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lunedì 2 marzo 2020

Trent’anni fa moriva Sandro Pertini


 

IL PRESIDENTE AMATO E AMMIRATO


DA TUTTI IN ITALIA E ANCHE ALL’ESTERO



Dialogava con i giovani, che gli si facevano

intorno per fargli domande e applaudirlo.

Le volte in cui il cronista del quotidiano

Il Giorno” lo avvicinò per intervistarlo.

Una mattina dell’83 portò una bambola

a una bambina ammalata.






                           
           
Servizio di Franco Presicci (nella foto con Pertini)


Sono trascorsi 30 anni dalla morte di Sandro Pertini, il presidente della Repubblica più amato. Uomo energico, di grande coraggio, inflessibile, assicurante, con un passato glorioso, più volte incarcerato sotto il fascismo, esiliato in Francia, destinato al confino, a Ventotene.
Fu presidente della Camera dei Deputati e poi della Repubblica dal ’78 all’85. Ammirato anche all’estro, sempre con la pipa sulle labbra, innamorato di Milano, dove veniva spesso, in visita privata, non mancando di passare da viale Tunisia, dove a suo tempo aveva avuto il suo quartier generale in un paio di stanze, durante la Resistenza. Fin lì due o tre volte lo seguii, dopo averlo intercettato mentre era con Carlo Tognoli, allora sindaco di Milano, e altre personalità. Una domenica il capocronista del quotidiano “Il Giorno”, dove lavoravo, Enzo Catania, dal carattere effervescente e dagli scoppi improvvisi che si diluivano in pochi istanti, m’invitò al bar dell’angolo e offrendomi uno zibibbo, mi sussurrò che il Presidente era ancora a Milano e che bisognava trovarlo. “Ho fatto una promessa a me stesso: se tu lo scovi, non vado allo stadio a vedere la partita”. Era fatto così: vulcanico e spiritoso. Rientrai al giornale, cercai un autista e un fotografo, intercettai il bravissimo Duilio Zanni, e partimmo per la spedizione.

Il Biffi
Il Savini




Era come cercare il solito ago nel pagliaio, perché a quell’ora il Presidente era a pranzo in qualche ristorante, ma quale? Era un’impresa, pur a voler restringere la ricerca ai locali di prima categoria: il Savini, il Biffi, in Galleria Vittorio Emanuele, Il Boeucc, in piazza Belgioioso. Ero un tantino preoccupato, perché, incaricato di un servizio così delicato e tornare con le tasche vuote per me era umiliante. Invocai la fortuna, e quella rispose al mio appello: mentre percorrevamo con l’auto via Manzoni, arrivati all’altezza della Scala ecco il salvatore: un amico che non poteva non essere informato, praticando l’ufficio stampa di Palazzo Marino, dove si dirigeva con passo svelto. Mi catapultai fuori, seguito a distanza dal fotografo, bloccai il corridore e lo interrogai supplicandolo, tenendo presente che era restìo ad elargire notizie. “Pertini, e io che ne so?”. “Dai, ti prego, fammi questa cortesia. Tu lo sai sicuramente. Sei un contenitore inesauribile”. Ebbe un momento di esitazione, mi guardò fisso negli occhi, mi si avvicinò e mi soffiò un nome: “Il Grissino”. 

Gerardo Placido
Non conoscevo quel ristorante, non lo avevo neppure mai sentito nominare. Ma per l’autista la città non aveva segreti: sapeva a memoria non soltanto le strade, ma anche i locali e tutti gli altri indirizzi più importanti. E avviò il motore. ”Ma dove ci porti?”. “Abbi fede: ti porto nel posto dei sogni”. Enigmatico e sorridente. Ci vollero pochi minuti per arrivare davanti al luogo sospirato, nei pressi di piazza Novelli, assediato da una trentina di ragazzi e da qualche anziano, che avendo visto il capannello davanti al “Grissino” vi si era intruppato. Un signore sui cinquanta con due bambini (seppi poi che era parente del Presidente, vedendomi accompagnato dall’uomo con la borsa a tracolla, capì che ero un cronista; e mi suggerì di non osare di disturbare il Presidente nel ristorante, perché non gradiva certe incursioni mentre mangiava. Così placai la mia ansia anche perché tra quella piccola folla non notavo la presenza di alcun esponente della concorrenza. Dopo un paio d’ore la porta del locale si aprì e apparve Pertini con un abito blu e un cappotto dello stesso colore, la pipa in mano, gli occhiali scuri, fra gli applausi, gli urli di gioia, sovrastati dalla domanda di un ragazzo con un giubbotto marrone: “Presidente, per quale squadra tiene?”. Risposta immediata: “Mia moglie, mia moglie, tiene per la Juventus”. Il ragazzo si mostrò contento, anche se lui tifava per il Milan: “Mi piace che la consorte del Presidente tenga per la formazione torinese.” Un altro, gli chiese: “Presidente, l’è piaciuta la serata alla Scala?”. E Pertini: “Bellissima, bellissima. Lo spettacolo era in russo, ma si capiva lo stesso tutto”. E il mio vicino: ”E’ una persona formidabile, eccezionale, ne avessimo tante come lui. E poi ama Milano. 

Catania, Presicci, Chiarelli, Berticelli del Corriere
Milano è la città in cui ha fatto la Resistenza, la città che ha segnato le pagine più belle, fra virgolette, della sua vita, la città in cui vivono i suoi cognati”. Quasi le stesse parole di Pertini, quando gli fu chiesto se amasse Milano e se se ne andasse contento. Nessuno gli sollecitò autografi: erano già felici di vederselo così vicino, il nostro Presidente della Repubblica, che li abbracciava, stringeva loro le mani. Una bambina intimidita si teneva nascosta tra le gambe del padre e il Presidente le accarezzò amorevolmente le guance, dicendole: “Vieni qui, bella, dammi un bacio”. Doveva andar via, ma faceva fatica, in quell’accerchiamento, a coprire i tre metri tra l’uscita del ristorante e la macchina che lo aspettava, anche perché lui voleva esprimere un gesto paterno per tutti; voleva rispondere a tutti, senza preoccuparsi delle misure di sicurezza. Io avevo gìà avuto notizie dal mio interlocutore-parente, che aveva seguito tutto il percorso da viale Tunisia, a due passi dalla storica libreria Partipilo, ora chiusa, alla Galleria Vittorio Emanuele, al “Grissino”. Ma dovevo farmi largo in quella siepe e scambiare almeno due parole con quel gran d’uomo. Seppi che la sera prima, quando alla Scala era calato il sipario, era stato al “Toula”, andando a dormire al Principe di Savoia alle 3 del mattino. Era sabato 8 dicembre 1979.

Ritratto di Gaetano Afeltra
Al giornale, Catania, che simpaticamente amava farsi credere indovino, mi disse: “So tutto: hai fatto buona caccia”. Evidentemente aveva saputo tutto dall’autista attraverso la radio che avevamo a bordo, facendo decine di chiamate. Ho rivisto il Presidente altre volte. Un pomeriggio ricevetti la telefonata di un amico, che tutto eccitato mi riferiva di aver Pertini entrare al Savini. Mi precipitai e trovai il salotto di Milano, la Galleria, piena di gente.Riuscii a sgattaiolare all’interno del locale, considerato il tempio della gastronomia di Milano (secondo Gaetano Afeltra tutti i programmi hanno iscritto un pranzo o una cena a uno dei suoi tavoli, dove dal 1867 si sedettero nomi importanti, tra cui il critico e drammaturgo Marco Praga, Guido da Verona, Renato Simoni. Gabriele d’Annunzio, Luigi Pirandello, Boito, Sarfatti, Giacosa, la Duse, Mascagni, Giordano…, ai quali veniva imposta la giacca e la cravatta, Toti Dal Monte, Emma Gramatica… Mi appostai dietro una grossa pianta, sperando di poter ascoltare da lì le parole dell’illustre personaggio, ma ne arrivavano poche. Improvvisamente fui scoperto da un poliziotto di grande affidabilità, che ascoltò per me. Intanto avevano abbassato le tende e dalla Galleria non fu più possibile osservare l’interno.
Sandro Pertini
Nel frattempo la folla s’infoltì, ma io dalla mia postazione potevo sbirciare la marea, e notai la figura di un collega della concorrenza che la sovrastava. Non gli fu possibile recuperare il dialogo che si svolgeva a poca distanza da me. Un giorno attesi il Presidente due ore fuori del ristorante Bagutta (dove la sera dell’11 novembre del 1926 il grande giornalista Orio Vergani, Mario Vellani Marchi e altri fondarono l’omonimo Premio, il primo in Italia: memorabili le serate in onore di Riccardo Bacchelli e a Ugo Ojetti …). Quando lo vidi comparire sulla soglia, gli andai incontro, mentre uno della scorta cercava di tenermi lontano. Protestai e il Presidente, sorridendo, mi agevolò, rispondendo alle mie domande. Una sera squillò il telefono e la voce dall’altra parte si presentò come il padre di una bambina ammalata desiderosa d’incontrare il Presidente. “Lei che lo ha conosciuto, forse può aiutarla”. Gli risposi che non avevo questa possibilità e che avrei solo potuto scrivere un pezzo, fungendo da ambasciatore. Qualche giorno dopo, altra telefonata del papà della bimba, che mi dava notizia della visita che Pertini avrebbe fatto alla bimba alle 8 del mattino del giorno dopo. Io lo anticipai di un’ora, assieme al fotografo. Feci appena in tempo a bere il caffè preparato dalla signora, quando si sentì bussare alla porta. Era lui, puntualissimo, seguito dagli uomini della sicurezza. Quando mi vide, alla sua maniera esclamò: “Ma tu sei dappertutto”. “Presidente sono come il prezzemolo”. “Bravo”. Tutti si commossero quando dalla confezione, tirando fuori una bambola, per la bambina, felice come una Pasqua. Anche quella volta lo seguii per le vie di Milano, in viale Tunisia, in corso Buenos Ayres. Il ricordo del presidente della Repubblica Sandro Pertini è ancora vivo nella memoria degli italiani. Come si fa a dimenticare un uomo, un politico come lui, che ha rischiato la vita per salvare il Paese dalla dittatura. Il direttore Michele Annese, grande “fan” di Pertini, ricorda spesso Nicolas Papamikroulis, che, laureatosi a Firenze in architettura, ha fatto per vent’anni il sindaco di Nea Halkidona, in Grecia, gemellata con la città di Crispiano, avendo come esempio il nostro Presidente, che è stato festeggiato il 27 febbraio a Martina Franca, in Palazzo Ducale, in ricordo della storica visita alla città di 40 anni fa.



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