Pagine

Print Friendly and PDF

mercoledì 29 aprile 2020

L’ultimo calzolaio con il deschetto



NICOLA SARDONE , DI CANOSA DI PUGLIA

PIU’ FAMOSO DI ADRIANO CELENTANO

Così dicevano non soltanto i suoi clienti in  al Lorenteggio, il suo quartiere di Milano. Aveva 11 anni quando realizzò il primo paio di scarpe per il suo nonno omonimo. Aveva le macchine moderne, ma “’u bangarìdde” era il suo preferito.



Franco presicci
 
Il deschetto del calzolaio
Nicola Sardone
E’ sempre stato il calzolaio della famiglia Berlusconi (pochi giorni prima del nostro incontro aveva ricostruito una borsetta di coccodrillo molto cara alla mamma dell’ex presidente del Consiglio). Era orgoglioso di questo privilegio, ma non la dava a vedere. Somministrò la notizia mentre esaminava la sagoma di una scarpa che gli avevano appena portato. Nella zona del Lorenteggio, dove ogni tanto esplodeva qualche colpo di pistola o una sventagliata di mitra lasciando un o più vittime sull’asfalto, come accadde la sera del 18 novembre ’81, quasi all’angolo con via Gelsomini, era noto e apprezzato. Qualcuno addirittura si vantava di essere un suo cliente. Un giorno, davanti al negozio dei cinesi, quasi di fronte, un paio di signore, sbirciando le vetrine, parlavano di lui, descrivendolo come l’artista delle calzature: “Una scarpa restaurata da lui sembra comperata da poco”. “Quelle che indosso – disse l’altra – hanno cinque anni e guarda che bellezza”.
Festa di quartiere in via Lorenteggio
Da tempo cercavo un calzolaio che usasse ancora il deschetto. Una trentina di anni prima ne avevo intervistato uno che rifaceva le calzature anche a persone importanti, come, per esempio, Walter Molino, che illustrava le pagine della “Domenica del Corriere”. Tornai al suo indirizzo per donargli una copia di un’antologia per la scuola media che aveva ripreso dal “Giorno” il mio articolo, e vi trovai un’altra insegna. Lui si era trasferito altrove o aveva cessato l’attività. Scoprii allora che anche in quel settore era arrivato il progresso e il banchetto era entrato nell’archivio della memoria.
Fu per caso che nel novembre del 2007 venni a sapere di Nicola Sardone, settantenne, originario di Canosa, città pugliese che sovrasta la valle dell’Ofanto ed è situata a una ventina di chilometri dal luogo in cui nel 216 Annibale dette scacco matto all’esercito di Roma.
Il naviglio grande in un quadro di Kodra
Ci volle poco per farlo parlare. Simpatico, intelligente, informato, se avesse avuto tempo, avrebbe fatto la storia della scarpa, dalle forme primitive ai medievali “borzacchini” (sorta di stivaletti, di feltro o pelle, alti fino al ginocchio) ai “coturni”, indossati nell’antichità classica greca e romana, dalle persone di alto rango e dagli attori tragici allo scopo di elevarsi maggiormente sulla scena; alle scarpette con tacco appuntito, che nel secolo XVIII sottolinearono l’eleganza delle signore… Ne sapeva di cose, e una volta ingranato avrebbe proseguito come i marciatori della Stramilano da piazza Duomo all’Arena. Eppure la gente entrava e usciva senza sosta. “Meno male che c’è mia nuora dietro il bancone, perché oggi è sabato e l’andirivieni è maggiore. Il flusso calerà verso mezzogiorno”. Poi si mise a cavallo della “cagna”, l’attrezzo che serve per la cucitura a mano degli stivali, e aggiunse: “Possiamo parlare tranquillamente finchè vogliano, anche se dobbiamo saltare il pasto. Del resto non è la prima volta che diserto la tavola, costretto da un lavoro urgente”.
A Milano dal 1954, “da 47 anni in via Lorenteggio 124: ‘Mamma, quanti 4, ad Affari tuoi’ la trasmissione che va in onda su Rai 1, potrebbe essere il mio numero fortunato”.
Largo Giambellino
Da queste parti è famoso quanto Celentano. “Chi, Nicola? E’ una pasta d’uomo. Tra l’altro sempre puntuale ed eccellente nel suo lavoro. La scarpa più scassata riprende vita e lucentezza, grazie alle sue mani d’oro”, commenta un vecchietto che lo frequentava da oltre 40 anni (ancora un 4). “L’ho vista crescere questa via – dice Nicola -, ho visto nascere quasi tutti gli esercizi commerciali: la farmacia, il giornalaio, il piccolo supermarket, il giocattolaio, la pescheria in via Primaticcio dietro l’angolo, il negozio di elettrodomestici di Furlan nella stessa via… Eravamo tutti giovani, esercenti e avventori”. In vi Primaticcio c’erano le cosiddette case minime; dall’altra parte di piazza Frattini negli anni 60 i prati costellati dallee casette con i tetti di lamiera abitate dai meridionali.
Tram 14 in via Giambellino
Cortile di Milano
La Lorenteggio finiva in via Inganni e iniziava da piazza Bolivar. Negli anni il quartiere ha cambiato faccia: oggi si accoppia con Corsico, dove arriva il jumbotram ontrassegnato dal numero 14 (ancora un 4). Il titolare del negozio di elettrodomestici, che faceva collezione di dischi, ha chiuso una quarantina di anni fa, forse trasferendosi da un’altra parte. “Io facevo molte riparazioni, per guadagnare di più, mentre oggi la clientela è invecchiata e non ha più i piedi di una volta. Faccio anche molte scarpe conformate, su misura”.
La notorietà di Nicola si estendeva fino al centro di Milano. Se avesse esercitato nell’80, forse avrebbe fatto concorrenza ad Anselmo Ronchetti, che conquistò il cuore di Napoleone regalandogli un paio di stivali confezionato in una notte dopo aver preso le misure ad occhio mentre il Corso attraversava corso Venezia diretto al Palazzo Serbelloni. Glielo dissi, sorrise compiaciuto e commentò: “Mi sembra davvero troppo, questo. Servo molti negozi di via Monte Napoleone, di via Sant’Andrea… Mi mandano le scarpe difettate e io le correggo…”. Uno dei commercianti che svolge l’attività nei pressi del Duomo espresse tutta la sua stima per Nicola, mentre ritirava un paio di mocassini nella sua bottega di via Lorenteggio. “Nicola Sardone non si limita a rifare suole e tacchi”. Entrò un signore alto, asciutto, capelli folti, un fazzolettino bianco che faceva capolino dal taschino della giacca blu, due scarpe che pendevano dalla mano destra, e come lo vide Nicola gli fece festa. “Sei sparito, sono mesi che non ti vedo. Metti pure sul bancone, chè sto parlando con questo giornalista del ‘Giorno’”. “Un’intervista?”. “Un’intervista”. Se vuoi, puoi ascoltare”. E il nuovo venuto si sedette su uno sgabello alto.
Nicola riprese: “Nella mia famiglia facciamo i calzolai da ben sette generazioni. La mia è una dinastia di calzolai.
Nicola Sardone
A scuola me la cavavo bene, ma mio padre, Giuseppe, non mi permise d’interrompere la tradizione. Se mi fossi opposto, avrei fatto torto non soltanto a lui, ma anche mio nonno e a quelli che avevano usato la forma e il trincetto prima di loro. Avevo 11 anni quando realizzai il primo paio di scarpe per il nonno mio omonimo. Ne fu contento e mi sentii importante”. La domenica, dopo sei giorni trascorsi tra semenze e martelli, andava ai mercati nei paesi vicini a Canosa, a vendere le scarpe che faceva suo padre. “E i giochi?”. “Giocavo facendo modelli di scarpe, mentre gli altri correvano sul monopattino”. Insomma soltanto lavoro. Poi allestì una bottega nell’androne del palazzo, nella zona di piazza Colonna, e nei giorni in cui non spirava il favonio lavorava sul marciapiede. Seduto al deschetto, come mest’Andonie, il vecchio scarparo, con casa e bottega di fianco a casa mia, a Taranto (aveva un carattere ruvido come la carta vetrata, ma un cuore d’oro). “Oggi posseggo le macchine moderne, ma preferisco “’un bangarìdde”, come questo tavolino viene chiamato al mio paese. Sarà la nostalgia dei tempi andati, l’abitudine, la passione…”.
Gli dissi che mi erano rimaste in mente le “semenzèlle”, i chiodini che somigliano ai semi conservati per essere sparse nei campi nel periodo della semina. E con lo sguardo passai in rassegna gli attrezzi sparpagliati in questo piccolo ambiente, dove ci possono stare non più di quattro o cinque persone per volta.
Il piantone
Allora lui m’indicò il piantone (due “colonnine” di ferro con la parte superiore a forma di scarpa); il treppiedi, la ginocchiera a staffa, la pinza modello Vienna per montare le tomaie, il bussetto, le lesine... Di ogni oggetto elencò l’uso e le caratteristiche. Gli piaceva entrare nei dettagli. L’ospite con il fazzolettino nel taschino lo salutò, annunciandogli che sarebbe tornato la settimana successiva. La conversazione volgeva al termine, quando Nicola mi spiattellò una sorpresa presentandomi il suo successore: un bel ragazzo alto con qualche filo di barba sul mento. Parlava poco, forse per timidezza. E’ un apprendista volenteroso – mi disse Nicola Sardone – Credo che sia di ottima stoffa”. Non so se l’erede abbia seguito la tradizione di famiglia. Se sì, sarebbe una buona cosa, visto che gli artigiani lamentano di non avere proseliti. Eppure il mestiere di ciabattino ha un suo fascino. Soprattutto quello che si esercitava stando seduti al deschetto.




Nessun commento:

Posta un commento