amici occupando un tavolo vicino alla finestra. Lo salutai (conoscendolo da anni, molto prima di “Mani pulite”) e continuai il discorso con Nicola, che già stava pensando a un libro per l’anno successivo. Aveva in mente i campanili lombardi, e io a quelli che svettano sulla strada per Laino e nei centri vicini, ma poi cambiò idea, optando per i castelli in Lombardia, affidando il testo ad Andrea Bosco, giornalista di Raitrè. “Voglio anche realizzare un volume che abbia come titolo ‘Le luci della città’, con il testo di Carlo Castellaneta e l’apparato fotografico a Orlandi”. Partipilo lo stima molto. Nonostante sia un grande fotografo, Orlandi non assume mai atteggiamenti di superiorità. E’ un uomo che trasmette serenità; che sa ascoltare con attenzione. In questo assomiglia molto all’editore, che cominciò a prendere dimestichezza con Milano, e ad amarla, quando giovane appena arrivato, portava i libri a domicilio per conto di una libreria. Poi aprì la sua in viale Tunisia, che dopo più di sessant’anni è stato costretto a smantellare recitando il “De Profundis”.







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