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mercoledì 12 agosto 2020

Ricordo di Alberto Dall’Ora



UN PREMIO PRESTIGIOSO 
Alberto Dall'Ora

A UN PRINCIPE DEL FORO 


Nato a Verona, aveva onorato Milano e la sua città.

Stimato e amato e rispettato da tutti, primeggiò in molti processi importanti. 

Alla serata per la consegna del Premio “Le Porte di Milano”, presero parte tante alte personalità: magistrati, ufficiali dell’Arma. 

Il questore, il sindaco e molti giornalisti








Franco Presicci


Gresti e Dall'Ora
I meriti di Alberto Dall’Ora, principe del foro e docente universitario, nato nel ’23 a Verona e milanese d’adozione, erano molti: volò ad Alcamo, in Sicilia, per assumere gratuitamente la difesa della ragazza che, rapita e violentata il 26 dicembre del ’65, divenne famosa per aver rifiutato il matrimonio riparatore, mandando in carcere l’uomo che le aveva strappato l’illibatezza (era stata tenuta sequestrata per otto giorni prima in un casolare ai margini del paese, poi nell’abitazione di un familiare del rapitore), fu eletta a simbolo dell’emancipazione femminile, tra l’altro ispirando il film di Damiano Damiani “La moglie più bella”); il 9 settembre dell’85, in una memorabile arringa di quattro ore in tribunale sostenne l’innocenza di Enzo Tortora, il presentatore dalla cultura immensa e dalle altissime qualità morali; tre anni prima aveva intestato la biblioteca dell’Ordine degli avvocati milanesi, di cui era presidente, al collega Giorgio Ambrosoli, un “eroe borghese” ucciso l’11 luglio del ’79 dalle forze del male.
Uomo integerrimo, Alberto Dall’ora era famoso in tutt’Italia, amato e stimato dai suoi colleghi e dai milanesi. 

il discorso di Dall'Ora
Quindi la giuria del Premio “Le Porte di Milano”, sorto a sera del 9 giugno del 1986, con lo scopo di assegnare un riconoscimento prestigioso a un’illustre personalità che non avesse avuto i natali a Milano, non poteva che puntare l’attenzione su una figura come quella dell’esimio patrocinatore, che quando parlava, come ai tempi del duce Alfredo De Marsico, calamitava folle di appassionati. La giuria, della quale facevano parte, tra gli altri, Domenico Porzio, giornalista e scrittore, già capo ufficio stampa della Mondadori e assistente del presidente Arnoldo (“In primi piani” ha delineato la vita e le opere di grandi personaggi da Kerouac a Soldati, a Nabokov, a Guttuso, a Buzzati, a Moravia, a Chiara…), Piero Colaprico, giornalista e scrittore, oggi direttore della redazione milanese di “Repubblica”, fu unanime nel votare il nome di Dall’Ora e quando gli telefonai per dirgli che gli avevamo dato il Premio, ringraziò con la sua solita cortesia, promettendo che sarebbe venuto a ritirarlo, la sera della cerimonia di consegna. 
il Naviglio Grande
A quell’appuntamento furono presenti numerose autorità: il procuratore generale Beria di Argentine, il procuratore capo Mauro Gresti, il prefetto Enzo Vicari, il presidente del tribunale civile Alessandro Alessi, il suo vice Papi, il questore Antonio Fariello, il sindaco Carlo Tognoli, Gaetano Afeltra, già direttore del “Giorno” ed ex colonna del “Corriere della Sera” e del “Corriere d’Informazione”, Lino Rizzi, allora sulla plancia del quotidiano dell’Eni, il presidente dell’Ordine dei Giornalisti Carlo De Martino, alti ufficiali dei carabinieri, della finanza, magistrati, Piercamillo Davigo e Francesco Di Maggio, e tanti giornalisti della carta stampata e delle televisioni. Dopo la lettura della motivazione, letta dal segretario del Premio, che era il sottoscritto, Dall’Ora tenne il suo discorso senza toni enfatici, ascoltato in un silenzio totale. Alla fine i rappresentanti della stampa, che lo ammiravano, in attesa degli spaghetti all’aragosta, ricordavano alcune sue arringhe, tra cui quella nel processo all’americana Terry Broom, accusata dell’assassinio, avvenuto la sera del 24 giugno del 1984, di Francesco D’Alessio, figlio del re degli ippodromi (la donna, fermata a Zurigo pochi giorni dopo nell’Hotel Bahnpost, a due passi da Casermstrasse numero 5, estradata e accompagnata in Italia dal vicequestore Enrico Macrì, capo della sezione omicidi di Milano, e da tre poliziotti svizzeri, venne arrestata a Chiasso dagli uomini della Squadra Mobile). 


Di maggio, Fariello, Abruzzo
Insomma Alberto Dall’Ora era un personaggio di altissimo livello e aveva onorato Milano e la città di origine. A lui sarebbe andato anche il Motta, dedicato alle persone che hanno fatto grande il capoluogo lombardo, se quel Premio fosse sopravvissuto. Fece in tempo ad averlo Gaetano Afeltra, che dalla sua Amalfi, come ricordava il grande critico letterario Giuliano Gramigna, era arrivato nel ’38 sulle sponde del naviglio. E se l’altro Premio, “Le Porte di Milano”, non avesse avuto una vita breve, per ragioni che non starò qui a spiegare, c’erano tanti altri nomi che avrebbero potuto averlo, a cominciare dal Nobel Eugenio Montale, che tra l’altro dalla sua casa di via Bigli rispondeva spesso e volentieri alle domande dei cronisti nelle grandi occasioni, come per esempio quando uscì il film su Garibaldi, caro a Bettino Craxi. 

Gaetano Afeltra e Carlo De Martino
La giuria pensava anche a Raffaele Carrieri - tarantino come Porzio – poeta e critico d’arte (scriveva su “Epoca” e sul “Corriere”) definito da Giacinto Spagnoletti moderno picaro; a Paolo Grassi – alla memoria – morto a Londra il 14 marzo dell’81 - di cui Porzio scriveva: “Sotto la coperta di pelle di guanaco, il suo corpo è irrequieto, insofferente: non è abituato a starsene a letto". Un mucchio di riviste, libri, programmi scaligeri per terra: cinque, sei giornali sui cuscini (federe bordate di beige come il lenzuolo), gli occhiali e il telefono su un tavolino a portata di mano…”; al camilliano Ettore Boschini, per tutti fratel Ettore, classe 1928, origini mantovane, che fino a una trentina di anni prima girava per Milano alla guida di un’auto rantolante con una statua della Madonna di Fatima sul tetto, per compiere la sua opera di carità. 
Nel suo rifugio di via Sammartini, che fu visitato anche da Madre Teresa di Calcutta, evento immortalato su una targa che campeggia sulla porta, di fianco all’uscita di un tun
Lo scrittore Porzio e il professor Garattini
nel della stazione Centrale, accolse tante persone senza tetto, immigrati compresi, fornì loro da mangiare e un cambio di vestiti scelto dal mucchio donato da gente caritatevole. Dormiva nella clinica Pio X di via Nava, ma passava infinite ore sulla strada. Anni fa fui ricoverato in questa clinica, il prete che venne a benedirmi gli riferì della mia presenza e lui piombò nella mia stanza per illustrarmi un progetto da realizzare. Il suo fervore mi coinvolse e gli dissi di lasciarmi le carte sul comodino. 


Poi quel Premio, che era stato esaltato da tutti gli organi di stampa non soltanto milanesi, finì su un binario morto. Le speranze che qualche “sponsor” illuminato gli desse nuova vita, naufragarono definitivamente. Un editore giornalista, che sfornava diverse riviste e aveva fatto parte della giura offrì la terrazza della sua sede nel centro di Milano per le riunioni della giurìa e per la serata della consegna (aveva approntato decine e decine di sedie da regista), ma l’ideatore dell’iniziativa aveva perduto l’entusiasmo. Peccato. La seconda edizione era stata assegnata al professor Silvio Garattini, bergamasco, fondatore e direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri”, libero docente in Chemioterapia e Farmacologia, autore di centinaia di opere scientifiche, definito “missionario laico consacratosi alla scienza”. Anche quello fu un evento di grande respiro, che provocò anche la sfioritura di un amore: un noto e bravissimo collega aveva promesso alla fidanzata renitente che avrebbe fatto soltanto un’apparizione a quella festa, ma poi, affascinato dalla conferenza che il premiato tenne per un’ora (tutti pendevano dalle sue labbra), vi rimase per l’intera serata, dimenticando l’impegno preso. Il caporedattore di un quotidiano, che era lì come semplice invitato, come tanti altri colleghi, telefonò al giornale per dire che l’articolo voleva scriverlo lui, sottraendolo al cronista.
Opera di Cortina


Io sognavo un’edizione per Alda Merini, anche se la poetessa dei navigli diceva di non amare più Milano come una volta. Il premio si spense prima, sorprendendo e amareggiando tutti. Evidentemente chi lo aveva sostenuto non aveva la stessa passione di Alberto Pepori, che nel suo ristorante, Bagutta, sorto nel 1924, dotato fra l’altro di un giardino di notevole bellezza, e opere di artisti affermati appesi alle pareti, tra cui quelle di Vellani Marchi, ha ospitato per decine di anni l’omonimo Premio fondato da Orio Vergani e altri per il libro più bello. Vita più lunga aveva avuto il Premio Milano di Giornalismo, che si svolgeva nel locale “La Porta Rossa” di Chechele e Nennella, nei pressi della stazione Centrale. Molte personalità ambivano a prendere parte alla premiazione e molti altri a ricevere il riconoscimento. Anche quella giurìa comprendeva nomi importanti, dal poeta e giornalista Alberico Sala al gallerista Renzo Cortina, autore di “Horca miseria”, che parafrasava “Horcynus Orca” di Stefano d’Arrigo, a Ugo Ronfani, vicedirettore del “Giorno” e scrittore, a Vincenzo Buonassisi, apprezzato critico gastronomico, come Edoardo Raspelli, che oggi sull’argomento conduce su Canale 5 una interessantissima trasmissione…. Ci sono Premi che resistono al tempo: qualcuno muore addirittura quando è ancora in fasce.

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