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mercoledì 29 luglio 2020

La merceria storica in via Segneri

Gaetano Ragusa

IL QUARTIERE DOVRA’ CAMBIARE FACCIA E IL NEGOZIO E’ COSTRETTO A CHIUDERE



Giovanni Ragusa lo aprì nel 1950, dopo aver tenuto un banco di fronte alle vetrine di oggi.

I clienti sono amareggiati: “Questo locale è un’istituzione.     Se si trasferisce, andremo a
cercarlo ovunque”.

Il ricordo di Gaetano un uomo, cordiale, disponibile, generoso versatile, deceduto qualche anno fa.





Franco Presicci 

Un altro locale storico purtroppo sta per spegnere definitivamente le luci: un progetto del Comune prevede già da tempo il rifacimento della zona con la conseguente demolizione degli stabilii, tra cui quello che ingloba la merceria Ragusa, in via Segneri 2, e nessuno dà ai proprietari indicazioni su una nuova destinazione, anche se il cantiere è prossimo all’apertura.

Foto del Negozio
Una ferita che non trova un medico per curarla. Conobbi, il 15 ottobre del 2008, in via Segneri, Gaetano, uno dei titolari, persona cordiale, disponibile, premurosa e ingegnosa. Appena mi vide mi fece accomodare alla bell’e meglio nel retro del negozio, sempre pieno di clienti serviti, oltre che da lui, da un fratello e da due sorelle, e si raccontò piacevolmente. “Siamo la più vecchia merceria di Milano”, disse subito. E aggiunse di essere siciliano e di portare il cognome della città natale del padre Giovanni, che faceva li sarto. “Ma poi, siccome durante l’ultimo conflitto mondiale bisognava stringere la cinghia e non c’era più tanta gente in grado di farsi fare un vestito su misura, Giovanni presentò domanda di assunzione alla Borletti, sede in via Washington, a Milano. La domanda venne accolta e in casa ovviamente fummo tutti felici e contenti”. Nel ’40 però Giovanni rimase coinvolto in uno scoppio di munizioni e rimase cieco. Gaetano era un ragazzino di 13 anni (il fratello, Stefano, ne aveva 3) quando il padre avviò l’esercizio. Abitavano nella stessa via Segneri, al numero 8, via dedicata a Paolo, gesuita, scrittore, predicatore, collaboratore della terza edizione del vocabolario dell’Accademia della crusca, nato nel ‘600 da una famiglia nobile.

Targa di via Segneri

Quando i Ragusa iniziarono l’attività la strada era un po’ meno frequentata. Tutta la zona era diversa: la via Giambellino, la via Inganni, la Lorenteggio, il largo Gelsomini. Poi nella vicina piazza Tirana, che confina con la stazione ferroviaria San Cristoforo, dove si fermano i treni diretti a Mortara, apparve una bisca clandestina e gli abitanti si lamentavano per il chiasso che i giocatori facevano dalle 14 alle 6 del mattino. Spesso la polizia irrompeva dopo mezzanotte neutralizzando gli occhi di lince in avvistamento, metteva mani in alto e faccia al muro i “rondinon”, come nel gergo bolognese della “mala” vengono detti i frequentatori di quegli ambienti, li identificava, li denunciava e tutto rimaneva come prima. Da anni la ”belanda” è stata disattivata, il grande cerchio bianco che delimitava il gioco d’azzardo sotto il palo della luce è stato cancellato e si è dato posto agli arredi e al verde. “Noi qui – parole di Gaetano – ci siamo trovati sempre a nostro agio, la gente ci vuole bene e viene ad acquistare volentieri. Il quartiere è diventato più popoloso, sono sorti palazzi nuovi sulla Lorenteggio, sulla Inganni, e si vive tranquilli.

Via Lorenteggio


Purtroppo c’è quel progetto che intende sconvolgere la zona e corriamo il rischio di abbassare la saracinesca”. La merceria fu aperta il 20 dicembre 1950. “Ma prima avevamo tenuto un banco, sempre affollato, sul marciapiede proprio dii fronte alle vetrine di oggi. Un lavoro che ci piace e da sempre cerchiamo di esaudire ogni richiesta che ci viene rivolta”. Alcuni avventori mi riferirono che i Ragusa hanno le mani d’oro: “Se devi riparare una borsa o qualcos’altro, Gaetano lo fa presto e bene. Si esercita anche nell’arte del ricamo”. E lui: “Se un cliente vuole appuntare il proprio nome o quello di un familiare su una fettuccia, per me è un ordine. Se un altro deve essere ricoverato in ospedale e ha bisogno di marcare la biancheria, siccome ho fama di fare di tutto, si rivolge a me. Così, nome dopo nome, mi sono appassionato, e adesso per me è un piacere, oltre che un impegno pressappoco quotidiano”.

Via Primaticcio
Ma poi dai nomi passò ai disegni: greche, pupazzetti, fiori, trenini, ochette…. Fa altre cose? “Bottoni ricoperti di stoffa. Oggi non li fa più nessuno, o quasi”. Ed era bravo anche in questo. I suoi rivestimenti non erano all’altezza di quelli che luccicavano sulla veste del Re Sole, Luigi XIV, che, incoronato il 7 giugno del 1643 lasciò il governo al cardinale Mazzarino; e neppure a quelli della corte di Maria Antonietta, dove si usavano bottoni in madreperla o in avorio e di gusto semplice“. Ma forse poteva rifarsi ai bottoni ricoperti del XVIII secolo, dove sull’accessorio di dipingevano scene imitando artisti famosi come il Watteau. “Per carità, quelli sono a ben altri livelli”, commentò l’interlocutore sorridendo. “Tuttavia anche i suoi bottoni, mi dicono, sono molto richiesti. “Questo sì... Sono bottoni anni 50 e oltre. Mi seggo a quel tavolino che ricorda il deschetto del calzolaio, lì, in quell’angolo, e mi metto all’opera, mentre mio fratello e le mie sorelle (che sono tre, ma una in negozio non si è mai fatta vedere) servono la clientela. “Di che materiale sono questi suoi bottoni?”. “Galatite, metallo”. Ne ha circa 30 mila, uno diverso dall’altro.

Attestato Bottega storica-1950
Ha preso anche a fare dei quadri, combinando su ognuno una trentina di bottoni. Gli chiesi se avesse mai pensato di dare dignità artistica a questa sua bravura e gli parlai del baritono Giuseppe Zecchillo che realizzava opere con la pasta (maccheroni, linguine, maccheroni, spaghetti), su cui spennellava la porporina. Ci aveva pensato, qualche volta, “ma lei adesso mi dà una spinta”. Un tempo – ricordò - in alcune portinerie era appeso un cartello: ‘Si ricoprono bottoni’. Spesso a farli era la stessa custode, con una macchinetta”. Tra i clienti della merceria ci sono molti vecchietti? “Sì, ma anche molti giovani. I più anziani vogliono indumenti che potrebbero sembrare incredibili: i mutandoni di lana, quelli lunghi fino alle caviglie, che andavano parecchio nei tempi andati. Le signore attempate chiedono le calze e le sottocalze da portare con la giarrettiera. O la veletta per il cappello. Va molto anche la sottoveste, sempre di lana”. E i giovani? “I bottoni di metallo, che io stesso applico sui ‘blue-jeans’”. Tra di loro non ci sono amanti del collezionismo? “Forse preferiscono quello delle automobili in miniatura”. Il collezionismo dei bottoni si è incrementato negli anni Ottanta del 20° secolo, non solo nel nostro Paese.

Altra foto del negozio


A Londra, per esempio, dove, informava Massimo Alberini, Toni Frith, nel suo esercizio “The Bouton Queen”, ha stimolato alla riscoperta degli esemplari d’epoca e ha determinato la nascita del London Badge and Button Company e delle sue confezioni regalo utilizzate per guarnire la giacca. Grande esperto del settore e di circo, Alberini, che collaborava con il “Corriere della Sera”, offriva una messe d‘informazioni anche sulle raccolte dei bottoni, accessorio che a quanto pare non ha origini lontane. Basta leggere il libro “Una giornata nell’antica Roma” di Alberto Angela e guardare le foto che lo illustrano per notare che le tuniche e le toghe non avevano i bottoni, ma erano tenute insieme da lacci e cordicelle. Così anche i greci. I primi bottoni, secondo Jean Person, spuntarono alla corte del Re Sole. Figurarsi la gioia dei coyllezionisti più abbienti, se avessero la fortuna di entrare in possesso di uno di quei gioielli, che costerebbe una cifra da capogiro. Mi accorsi che Il discorso deragliava. Gaetano Ragusa da gentiluomo non me lo fece notare, ma io tornai sul binario di partenza.

Gaetano Ragusa
E Gaetano riprese: “Non do eccessiva importanza ai miei bottoni rivestiti, nonostante le richieste che continuo ad avere, soprattutto da parte dei giovani”. Conosco diversi assidui clienti della merceria di via Segneri, e da questi seppi che tra i simpatizzanti dei bottoni ricoperti di Gaetano Ragusa qualche patito c’era. Quindi lui, inconsapevolmente, alimentava questo collezionismo minore. Gli dissi che tantissimi anni fa, grazie a Vito Arienti di Lissone, grande collezionista di tarocchi storici e anche di “presse papier”, fermacarte in sagome di cristallo con fiori, arabeschi, stelle… impressi nel cuore, incontrai un signore che raccoglieva bottoni di ogni tipo, ricoperti e non. Abitava in una delle villette di viale Zara e ne conservava non so più quanti ammassati in una cassapanca della nonna. Andava orgoglioso di questo suo patrimonio, e se qualcuno mostrava meraviglia, rispondeva: “E allora quelli che collezionano scatole di fiammiferi, bottigliette, compresa quella della gazosa con la pallina in gola? E quelli che si riempiono la casa di etichette, segnalibri, turaccioli, menù…?”.

Altro attestato Bottega storica-2006
Beh alcuni menù hanno un certo fascino anche per le loro immagini, come si può vedere in “Un secolo di menù italiani” pubblicati tempo fa dall’Accademia italiana della cucina: quello, per esempio, con un’immagine di Antonio Saliola del 1996 e quelli con riproduzioni di quadri di Carrà, De Chirico, Tozzi, Guidi…Insomma, la gente ama conservare oggetti, persino sabbie di ogni parte del mondo, tenute in bottiglie tutte uguali, esposte in alcune fiere. Chiesi nuovamente scusa a Gaetano per il deragliamento: Il collezionismo mi coinvolge. E mi mostrai convinto che in qualche collezione i suoi bottoni erano finiti. Giorni fa ho voluto riprendere il discorso e ho telefonato alla merceria. Ho parlato con Stefano, 77 anni, e mi ha dato brutte notizie: Gaetano il 17 giugno del 2017 a 84 anni è deceduto e la merceria ha il destino che si temeva: non si sa quando, dovrà chiudere e un’altra bottega storica scomparirà per aprire altrove. Loro stanno già cercando, ma non riescono ad avere risposte da chi dovrebbe. Anche i clienti sono addolorati: questa merceria è cara a tutti. Molti dicono: “Se riapriranno in capo al mondo anche lì andremo a trovarli. La merceria dei Ragusa è un’istituzione”. E’ una delle storie di meridionali o figli di meridionali che lavorando sodo e con impegno si sono fatti onore: meridionali laboriosi, intelligenti e comunicativi. Milano ha sempre riconosciuto il loro valore.












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