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mercoledì 26 agosto 2020

Un grande cronista si raccontò piacevolmente

Gabriele Benzan

 GABRIELE BENZAN, UN “NERISTA”

DALLA MEMORIA INOSSIDABILE


 

In un’intervista degli anni 80, già
ottantacinquenne, parlò con molta
nostalgia degli anni passati a seguire
delitti, grandi rapine, bande spietate.
Diceva che la “nera” era la parte più
Interessante di un giornale.

 

 

 

 

 

 

Franco Presicci

Guido Gerosa, a destra, e il direttore del Giorno Lino Rizzi

   Se un novizio del giornalismo avesse voluto apprendere un po’ di storie di malavita (persone, fatti accaduti con le relative date…) si sarebbe dovuto rivolgere a lui, Gabriele Benzan, purtroppo deceduto da qualche anno. Quando lo sentii l’ultima volta, nel marzo del 2008, aveva 85 anni, e ancora una memoria solida. Bastava fare un nome e lui subito ne raccontava le imprese. Pietro Cavallero? E passavano davanti agli occhi dell’interlocutore, come un film, le tragiche ore seguite alla rapina di largo Zandonai del 25 settembre del ’67, con la banda che per sfuggire alla polizia che la inseguiva, sparò all’impazzata, insanguinando le strade della città. Raccontava anche i dettagli, Benzan, e faceva nomi e cognomi delle pellacce, gli sconvolgimenti che avevano provocato e il momento della cattura.
   Alla sua età non aveva perso l’entusiasmo e la passione per questo mestiere, che ha avuto nella sua lunga storia grandi personaggi, a cominci
are da Tommaso Besozzi, una gloria, un mito. 

 

Giancarlo Rizza, dietro di lui Maurizio Acquarone

Nel libro “I giornali non sono scarpe”, edito da Baldini & Gastoldi, Enrico Mannucci, ricorda che quando nel febbraio del ’49 Besozzi si presentò alla ”congierge” del Brufani, un vecchio albergo di Perugia, “alla fine del corso che traversa la città, nella piazza che guarda alla valle verso il Trasimeno, per assistere al processo ali assassini di don Pessina, fu trattato come un re, l’albergo era ai suoi piedi, il giovane Biagi, che era con lui, si sentì dire: ‘Enzo, ricordati cos’è la celebrità’.  Ma per la verità ho la sensazione che lo avessero scambiato per Nino, un grande attore famoso, che lavorò con Irma Gramatica, Ruggero Ruggeri, Andreina Pagnani, Vittorio De Sica…. Comunque, Tommaso in fatto di notorietà non gli era da meno.

Tanto per fare un esempio, da inviato a Palermo narrò in un’inchiesta, pubblicata da “L’Europeo” il 4 novembre del ’45, snocciolò la storia vera dell’uccisione del 

bandito Salvatore Giuliano, rispondendo alle domande: “Chi è stato a tradirlo? Dove è morto? Come? E quando’…”.  Benzan, quel giorno, affrontò anche l’argomento della grandezza di Tommaso Besozzi, di cui ormai pochi parlano. Tra l’altro i giovani apprendisti la nera non vogliono neppure sentirla nominare, mirando ad altri settori del giornale, ritenuti dagli stessi più prestigiosi. “Non sapendo – commentò Benzan – che la cronaca nera è avvincente e richiede preparazione, passione, coraggio”.

   Era un piacere ascoltarlo, questo gentiluomo alto, con i baffetti bianchi e un sorriso dolce. Continuava a collaborare con la televisione, se non ricordo male, del Trentino e pensava con grande nostalgia a Milano e al lavoro che qui aveva svolto per anni anche per il quotidiano “Il Giorno”. Nella sua carriera aveva conosciuto tutti, colleghi, poliziotti… quindi quando nel capoluogo lombardo accadeva qualcosa, lui veniva subito a saperlo. In questura campeggia una foto che lo ritrae con il suo solito sorriso spontaneo fra tanti altri cronisti colleghi dell’epoca, tutti di grande spessore: Arnaldo Giuliani, Max Monti, Fabio Mantica de “Il Corriere della Sera”, Gaetano Gadda e Giancarlo Rizza , de “Il Giorno”, Salvatore Conoscente de “L’Unità”, Mario Mercuri, di “Avvenire”, Alfredo Falletta, passato al “Corriere” da “L’Italia”, Mario Berticelli, de “L’Unità”, “Zsù-Zsù”, che forse perché ancora stanco per la grande camminata fatta nel ’45 dalla Germania, chiamava il taxi anche per spostarsi di qualche metro. 

Guglielmo Zucconi

   Benzan andava d’accordo con tutti, per la sua cortesia e la sua lealtà. Mai scorretto. Se coglieva al volo una notizia e la metteva in pagina, non si mostrava orgoglioso, superiore agli altri, come facevano cronisti degli anni ’90, che consideravano “scoop” l’arresto di un “pusher” scoperto con due chili di eroina addosso. “Scoop” fu quello di Nino Gorio, giornalista giudiziario del quotidiano di via Fava, che catturò la notizia di un quadro famosissimo rubato in Italia ed esposto in un altrettanto famoso museo straniero. Enzo Catania, vulcanico vicedirettore e capocronista de “Il Giorno”, pubblicò l’articolo a otto colonne in pima pagina e Gorio ebbe il Premio “Cronista dell’anno”, a Senigaglia.
   Bei tempi. In cronaca si stava sempre all’erta. Appena trapelava la notizia, via sul posto con il fotografo a bordo di un’auto del giornale guidata da un autista esperto. Ricordo anche loro: Gramigna, padre e figlio, Gusmaroli, Camarda, Ricciardi, Valentino, che conoscevano le strade a memoria e in un baleno ti portavano sul teatro di un delitto, dove emergeva l’abilità del nerista, la sua pazienza, la sua meticolosità, il suo intuito, la sua conoscenza degli uomini.

Cronisti di una volta in sala stampa

 Benzan descriveva luoghi,episodi…“Non si potevano attraversare al buio i boschetti di Trenno senza essere aggrediti e depredati. Anche l’attrice Emma Gramatica fece la sua brutta esperienza mentre percorreva piazzale Lotto in carrozzella (io la vidi recitare con Elsa Merlini in “Venerdì Santo” di Cesare Giulio Viola al Teatro Orfeo di Taranto). “Era bella, la nera”, ripeteva il vecchio e saggio cronista. E quasi conta i passi spesi per raccogliere i dettagli di un fatto. E per raccoglierli bisognava bussare a tante porte per cercare testimoni, per far parlare chi conosceva la vittima, chi aveva visto lo svolgersi della scena. “Non era facile strappare parole alla gente, che taceva per prudenza, per indifferenza”.
   Si rivede sotto una finestra della questura per captare per esempio le risposte che Rina Fort dava al “Gatto”, come definivano Mario Nardone. “Max Monti finse di fare la pipì contro la parete per giustificare il suo appostamento. Allora non c’era la sala-stampa, in va Fatebenefratelli, e noi eravamo davvero dei segugi. Quasi era più facile parlare con un elemento della malandra che con un poliziotto alla guida di un’indagine. Qualche anima buona ogni tanto si rendeva conto dei nostri sacrifici, della nostra stanchezza,  per non dire della nos
tra avidità, e ci elargiva qualche frammento utile.

 

Arnaldo Giuliani e Vito Plantone

Uno che capiva le nostre esigenze era Vito Plantone, che quando usciva da un interrogatorio anche a mezzanotte veniva con noi a mangiare un panino e ci diceva quello che ci poteva dire senza complicare le indagini. Gli volevano tutti bene non solo per questo, ma perché era un signore, un poliziotto acuto.
   Nardone non scuciva neppure una parola anche se gli puntavi contro una mitraglia. Jovine era un po’ come Plantone. Lorenzo Reali anche. Il maresciallo Ferdinando Oscuri, grande poliziotto anche lui, che conosceva tutti i meandri della mala, era rigido come una st
atua, pur avendo buoni rapporti con la stampa. Rimanemmo al telefono per un paio d’ore. Benzan parti dalla rivolta di San Vittore del 21 aprile ’46; dalla banda Bezzi e Barbieri, che terrorizzò Milano con la sua Aprilia nera. “La rivolta del carcere fu guidata da Barbieri con altri cinque elementi e portò alla morte del giovane agente Salvatore Rap. Per poter osservare meglio l’entrata del carcere noi salimmo al secondo piano di un palazzo in costruzione all’angolo tra viale Papiniano e via Dugnani”. Poi un maresciallo dei carabinieri, che Benzan aveva conosciuto quando si faceva spesso ospitare dalla mensa dei carabinieri in via Moscova a causa dello scarso stipendio che gli dava l’agenzia Orbs prima di traslocare al “Giorno”, gli disse che in una cella stava per avvenire un incontro tra i rappresentanti dei rivoltosi e un maggiore dell’Arma. Lui riuscì ad infilarsi nel luogo della trattativa e assistette al comportamento spavaldo del cosiddetto “conte Mino”, che dettava le sue condizioni e l’ufficiale che l’invitava a deporre le armi.

   Dopo un po’ di tempo sarebbe stato istituito il “777”, il numero della centrale della polizia (in seguito diventato “113”, che ogni giorno viene sopraffatto anche dalle telefonate più strane) sul modello londinese della “Flying Square”. Il primo mezzo a disposizione una Lancia Asturia. 
Le prime auto della polizia

   Non sfuggiva nulla a questa memoria inossidabile. Benzan ritornò sul tema delle bande del dopoguerra, dalla Banda Dovunque, che sembrava imprendibile e dotata del dono dell’ubiquità, a quella del bandito gentiluomo, che dopo l’assalto, uscendo, lasciava la… mancia al cassiere.  Nell’80 lo conobbi, questo signore. Avanzava verso di me un po’ claudicante e mi chiese di scrivere un articolo su di lui. Lo feci e dopo qualche giorno dall’uscita del pezzo fu invitato al “Maurizio Costanzo show”, per ripetere la sua storia. Una storia lunga senza mai una vittima, senza mai ostaggi, senza colpi intimidatori di pistole. Come normali operazioni bancarie. A proposito, mi disse Benzan al termine della conversazione: “Ricordi che cosa diceva Guglielmo Zucconi, prima direttore della ‘Domenica del Corriere’, poi del ‘Giorno’? Tre sono le ‘S’ che fanno vedere i giornali: “Sangue, soldi e salute”. “Sì, lo disse anche a me un gioco, mentre lo accompagnavo dal questore Marcello Carnimeo, il successore di Antonio Fariello. 

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