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mercoledì 16 settembre 2020

La brillante storia del “Trianon”

 

IL TEATRO DI CORSO EMANUELE

OSPITO’ ANCHE EDUARDO DE FILIPPO

Corso Vittorio Emanuele

Vi si esibirono molti artisti napoletani

da Gennaro Pasquariello a Nino Taranto

Vi furono applauditi Ettore Petrolini e

Totò, Anna Fougez, Isa Bluette, Odoardo

Spadaro. Nel ’38 cambio nome

perché alle autorità di quei tempi non

andavano a genio le parole straniere

 


 

 

 

Franco Presicci

Presicci con Beruschi

Nel suo discorso commemorativo per il cinquantesimo anniversario del Teatro “Manzoni”, la sera del 3 dicembre 1922, Sabatino Lopez – commediografo, ricercatore storico, direttore dal 1911 della Società degli Autori dal 1911, creata nel 1882 da Cesare Cantù, critico teatrale nel ’29 per l’”Illustrazione Italiana”, rifugiatosi in Svizzera per le leggi razziali del ’38 – disse che “Il ‘Manzoni,’ con le poesie del Porta, con la Scala e con il panettone, sono forse quanto più milanese c’è a Milano”.

Da tempo, con grande dispiacere per i meneghini, aveva spento le luci il noto Teatro Milanese, fondato da Cletto Arrighi, anagramma che l’avvocato Carlo Righetti usava come firma per le sue opere teatrali in meneghino. Il teatro, inaugurato il 19 novembre del 1870 con il “Barchett de Boffalora”, commedia farsesca dello stesso Arrighi, conteneva 500 persone, che applaudivano calorosamente l’attore Edoardo Ferravilla, una leggenda del teatro dialettale locale, che aveva in Tecoppa il personaggio più famoso (“Che colpa ne ho io se anche davanti alle cose più serie mi viene un’idea comica?”). Amato da tutti, persino dalle mezze maniche della mala, che quando lo incontravano di notte per strada lo salutavano e gli offrivano da bere: avevano per lui un tale rispetto che a scena aperta si guardavano bene dal mettere le mani nei portafogli degli altri spettatori: lo facevano soltanto quando calava il sipario. 

Gaetano Afeltra

Abbattuto il Teatro Milanese, si costruì un nuovo stabile, che nel 1903 venne battezzato “Trianon”, un cafè-concerto con tavolini e balconata frequentato da gente danarosa. Attratta da Gennaro Pasquariello, che nei primi anni del Novecento aveva collezionato successi al Teatro Margherita di Napoli e su palcoscenici nazionali e internazionali; da Elvira Donnarumma; da Pepino Villani, che vi portò in scena “Mimì Tirabusciò”, la donna che inventò la mossa; da Lydie Johnson, in frac dorato, cilindro di strass e unghie in rosso pompeiano (ispirò “Charlerstonmania” di D’Anzi), da Anna Fougez (Anna Pappacena Laganà, di una ricca e nota famiglia tarantina: bella, elegante, originale, occhi neri, con un neo sulla guancia destra, un braccialetto d’oro a forma di vipera, e “Vipera” fu una canzone a lei dedicata da E. A. Mario nel 1919).

Walter Chiari

Il “Trianon” accese la ribalta anche per lo “chansonnier” fiorentino Odoardo Spadaro, per Walter Chiari, per Isa Bluette, per la danzatrice Lucia Maiorana… Il “Trianon” disponeva di una sala sotterranea, il “Pavillon dorè”, che aveva un telefono bianco su ogni tavolo, a cui si sedevano gli spettatori che amavano fare le ore piccole ascoltando l’orchestra italiana e assistendo a spettacoli di danza e di canto e incontrando le ballerine e le “vedettes” che poco prima avevano animato il piano superiore. Al “Trianon”, realizzato dall’architetto Angelo Cattaneo, nel 1903, trionfò anche Ettore Petrolini, rientrato dal Sud-America, e mobilitò con la sua originale e trasgressiva “vis comica” i critici che lo avevano ignorato; e dal 1919 Tommaso Marinetti e compagnia (Carrà, Boccioni, Depero, Balla…) vi lanciò, come in altri luoghi, il suo programma futurista.

Angolo tra Galleria e C. Emanuele

Proprio in quegli anni il “Trianon”, con la sua facciata Liberty nel corpo dell’Albergo del Corso, all’ombra del Duomo, dovette cambiare nome in “Mediolanum”, perché alle autorità quelli non rigorosamente italiani non andavano a genio. E vi arrivarono Eduardo De Filippo con la sorella Titina in “Filumena Marturano”, “Questi fantasmi” e in “Napoli milionaria”. Il Mediolanum e gli altri teatri si davano un gran da fare anche per accaparrarsi le riviste di Erminio Macario, Nino Taranto, con “Venticello del Sud”, Carlo Dapporto, Ugo Tognazzi… Qui debuttò, fra gli altri, “Il Conte dei sospiri”, con Bonino e De Rege; e nel ’49 la rivista “Burlerò” di Marcello Marchesi, con Marisa Maresca e Walter Chiari. Non mancarono naturalmente gli attori milanesi, fra i quali Anna Carena, Emilio Rinaldi e la Compagnia Ambrosiana con “La ciacera che gh’e in giro, di Zambaldi. Insomma questa platea acclamò i nomi più illustri della rivista e del teatro di prosa e nel 1934 ascoltò per la prima volta “Oh mia bela Madunina” di Giovanni D’Anzi, dedicata alla statua d’oro che svetta sul Duomo (“A diesen la canzon la nass a Napoli/ E certa camen gh’a minga tutti turt/ Surriento, Margellina tucc’i popoli/ l’avran cantà on milion de volt/ Mi speri che se offenderà nissun/ se parlom un cicin anca de num”…). 

Con Enzo Arbore

Purtroppo non ci sono più anziani che possano dire la loro sul “Trianon”, uno dei teatri più prestigiosi di Milano, dove nel ’51 sfavillarono anche le sorelle Diana, Pinuccia e Lisella Nava in una rivista che aveva come comici ai primi passi Gino Bramieri, Raffaele Pisu e Gianni Cajafa; quindi la Wandissima, Rascel, Nuto Navarrini. Aver calcato le tavole del “Trianon”, i cui programmi erano sempre di alta classe, per un attore era una referenza di prim’ordine. Ospitò anche Totò, che desiderava vedere in prima fila almeno una volta Cesare Zavattini. Lo confidò in un incontro all’Hotel Plaza a Gaetano Afeltra, grande giornalista allora al “Corriere della Sera”, profondo conoscitore di fatti, luoghi, personaggi di Milano, che lo rivelò in uno dei suoi seguitissimi e numerosi “Amarcord”. Il principe de Curtis non sapeva, annotava don Gaetano, che lo scrittore e sceneggiatore ci andava spesso, anche in compagnia di Salvatore Quasimodo, di Leonida Repaci, del poeta e critico d’arte tarantino Raffaele Carrieri (arrivato da giovane a Milano) a vedere il “Pinocchio” di quella miscela esplosiva della risata, che era Totò. Parlare oggi del teatro “Trianon” è come snocciolare una favola, in cui s’incontrano Ettore Petrolini, un mito, un dominatore del palcoscenico che scatenava risate ad ogni battuta. Fra i tanti libri scritti su di lui e sulla storia del varietà, mi viene in mente quello di Alberto Lorenzi, edito nel 1988 dalla Celip di Nicola Partipilo, con una mia intervista a Wanda Osiris. 

Nanni Svampa e LinoPatruno

E per quanto riguarda i teatri, i due grossi libri di Domenico Manzella, che tra l’altro fu un esimio critico teatrale del quotidiano “L’Italia”, ed Emilio Pozzi, dalla vita professionale intensa: alla Rai dal ’45 nel settore spettacoli, direttore di sede, docente di spettacolo all’Università di Urbino, attività di volontariato nel carcere di San Vittore… E’ deceduto a 83 anni 10 anni fa. 

Lo ricordo al Festival del Clown di Campione d’Italia, inventato da Pino Correnti (che aveva appena conclusa la sua collaborazione con Dino Villani, il padre di “Miss Italia), dove il cronista della Televisione era Romano Battaglia e della radio Franco Mamola. Lo incontrai ancora a Salice Terme, luogo nel quale si svolgeva un premio che nel ’65 venne assegnato ad Aldo Fabrizi, presenti fra tanti altri Bice Valori, Paolo Panelli, Enzo Jannacci. E al Circolo della Stampa, dove tenne una succosa conferenza appunto sui teatri. Uomo di pochissime parole e generoso, disponibile.

Domenico Manzella

A Milano non c’era naturalmente soltanto il “Trianon”, che i padri consideravano il miglior regalo che potessero fare ai figli (“Pettinati che ti mando al ‘Trianon’”); né soltanto le celebrità che ho inanellato sin qui. Davano prova di grandissima bravura Lauretta Masiero, Wanda Osiris, che disse: “Ma lo sai che quado debuttai al Lirico la Scala era quasi vuota?”. C’era anche il Teatro Eden, in cui recitò anche il grande Ruggero Ruggeri, che poi – informa Lorenzi – ben presto non volle più continuare a recitare davanti a un pubblico comodamente seduto ai tavoli con camerieri che facevano la ronda mentre lui dava il meglio di sé.

Piero Mazzarella

Al cabaret di Enrico Intra, nato negli anni 60, che frequentavo per il quotidiano “L’Italia”, conobbi tanti artisti: Giorgio Gaber, Paolo Stoppa e Rina Morelli, Daisy Lumini, Umberto Bindi; e una sera Walter Valdi, che, quando mi disse che di giorno faceva l’avvocato, mi lasciò incredulo, ma subito dopo scoprii che era vero. Del resto Mario Marenco, di Foggia come Arbore, è architetto e non si sa dove trovasse il tempo per fare con lo stesso Arbore in radio “Alto gradimento”; in televisione “L’altra domenica”, “Indietro tutta”, “Quelli della notte; al cinema “Il pap’occhio”…;. Enrico Beruschi, presentandosi accompagna simpaticamente al nome il titolo di ragioniere, Pippo Baudo ha una laurea in legge, Enzo Jannacci faceva il medico, e mi dicono che fosse molto bravo. Com’è ricca la storia dello spettacolo. Nomi, testi, ribalte. Da non dimenticare “I Gufi” (Gianni Magni, Roberto Brivio, Lino Patruno, Nanni Svampa) e la loro “Milanese”, dodici 33 giri, editi dalla Durium e presentati alla Cascina Abbadesse, traversa di vile Zara, a Milano, tantissimi anni fa. Quando il quartetto si sciolse una sera mi sedetti in platea al Teatro Arando per applaudire Roberto Brivio che furoreggiava sul palco. Al Teatro Gerolamo, in via Beccaria, rimasi affascinato da Milly che cantava “Lilì Marlène”, e incollato alla poltrona, nonostante fosse prossima la chiusura della prima edizione del giornale (“L’Italia”), per la valanga di risate scatenata da Piero Mazzarella nei panni di “El zio Matt”. Grandissimo attore, nato a Vercelli e fattosi milanese doc., che non nutriva un grande amore per Gino Bramieri, grande a sua volta.




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