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mercoledì 30 settembre 2020

Il Premio Fasano nelle tenute di Al Bano

Giuseppe Fasano e una sua opera

 

FRA ULIVI SARACENI, VIGNE E LAGHETTI CAVALLI CHE CORRONO IN PIENA LIBERTA’

I riconoscimenti a personaggi di spicco di diversi settori, compreso lo stesso Al Bano Carrisi, che, tra l’altro, è stato un inappuntabile padrone di casa. 

Perfetti l’organizzatrice e la presentatrice.

Rispettate le prescrizioni contro il cecchino, che purtroppo riprende forza.

 

Nel testo sono inserite foto riguardanti la cerimonia

Franco Presicci

Il Premio internazionale “Giuseppe Fasano Grottaglie città delle ceramiche” non poteva avere sede migliore delle Tenute di Al Bano Carrisi a Cellino San Marco, centro che, forse fondato dai monaci nel IX secolo d. C., vanta un austero castello del 1578 e la nascita nel XVII secolo di San Francesco De Geronimo, noto per essere stato un grande apostolo. Il Premio è al quarto anno di vita e sin dalla sua prima edizione ha riportato un rilevante successo, dovuto anche all’amicizia e alla collaborazione fra Al Bano e Giuseppe Fasano, uno degli ottimi figuli della città in cui nel 960 d. C. la popolazione dei paesi vicini scampò alle incursioni saracene intanandosi nei suoi meandri sotterranei. “Mi fu patria una grotta, né ignobile né oscura/ né tetra per ululati né di ferini ostello…”, scriveva Domenico Battista (1613-1675).

Il professore Francesco Lenoci

A far da mattatore il 18 settembre alla cerimonia di consegna, organizzata dalla giornalista Titti Battista e presentata dalla collega di Telenorba Maria Liuzzi, promotore Giuseppe Fasano, il professor Francesco Lenoci, definito l’ambasciatore della Puglia a Milano. Il quale, dopo aver illustrato l’eden di Al Bano, i suoi sentieri boschivi, un ulivo cavo di 900 anni, cavalli che corrono in piena libertà tra schiere di alberi, costeggiando vigne gravide di un vino principesco, ha illustrato il tema “Educarsi al bello e al buono”. A Grottaglie l’uno e l’altro sono di casa. La stessa Grottaglie è bella; bello il quartiere in cui si creano forme geniali, qua e là spettacolari. Ha coinvolto anche don Tonino Bello. “Alla bellezza occorre educare e educarsi, perché solo con l’educazione alla spiritualità e alla bellezza che li circonda le nuove generazioni sapranno scoprire i tesori che hanno dentro di sé… e avranno la capacità di scoprire il bello e il buono che è nel mondo che li circonda? Non c’erano bellezza e bontà nelle figure di don Carmelo Carrisi, papà del cantante, contadino acuto, laborioso e innamorato della sua terra, amore che ha trasmesso al figlio, che trionfa sulle ribalte di tutto il mondo con la sua voce tonante; e del papà di Giuseppe Fasano, Nicola, dall’attività intensa e edificante, esemplare, artista di grande talento, che adorava accogliere con cuor gentile gli studenti desiderosi di visitare il suo laboratorio? Don Carmelo era un narratore formidabile, come riferisce lo stesso Al Bano nel suo libro “E’ la mia vita”.

“Teneva gli eventi sulla punta delle dita, li giostrava dando loro vita davanti agli occhi e alla fantasia di noi che l’ascoltavamo. Aveva la regia del racconto, la rara capacità di scolpire con le parole i particolari in modo così efficace da farli diventare parte di chi lo stava ascoltando”. La sequenza di quelle immagini parlate - continua - era di una bellezza, di una forza tale che ti penetrava. Nel ‘73 Al Bano ha battezzato il suo primo vino con il nome del padre; e quando ne dette una bottiglia all’amico Dino Abbascià, l’imprenditore ortofrutticolo si commosse. Oggi don Carmelo e la moglie Jolanda non ci sono più. Il loro spirito aleggia fra tutto questo verde di 130 ettari e in questa armoniosa architettura che il cantante di “Felicità”, con lo stimolo di Romina, ha saputo creare. Dopo aver seguito con la moglie il figlio ovunque, nel 1985 Don Carmelo fu colto da un infarto. Da convalescente chiese al suo usignolo di portarlo in Albania; fu accontentato e tornò in buona forma a Cellino.

Dino Abbascià

Lenoci, come Dino Abbascià, personaggio difficile da dimenticare, per la sua umanità e per la forza e la costanza dimostrate nel mettere su un impero, erano già stati in quest’oasi di silenzio e di pace, in questo luogo che raccoglie tutti i sapori e gli aromi della Puglia e invita alla meditazione. “E’ sbagliato credere che tutta la bellezza sia relegata nel passato – ha detto fra l’altro Lenoci – nella sua relazione. Ogni epoca ha la sua. E nella nostra le bellezze non mancano. Anzi. La Puglia è ricca, di bellezze. Che cosa sono quegli ulivi in fila indiana dalle parti di Ostuni, città bianca, con “la cattedrale bagnata nei pastelli teneri del tramonto”, a sentire Giuseppe Giacovazzo; ulivi millenari che con il tempo sono diventati monumenti? La Puglia – ancora Giacovazzo – è un’esplosione di colori (quelli dei nostri impareggiabili paesaggi), di voci (i melodiosi dialetti salentini o quelli rochi della Murgia assolata), di suoni (naturali o prodotti dall’uomo sulla scia di una tradizione folklorica ancestrale), di luci e ombre…”.

Osservate lo sguardo rapito del forestiero, osservatelo bene, e immaginerete il motivo che lo spinge a fermarsi incantato a contemplare i paesi, le chiese, i castelli, le spiagge… Della nostra regione, in termini schietti, senza retorica, il grande giornalista scomparso parlò un po’ di anni fa nel teatro dell’Angelicum a Milano, avendo al suo fianco Lenoci, il vicedirettore de “La Gazzetta del Mezzogiorno” Giuseppe De Tomaso (oggi in plancia), Dino Abbascià e padre Eligio, che fu amico del calciatore Gianni Rivera, “abatino” per Gianni Brera. E Al Bano scosse il teatro con le sue canzoni amate ovunque. Era il primo dicembre del 2003, Milano era allagata per una pioggia torrenziale e bloccata da uno sciopero dei mezzi pubblici. Al Bano in via Moscova venne a piedi come tantissima gente. A Milano Al Bano era di casa. Vi aveva lavorato duro, per raggiungere il palcoscenico. Sono stati tanti i suoi giorni milanesi e molte le ore da lui trascorse in Galleria del Corso, dove avevano sede le case discografiche.

Era sceso dal treno alla stazione Centrale l’8 maggio del ’61. Quel ventre gigantesco “mi fece un’impressione, quasi un incubo”. Gli bruciava aver lasciato mamma Jolanda e papà Carmelo, narratore ieratico, amante dei viaggi, e quindi seguiva spesso il figlio, che quando si abbassava il sipario trovava il camerino mezzo vuoto di cibo, che il padre aveva distribuito ai compaesani venuti ad assistere al concerto. Era generoso, don Carmelo (date al povero ciò che avete sulla tavola): nel dopoguerra regalava il vino a chi non se lo poteva permettere. A Milano aveva tenuto compagnia al figlio, ma l’ambiente non gli piaceva, e non gli piaceva la gente, che non rispondeva al saluto e non gli faceva sconti (celebri i suoi tentativi a “La Rinascente”). Di tutto questo e di molto altro (cibo, api, biodiversità) ha parlato Lenoci, con la sua ricca tavolozza mentale con cui dipinge ritratti efficaci. Ecco l’altro protagonista assente della manifestazione: Nicola Fasano, a cui il Premio, ripeto, è dedicato. Personaggio perspicace, previdente, razionale, coraggioso nelle iniziative imprenditoriali e artista “doc”. Anche la sua è una storia edificante, un modello.

Un formicone di Puglia, come avrebbe detto il grande meridionalista Tommaso Fiore, vincitore nel ’55 del Premio Viareggio con “Un popolo di formiche”. Nicola era nato a Grottaglie nel ’23. Dopo le scuole andò a bottega nella fabbrica del papà come “torniante”. Nel ’39 fece domanda per essere assunto da allievo operaio all’Arsenale di Taranto. Nel ’42 venne chiamato a svolgere il servizio militare. Poi passò da un Paese all’altro. Sbarcò a Zante, la mitica Zacinto decantata da Ugo Foscolo (“Né mai più toccherò le sacre sponde”, endecasillabi scritti a Milano nel 1802). Fu prigioniero dei tedeschi nel ’43, nel ’45 ancora in Italia. Riparti per Bologna, Taranto, riapprodò a Grottaglie. Osservò che la stazione del suo paese era una miniatura rispetto a quella di Amburgo. Riprese la via della bottega dell’avo. Il ’48 fu un anno amaro per la ceramica di Grottaglie; e lui, successore di una dinastia che aveva le mani nell’argilla dal 1620, galleggiò su una scialuppa con felici intuizioni: valorizzazione di tre capitali – aveva ricordato Lenoci - umano, organizzativo, relazionale. Introdusse il tornio e l’impastatrice elettrici, acquistò la polverizzatrice d’argilla che sostituì i “pisacreti”, operai che con un martello di legno frantumavano le zolle d’argilla.

Giuseppe Fasano

Nel ’64 fu a Milano ad esporre in Fiera: ancora Lenoci, che ogni volta riporta ogni dettaglio, ogni aspetto degli argomenti che dipinge. Il docente aveva già ripercorso la biografia di Nicola Fasano sei anni fa su un terrazzino di Grottaglie proprio di fronte al negozio di Giuseppe; quindi aveva già esplorato quel regno affollato di piatti, lucerne, “sruli”, “ciarle”, zuppiere, “minzani”, “vummili”, quartare, acquasantiere, “fischieddi”, “campanieddi”, “craste” cavalli, con cavalieri e senza, in una varietà esaltante di colori. Entrando in quella bottega “ho capito che cosa intendesse dire Gustav Mahler con la famosa frase: “Tradizione non è culto delle ceneri, tradizione è culto del fuoco”. Nelle botteghe dei figuli si combinano acqua, fuoco, terra e la magistrale abilità dell’uomo. “Da Giuseppe Fasano ero andato per scattare foto da postare nel mio gruppo di Facebook dedicato all’enogastronomia pugliese con il motto ‘Ogni pietanza ha il piatto adatto’ e mi sono trovato in una pancia sconosciuta”, ascoltando Giuseppe Fasano, che mi raccontava la sua storia e quella del padre. Una storia appassionante: quella di un uomo di talento, da includere in un’antologia di “formiconi” di Grottaglie e della Puglia in genere.

E a proposito di antologie, durante la cerimonia, il docente ha consegnato ad Albano e a Giuseppe Fasano quella di Teresa Gentile: “Scrigno di emozioni- Cavalieri dell’Arcobaleno 2020”, pagine che, già presentate a Martina Franca a Palazzo Recupero, celebrano la bellezza. Ovunque ti giri nel nostro Paese trovi bellezza. Già le Tenute di Al Bano ne sono un esempio. Lo è la sua ugola. Quando quella di Al Bano prende il volo sprigiona bellezza.

Anche quest’anno, dunque, nonostante le restrizioni del Covid, il Premio è andato alla grande. E siccome la bellezza è femminile, tra i premiati ci sono molte donne: Simonetta Dellomonaco, Viviana Fasano, Fabrizia Dentice di Frasso, Marina Corazziari, Anna Gennari, Antonella Ricci e Vinod Sooka, Beatrice Lucarella, Biagio Marzo, Domenico Vacca, Domy Di Fano, Enzo Magistà, Francesco Divella, Gregory Perrucci, Irene Tagliente, Lucia Forte, Valeria Tatarella, Vince Abbracciante. Congratulazioni. 

 

NOTA: SUL SITO "MINERVA CRISPIANO (BLOCK NOTES CON LA PENNA):

"UN PREZIOSO VOLUME DI MICHELE ANNESE DI FRANCO PRESICCI" 




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