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mercoledì 20 maggio 2020

Alt alla festa di San Cataldo, il 10 maggio - Non si è svolta neanche la Settimana Santa

Perrone con Madonna del Carmine e San Cataldo

IL COLLEZIONISTA LUIGI

PERRONE INCOLONNA

IN CASA SUA LE STATUETTE

IN TERRACOTTA



A dispetto del “coronavirus”, escono dagli armadi con le porte in vetro, in cui vengono custoditi, il Patrono, confratelli, carabinieri,bande musicali… 

Spettatori dagli scaffali, fra trulli, alberi d’ulivo e grotte eseguite con le pietre emerse dalla terra durante l’aratura nella sua bella masseria di Crispiano, pastori, pecorelle, tanti Santi.

Nato in via Margherita, nello stabile con le colonne.

 








Franco Presicci
Il killer invisibile non ha avuto rispetto neppure per San Cataldo. Per colpa sua quest’anno le celebrazioni in onore del patrono, di solito sfarzose, sono state ridotte al minimo, procurando un grande dispiacere ai cataldiani. Che hanno messo da parte quel pizzico di risentimento causato dalla convinzione che il Santo abbia qualche predilezione per i forestieri. Me lo ha ricordato l’amico ultranovantenne che vive a Martina e l’ho invitato a tener presente che anche l’interessato è di un altro Paese e che, se pure avesse qualche debolezza del genere, un’attenuante gli andrebbe riconosciuta.
San Cataldo in varie dimensioni

E ho sottolineato che secondo un’antica credenza, l’incarico di venire a Taranto per evangelizzarla gli venne assegnato direttamente da Gesù durante un incontro a Gerusalemme, e mi pare che lo svolga con equità, nonostante l’oltraggio subito l’1 dicembre del 1983, quando gli portarono via,
Esemplari di San Giuseppe e di confratelli
furtivamente, dal Cappellone della sua Basilica il proprio simulacro d’argento. Quindi, semmai, a tenere il muso, dovrebbe essere lui. Comunque, questo sentimento degli abitanti della Bimare è annacquato, perché se si chiede a “‘nu cuzzarùle” o a “‘nu pescatòre” della città vecchia, o a un insegnante o a un arsenalotto del borgo, se condivida quella diceria, risponde di no, come un altro mio amico, già operaio dell’Ilva, che, subito dopo il pensionamento, si é trasferito nella città dei trulli, per respirare aria migliore.

Luigi Perrone
Salutandolo, sono riandato agli anni scorsi, in cui la festa, non essendoci il “coronavirus”, era tutt’altra cosa: moltitudine di luci e fuochi d’artificio; coperte che una volta, a sentire l’esimio scrittore Giacinto Peluso, dovevano essere quelle del matrimonio, e tappeti multicolori stesi sui balconi disseminati di lampadine accese; luminarie nelle strade; un corteo lunghissimo di autorità civili e militari, confraternite, bande, preti, monsignori, “perdùne”: una scenografia spettacolare con il Castello Aragonese in gran pavese, i due mari, il ponte di ferro illuminati, le barche private, della Marina Militare della Capitaneria di porto e dei carabinieri affollate… “Le mègghie fèste pe’ Sàn Catàvete nuèstre”, con commenti e interviste di Angelo Caputo, intervallate da rievocazioni storiche (ruolo prima svolto da un altro Caputo, Nicola). Pilucchiamo qualche notizia nel volume di Giacinto Peluso “Taranto, da un ponte all’altro”: un tempo non era difficile vedere un San Cataldo in miniatura, acquistato su un banchetto, portato in spalla su un’assicella, il giorno dopo i festeggiamenti, da quattro ragazzini seguiti da tantissimi altri che soffiavano nel fischietto in terracotta incollato sul deretano o sul polpaccio di un rappresentante della Benemerita.

San Cataldo e Madonne
Chi ha i capelli imbiancati e la
pelle increspata forse queste scene le ha ancora in mente; e per quanto riguarda i presunti favoritismi del protettore risponde con benevolenza: “Accussì se dìce, p’amòre ca le crestiàne no tènene nìente da penzàre”. E scivolando ancora una volta sul furto sacrilego: “Malevìerme chìdde ca l’hònn’arrubbàte. A malèrve nò nge se sècche majie, mmàr’a nùje”. Insisto. La sera del 1983 – interviene Nicola Caputo nelle sue esaurienti pagine su San Cataldo - al Circolo sottufficiali della Marina militare, alla Rampa Leonardo da Vinci, era in corso l’anteprima del documentario sulla Settimana Santa realizzato dalla Rai, con il commento dei riti tarantini affidato all’antropologo Alfonso Di Nola.

Armadio con il patrono, trulli e altre statuette
La sala era insolitamente strapiena; sulla città cadeva una pioggia rabbiosa agitata da un vento gelido e nella Basilica dedicata al protettore nel borgo antico le “mallatrùne” compivano la loro opera malefica, lasciando i cittadini, quando la notizia si diffuse, angosciati e sdegnati. Quell’episodio è ancora vivo nel cuore della gente, perchè San Cataldo è molto amato, al punto che quelli che sono andati a lavorare altrove tornano per solennizzare il suo “compleanno”, portandosi poi con sé la statuetta acquistata dall’ambulante, possibilmente la più bella, quella sagomata meglio, non importa se più costosa. E’ vero Luigi? “. ”E’ vero, sì”. Luigi Perrone, 72 anni, tarantino, nato in via Regina Margherita 25, nel palazzo con le colonne, in cui abitava Franco Zoppo, ottimo docente di lettere e autore del bellissimo romanzo “Belmonte” e di un altro scritto in lingua provenzale, è un collezionista di riproduzioni in miniatura di santi in argilla cotta in forno. “Ho Santa Rita, San Giuseppe, i Santi Cosimo e Damiano, di cui era devota mia nonna Carolina, Sant’Antonio, San Pio, “perdùne”, carabinieri con il fischietto sul posteriore, trulli, chierichetti e tanti altri, oltre alla processione della Settimana Santa della congrega del Carmine.
Confratelli della Settimana Santa



Li ho comperati la maggior parte a Taranto durante le feste patronali o ai mercati e alle fiere, alcune a Lecce, altre a San Gregorio Armeno e altre ancora nel quartiere delle ceramiche di Grottaglie, da dove viene il mio San Ciro, protettore di quella città, che fu la “culla” di mia madre, Giuseppina Eugenia, per cui io ho mezzo sangue grottagliese”.  A lasciarlo parlare sull’argomento Perrone proseguirebbe con la velocità della corriera che va da Martina a Taranto. E io lo ascolterei con attenzione senza interromperlo. Ma ogni tanto devo farlo, perché prendo nota del suo racconto e non voglio perderne una parola.

Grotta di pietra
I collezionisti mi piacciono, anche quelli che raccolgono cavatappi e bottoni, soldatini di piombo, di carta e di plastica, treni in miniatura, cartoline di Taranto anche di cento anni fa e più (che qua e là mostrano i tram che percorrono la ringhiera, via Di Palma, dove, di fronte allo stabile che ospitava il cinema Odeon, c’erano i binari di scambio, via Leonida, piazza Ramellini, via Battisti e oltre fino alle sette palazzine, a Solito)… Le effigie di Luigi Perrone, che tra l’altro è titolare della masseria Lupoli in territorio di Crispiano, con le stalle, i locali per i lavoranti, la chiesetta con un grande crocifisso sulla sinistra dell’ingresso, il campanile, il museo della civiltà contadina, mi attirano molto di più.
Processione
E, se qualche volta si ferma per lasciare libera la mia penna, che pure è lesta e lascia sul foglio segni a zampa di gallina, sono io ad incalzarlo.“Com’è nato questo tuo patrimonio fatto di simulacri, tutti in terracotta? “Mio padre aveva un presepe con grotta e casette in sughero con tanti elementi (anche quelli in terracotta) e un San Cataldo sul trono circondato da quattro puttini. Quindi il nucleo iniziale l’ho ereditato. In seguito io ho allungato la serie. La passione per i presepi è nata dal fatto che quando ero piccolo la rappresentazione natalizia la si faceva in casa con riguardo a tutti particolari.
Poi, negli anni, siccome in campagna durante l’aratura spuntano molte pietre di ogni dimensione, che sono un ostacolo al lavoro del contadino, ho cominciato a pensare che quelle piccole fatte in un certo modo, con un aspetto tipico o che comunque mi dicevano qualcosa, una volta pulite e unite in forma compiuta, potevano essere trasformate in un atto d’amore. Ed ecco le mie capanne, che naturalmente dovevano essere abitate; e così ho raccolto vari personaggi, ‘in primis’ la Madonna, San Giuseppe, il bue, l’asinello e il Bambinello”.
Al centro i Santi Cosma e Damiano
“L’impulso ad acquistarli è sorto quasi senza che me ne accorgessi; poi l’impulso è diventato passione”. “Dove conservi tutti questi elementi?”. “In armadi a vetri. Ho San Cataldo con gli abiti argentei e San Cataldo con paramenti policromi (celeste, rosa antico, giallo ocra, bianco), forse l’abbigliamento che indossava quando era vescovo in Irlanda. Su altre mensole sono schierati ulivi secolari dalle forme più strane, simili a quelli che popolano gli oliveti secolari di Lupoli, pastori con il gregge, che si vedono meno spesso nella vita reale nelle strade di campagna, mentre non si vedono più gli asini se non nei luoghi di allevamento”. Sono davvero tante, le sue “sculturine”, messe assieme negli ultimi 40 anni. Ovunque andasse, se c’era in una vetrina un santo, se lo faceva incartare. I suoi bambinelli non sa quanti siano. “Mi capita di avere diversi doppioni di alcune statue”. Nella realtà – informa Perrone - la processione del Santo è accompagnata da tutte le confraternite dell’arcidiocesi di Taranto; nella mia, soltanto da quelle di San Domenico e del Carmine, perché non posseggo le altre”. E mi sottopone un video prodotto nella sua abitazione, seguito dalle note della marcia sinfonica “Mosè” di Rossini, che accresce l’atmosfera e l’emozione di chi l’osserva. “E’ il mio modo di onorare San Cataldo nel periodo del coronavirus, che ha mutato lo svolgimento delle nostre tradizioni, compresa la Settimana Santa”. Lo dice con rammarico, anche perché il suo terzo nome è Cataldo, da quello del bisnonno, nato nell’800. Provo rammarico anch’io nel vedere nel filmato una statuetta del Santo portata per mare su un’imbarcazione della Guardia Costiera con la sola presenza dell’arcivescovo e dell’equipaggio. Quel filmato l’ho visto e rivisto più volte, ascoltando la preghiera del prelato mentre lo scafo attraversava il canale navigabile diretto a Mar Grande, dopo il lancio in acqua di una corona, nel tratto vicino alla discesa Vasto. “Luigi, sei devoto di San Cataldo?”. “Certo. Tra l’altro io mi chiamo come lui”. Sempre misurato, spontaneo, Luigi, intelligente, colto, gentile, simpatico, disponibile. Quando la conversazione era agli sgoccioli, ho pensato ai numerosi attrezzi agricoli sistemati nei saloni del museo della civiltà contadina, nella masseria Lupoli, e descritti in un libro confezionato dal padre di Luigi, Edmondo, con dettagliate didascalie: quasi una storia; e alla struttura della masseria, ai suoi tetti, a un vecchio carretto parcheggiato in un angolo dell’ampio cortile, che fece resuscitare la mia adolescenza. Un luogo tenuto con cura e con amore, come dice anche il direttore di “Minerva News” Michele Annese, a dispetto del tempo che fugge.








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