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mercoledì 17 giugno 2020

Ugo Tognazzi, commissario in questura



INTERROGAVA CARLO DELLE PIANE
CHE SI AUTOACCUSAVA DI UN DELITTO


Ugo Tognazzi con Presicci nel camper


Ricevette il cronista nel camper messogli a disposizione dalla produzione.

Disse che a Milano si trovava bene e a suo agio nei panni del poliziotto.
           
La sua presenza nel cortile di via Fatebenefratelli 11 provocò grande fermento.

Tutti volevano vederlo.
L’attore era cortese, simpatico, sorridente.









Franco Presicci


In via Fatebenefratelli 11, sede della questura di Milano, ho visto entrare ogni giorno tanta gente in manette e senza. I primi uscivano, ed escono, dalle Volanti con la testa bassa, se gregari o pesci piccoli. I “boss” con l’aria di chi andava a passeggio.
Tra gli invitati Plantone, Catalano, Papi, Argentine, Jovine e signore
Qualcuno l’ho anche sentito parlare con un sottufficiale dal muso duro, mentre ammanettato al polso di uno dei due poliziotti della scorta, aspettava la macchina che lo avrebbe portato in carcere: fumava tranquillamente una delle più costose sigarette tirata fuori dal taschino della camicia a righe blu. Era uno che nella malavita ci metteva poco a dare l’ordine di eseguire una condanna a morte, se non aveva voglia di essere lui stesso a premere il grilletto. La sua cattura fece parlare tutti i mezzi d’informazione. Li ho visti di giorno e di notte, stando in cortile o alla finestra della sala-stampa. Uomini e donne. In quel cortile la mattina del 5 febbraio del 1988, un freddo che faceva battere i denti, notai un camper parcheggiato di traverso sulle strisce bianche riservate alle auto di servizio e una a quella del giornalista che non arrivava in tram.

Intervento del questore di Milano Catalano
La curiosità, innata in chi bazzica le redazioni dei giornali, mi spinse a chiedere che cosa facesse lì un mezzo insolito. I poliziotti di guardia all’ingresso erano impegnati con un gruppo di persone che chiedevano chi la stanza di un commissario, chi quella di un ispettore che li aveva convocati e il percorso per raggiungerli dato che si sarebbero persi prima di individuare la porta giusta, tante erano quelle disseminate al termine del corridoio lungo e semibuio al piano terreno. Mi rivolsi al piantone, un ragazzo appena arrivato a Milano, ma non ne sapeva niente o forse credeva di doversi tenere per sé un segreto di Stato.

Jovine e Olivieri
Salii allora dal capo di gabinetto Paolo Pifarotti e, dopo avergli chiesto se c’era qualcosa da segnalare, seppi che si doveva girare un film tratto da uno dei romanzi di Renato Olivieri, “Maledetto Ferragosto”, un giallo appassionante che avevo letto un paio di volte. E siccome la giornata si prevedeva senza scosse, di quelle che non producono notizie neppure se piangi in cinese, tornai nel cortile, dove avevo avvistato il maresciallo Ferdinando Oscuri, un poliziotto di ferro, dal fiuto finissimo, come quello di un cane da tartufi, e il vicequestore Francesco Colucci, che, come Oscuri, conosceva molto bene la criminalità milanese e il suo sottobosco. Verso le 11 comparve Ugo Tognazzi, cappotto di cammello, l’aria un tantino stanca, un sorriso amabile. Si avvicino al regista, Sergio Corbucci, lo salutò, scambiò qualche parola e si diresse verso il camper messogli a sua disposizione dalla produzione. Intanto era arrivato Alberto Berticelli, il mio collega e amico che veniva a mietere notizie in questura per “Il Corriere della Sera”. Non potevo lasciarmi scappare l’occasione d’intervistare la “star”. Senza pensare se fosse o meno il momento giusto, mi affacciai e chiesi il permesso di entrare, dopo essermi presentato come cronista del “Giorno”. Tognazzi fu cortesissimo, e sorrise quando gli dissi: “Mi scusi, Tognazzi, sono notoriamente un rompiscatole, ma confido nella sua comprensione”. “Non si fa così, bisogna chiedere l’autorizzazione all’ufficio-stampa, che è a Roma. Ma sorvoliamo e parliamo in questa casa viaggiante.

Arnaldo Giuliani
Caracciolo, Pagnozzi, Colucci
Tra poco in una stanza con accesso dal cortile bisogna interrogare l’indiziato”. “Carlo Delle Piane”. Un modo elegante per dirmi che dopo far presto? Comunque, si sedette invitandomi ad imitarlo. “Mi troverò a mio agio in questo ruolo. Non è la prima volta che indosso i panni del poliziotto”. “Lo so. Mi vengono in mente ‘Il commissario Pepe’ del 1969, regista Ettore Scola, con una sua ottima interpretazione, inutile dirlo: lo dice anche Morando Morandini, critico cinematografico del mio giornale, molto severo nei giudizi. Anche quel film era tratto da un romanzo, autore Ugo Facca de La Garda. Ricordo anche ‘La mazzetta’ (tratto da un libro di Attilio Veraldi), diretto Sergio Corbucci. Lei era il commissario Assenza…. La parte del funzionario di polizia le sta a pennello: è convincente”. Risposta: “Il poliziotto italiano è sobrio, ricco di umanità e non ha paraocchi”. Aggiunse che a Milano si trovava molto bene. La considerava più vivibile di Roma. E poi qui aveva una casa e, se non ricordo male, la madre. Giulio Ambrosio, il “detective” del romanzo di Olivieri gli piaceva. Era colto, intelligente, amante dell’arte. 

Gerosa e Olivieri
Per lui Olivieri cesellava “gialli” in ogni zona della città. Come “Largo Richini”, in cui, come in altre occasioni è preso dai dubbi, non si lascia condizionare dalle prime idee, interpreta le parole dei testimoni, osserva l’ambiente con meticolosità, come Oliveri, nato a Sanguinetto in provincia di Verona, e deceduto qualche anno fa a Milano, osservava ogni angolo della città, per conoscere le vie, i palazzi, la gente: ogni particolare. I suoi gialli nascevano in piazza Napoli, in viale Romagna, in piazza del Carmine, all’Idroscalo, in piazza Aspromonte, in via della Spiga, una via importante e famosa, silenziosa e tranquilla. Seguiva la cronaca nera, anche quella del passato, e dirigeva una rivista d’arte della Mondadori. Era giornalista e scrittore. Tognazzi sapeva già tutto. Intanto si era sparsa la voce. “In questura si sta girando un film?”. Qui da noi si sta truccando Ugo Tognazzi?”. “Sì, ma non lo si può disturbare”. E chi avrebbe potuto, ormai, protetto com’era, da una specie di posto di blocco.
Un giovane collega riuscì a superare la barriera e fu fermato mentre si accingeva a spingere lo sguardo oltre le tendine del camper. Nelle celle le luci erano accese. Ugo Tognazzi era già il commissario Ambrosio. Uscì dal camper, andò nella cella, dove Carlo Delle Piane era pronto per l’interrogatorio. “Ciak si Gira”. Alle 14 il commissario Ambrosio era nuovamente fuori, preso di mira dai fotografi dei quotidiani e delle agenzie. Qualche paparazzo lo invitò a mettersi vicino alla “pantera”. Il commissario non si sottraeva alle esigenze dei “clic”. 

Colucci, Catania, Serra
Poi fu avvicinato da un commissario vero: Francesco Colucci, dirigente della divisione di polizia giudiziaria, che gli aveva concesso il proprio ufficio per due mesi (come aveva fatto con Pupella Maggio). Domandai a Colucci: “Com’è Tognazzi?”. “Eccezionale, simpatico, effervescente, bonariamente pungente all’occasione, come lo si tocca suona”. E un funzionario, a sua volta: “Signor Tognazzi, che cosa sta succedendo nelle celle di sicurezza?”. “Carlo Delle Piane si sta autoaccusando di un delitto”. E tornò dentro, dicendo: “L’imputato non può attendere”. Poi spunto Achille Serra, capo della Squadra mobile”, che cercava Oliveri. Olivieri non c’era. Chi lo conosceva bene, sapeva che era persona corretta e riservata. E dava di lui qualche notizia: “A Milano dal ’39, milanese convinto, era stato pittore e redattore di politica estera in un quotidiano autorevole, aveva diretto le riviste “Grazia”, “Arianna, “Antiquariato”, “Millelibri”, “Arte”. Il film doveva avere il titolo del romanzo. Ma il tempo era grigio, imponeva gli abiti invernali e “Maledetto ferragosto” era anacronistico, quindi divenne “I giorni del commissario Ambrosio”. Renato Olivieri, detto il Maigret di Milano, era d’accordo.

Papi, Argentine, Rizzi, Alessi, Presicci
Era stimato e amato non soltanto dai suoi lettori. Io avevo con lui un ottimo rapporto. E quando mi chiese una recensione al suo “Largo Richini”, organizzai una serata in un noto ristorante milanese, invitando un gran numero di poliziotti, carabinieri, finanzieri, magistrati, tra cui il procuratore generale Beria di Argentine, il presidente e il vice del tribunale civile Alessi e Papi; il direttore e il vice del “Giorno” Lino Rizzi e Enzo Catania; e tanti altri giornalisti della carta stampata e delle televisioni. Guido Gerosa, che era al “Giorno” anche lui nella veste di vicedirettore, presentò il libro in maniera avvincente e Arnaldo Giuliani, che stava per lasciare il “Corriere della Sera”, dove aveva l’incarico di capo cronista, intervistò un bel “bouquet” di questori (Plantone, che venne da Catanzaro, Jovine, da Roma, Putomatti da Cuneo, Pagnozzi, Caracciolo, Catalano, che dirigeva la questura di Milano), Achille Serra, Francesco Colucci, facendo emergere episodi anche divertenti della loro carriera. Era la sera del 25 maggio dell’87 ed erano presenti anche i dirigenti della Casa editrice Rizzoli, con la signora Silvestri, capo ufficio stampa. Alla manifestazione i giornali dettero molto spazio: un quotidiano titolò “Tanti poliziotti veri per un poliziotto di carta”. Umberto Catalano consegnò a Olivieri una medaglia con l’immagine della facciata della questura. Il quotidiano del pomeriggio “La notte” riservò una pagina con una bella fotografia. Titolo, “I racconti della madama”. Il giorno dell’inizio del film qualcuno ricordò quella serata, che era stata un avvenimento. Qualche altro cercava di vedere dentro il camper, un guscio vuoto, perché Tognazzi era altrove. Nello stesso cortile della questura era stato anche Michele Placido. Incontrai invece, al carcere di San Vittore, Vittorio Mezzogiorno, mentre girava una scena in cui veniva colto da un forte mal di testa.






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