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mercoledì 19 agosto 2020

Alberto Curti, un personaggio da ricordare

 

Fece il giro di mezzo mondo

in sella alla sua bicicletta

 

Alberto Curti sfoglia un libro

Scrisse quaranta volumi in cui raccontava

paesaggi, emozioni, persone, monumenti.

Durante i suoi viaggi spesso dormiva nei

fienili o sulle spiagge. Poi utilizzò una Fiat

Uno, che trasformava di giorno in sala da

pranzo e di notte da camera da letto. Lo

incontrai quando aveva 90 anni e ancora

la voglia di viaggiare.


 

 

 

 

Franco Presicci

Lo incontrai la prima volta nel luglio del 2008, nella libreria di viale Tunisia di Nicola Partipilo, chiusa da qualche mese non per scelta del titolare, ma per le condizioni che hanno fatto abbassare le saracinesche a tanti templi della cultura, compresa quella della Ca’ Granda, l’ospedale di Niguarda. Alberto Curti – di cui parlo - allora novantenne, stava chiedendo a Nicola se fosse disposto a pubblicare i libri da lui scritti al ritorno da suoi numerosi viaggi in mezzo mondo. 

Gianni Brera, secondo a destra, nella libreria di Partipilo,    secondo a sinistra    



Pur apprezzando il suo talento di narratore, l’editore gli dovette dire di no, perché la sua Celip, specializzata nella pubblicazione di volumi su Milano e la Lombardia, aveva già fatto alcune eccezioni, dando alle stampe tre volumi: “Mille ricette più una”; “I segreti del varietà” di Alberto Lorenzi; nel 1990 “Il lusso di sognare l’Italia” (tremila lettere di emigrati), di Annibale del Mare, personaggio di grande spessore, che il 22 ottobre del ’43 annunciò sulla “Gazzetta del Mezzogiorno” il ripristino della libertà di stampa e tenne vivo il legame con gli italiani all’estero, per i quali creò parecchie ’iniziative: “La Nave del ricordo fraterno”, tesa a costituire piccole biblioteche in ogni Paese; nel ’48 la rivista “Cronache per l’Italia”… Io, che lo frequentai e sapevo che aveva fatto anche parte dell’ufficio stampa del governo Badoglio, ed era una persona discreta, appassionata del nostro mestiere, scrupolosa, appresi con dolore della sua morte, avvenuta in una clinica milanese nel 2011. 

L'editore Schena con Spadolini

Conservo gelosamente l’edizione di Schena, di Fasano, del “Lusso di sognare l’Italia”. Avevo questi pensieri mentre l’inesausto viaggiatore parlava con Nicola, mentre fuori la sua bicicletta era nei desideri di un malintenzionato, a sua volta controllato da un giovane commesso della libreria. La figura di Alberto Curti stuzzicò la mia curiosità, soprattutto quando disse che aveva macinato chilometri e chilometri a cavallo della sua due ruote e che alla sua rispettabile età aveva ancora intenzione d fare qualche pedalata. “Ho viaggiato tantissimo. Sono stato dappertutto: prima con la bici, poi con il motorino, poi con l’auto, e non sono ancora stanco”. Aveva scritto 40 libri sui percorsi attraversati, sulla gente che aveva conosciuto, oltre che suoi luoghi visitati, dal tempio di Abu Simbel alla Medersa Ben Youssef, la più grande scuola coranica del Maghreb. Gli chiesi un appuntamento e m’invitò a casa sua, in via Uruguay, 14, al Gallaratese. Impiegai più di un’ora in pullman, un paio di giorni dopo, per arrivarci, e lui aveva raggiunto viale Tunisia in sella in minor tempo. Mi mostrò i suoi libri dattiloscritti senza darsi arie, dicendo: “Ho fatto il giro del Mediterraneo su un velocipede, ho dormito su spiagge e in stalle. E ho visitato in lungo e in largo anche l’Italia, che è un autentico gioiello, di una bellezza incantevole. Non sono di quelli che corrono all’estero e ignorano ogni angolo della propria terra. Io viaggio per fare esperienza, per appagare la mia curiosità, la mia sete di cultura, di conoscenza…”. E riprese in mano una sua opera. “Ecco, se ha voglia di leggerli, li troverà interessanti: vi ho raccolto notizie storiche, dialoghi, sensazioni. Ho descritto paesaggi, personaggi, chiese, monumenti. A giorni ripartirò per andare in auto a Venezia, dove esporrò i miei libri in piazza San Marco, quindi a Firenze e a Roma”.

Enzo Biagi e Partipilo a sinistra
Era indeciso se piazzare un suo punto-vendita itinerante nella Capitale, vicino al Vaticano. Mi puntò gli occhi schermati da un bel paio di occhiali per catturare le mie idee. Aveva sempre un sorriso stimolante; era brillante, cordiale, spontaneo, Albertino il vecchio, come amava soprannominarsi. Era anche un po’ irrequieto. Era difficile vederlo seduto un momento. Pensavo: “Quanta passione in quest’uomo, piccolo di statura, ma ricco di umanità. Parla delle cose notevoli che ha visto in Algeria, Siria, Irak, Iran, Giordania, Israele, Grecia, Olanda, Svezia… scatenando l’immaginazione di chi ascoltava e la voglia di mettersi al volante e partire. “I viaggi mi hanno aiutato a crescere, ad amare di più il prossimo, ad apprezzare le bellezze incastonate sul nostro territorio. In Sicilia, per esempio, Selinunte, Agrigento, i siti della civiltà antica, le spiagge dorate, la natura. Dopo la Sicilia sentii anche il bisogno di andare a visitare gli altri scrigni archeologici, sparsi qua e là. Davanti a una colonna sentivo l’impulso d’inginocchiarmi, perché m’immaginavo la città alla quale era sopravvissuta. A Tagiura, in Libia, che vanta una bella moschea del ‘500, un italiano mi mostrò la sua azienda agricola, una vasta estensione di arena ricca di ulivi, vigne, alberi da frutto, orti., mentre un motore pompava acqua limpidissima succhiata da una grande cisterna e tutt’intorno lo spettacolo di un panorama gioioso”. Alberto il vecchio pianificava scrupolosamente le sue “spedizioni”. “Tappe irripetibili, ogni anno un Paese diverso, un nuovo mondo da scoprire”. E se sul suo cammino incontrava qualche difficoltà, non si scoraggiava: trovava sempre il rimedio. 

Il caldo (viaggiava durante le ferie, in luglio o in agosto) non lo abbatteva. “Bevevo cinque litri di acqua al giorno e misuravo le distanze non a chilometri ma a litri d’acqua: quelli necessari per raggiungere la località stabilita. Facevo 150 chilometri al giorno: 10 all’ora, perché non dovevo fare il Bartali, il Coppi o il Girardengo, dovevo contemplare, apprezzare i tesori a cui mi avvicinavo”. Con il tempo Albertino avverti qualche problema a pedalare; così applicò un motorino alla bici. “Durò un ben po’: fino al ‘92”, quando il viaggiatore decise di ricorrere a una Fiat Uno, che di giorno fungeva da camera da letto e di giorno da sala da pranzo. Aveva acquistato un fornello a gas e con quello si faceva da mangiare. “Sono un uomo libero: per me le comodità sono una schiavitù. Aprì le pagine di uno dei suoi libri, messi uno sull’altro: un pilastro eretto su un lato del tavolo, intitolato provvisoriamente: “La quarta sponda” (Libia), e lesse alcune righe di un capitolo: “La ballata del casco”. Disse: “Guardi, quante cartine geotopografiche, fotografie di statue, scene di vita quotidiana, paesaggi. Il povero è più generoso del ricco: il contadino mi dava la coperta e mi faceva dormire nel fienile; il possidente anche: mi offriva un letto di paglia e la coperta, ma voleva il mio passaporto. Una volta, al confine tra l’Algeria e la Tunisia un contadino espresse il desiderio di dormire la notte con me sulla spiaggia. Diffidando, nascosi la macchina fotografica, il binocolo, la radio a cuffia e i soldi sotto la sabbia su cui stesi il materasso; ma quello, volendo soltanto farmi compagnia, russò fino all’alba, tenendomi sveglio. Trascorsi una notte sulle cocenti sabbie di Abu Simbel con due coppie di francesi, che erano arrivate con me a bordo di un battello partito da Assuan. E sa che dispiacere dover chiudere gli occhi sotto quel cielo stellato?”. 

Nicola Partipilo
Lo ascoltavo volentieri, questo vecchio (“absit injura verbis”) che a 90 anni aveva uno spirito giovane. “Sono nato a Borgofortezza, in Romagna, Mio padre era un trovatello, raccoglieva la canapa con mia madre (erano stagionali)”. Venne a Milano quando aveva appena 9 anni. Poi trovò un posto come guardiano all’Alfa Romeo e fece studiare tutti e quattro i suoi figli”. Alberto Curti frequentò i corsi serali di ragioneria, e faceva 20 chilometri ogni sera, fra andata e ritorno, da viale Espinasse, dove abitava in una casa di ringhiera, a piazza Fratelli Bandiera. Fu assunto come impiegato dalla stessa casa automobilistica, ma voleva fare il maestro. Andò in guerra. Dopo 4 anni cominciò a viaggiare. “Ho preso da mio nonno, che probabilmente era uno zingaro”. Quando lo conobbi era rimasto vedovo, la bicicletta che aveva cavalcato per anni lungo tanti percorsi era finita nel suo “museo” degli oggetti carichi di storia ed era stata sostituita da una specie di “Graziella”, palpitando in lui ancora la voglia di riprendere i suoi viaggi. Intanto cercava un editore, esprimendo il desiderio di raccontare. Lo rividi un paio di volte, venne anche a trovarmi a casa, sempre pedalando, ma poi non l’ho più sentito. Ho perso anche il suo numero di telefono. Sarà ancora in vita? Gli uomini come lui non muoiono mai. Anche perché c’è sempre qualcuno, come me, che li ricorda come personaggi da scrivere nell’albo d’oro di Milano.









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