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mercoledì 2 settembre 2020

Un prefetto che Milano ricorda con affetto

OGNI GIORNO PASSEGGIAVA A BRERA

E CONVERSAVA CON I CONCITTADINI


Vicari, Scalfaro. Alle spalle Presicci

Enzo Vicari era molto umano. La gente

gli scriveva e lui rispondeva a mano. Una

vecchietta, avendo letto sui giornali che il

prefetto stava per andare in pensione, andò

a salutarlo. Amava Praga e leggeva Kafka.

A due giornalisti raccontò alcuni episodi 

degli inizi della sua carriera: in Sicilia un

tale che si dava tante arie gli dette 

appuntamento alle 4 del mattino e lui: “Non

si preoccupi, io alle 3 sono già dietro la

scrivania, ma dopo tutt’e due tornarono a 

letto. 

 

 

 

Franco Presicci


“Ha onorato questa zona lombarda - disse ai primi di luglio del 1987 nel cortile di corso Monforte 31, il ministro dell’Interno Oscar Luigi Scalfaro (nono presidente della Repubblica dal 1992 al 1999), a proposito del prefetto Enzo Vicari, che stava per andare in pensione - incarnando lo Stato con grandissimo senso del dovere”.

Anna Craxi, Vicari e Scalfaro

Alla cerimonia di saluto erano presenti anche la moglie di Bettino Craxi, Anna, e il viceprefetto e capoufficio stampa Annamaria Peluso, in seguito nominata ministro del governo Monti. Vicari non sarebbe tornato nell’amata Sant’Agata di Militello, in Sicilia, suo luogo natìo: sarebbe rimasto nel capoluogo lombardo, a pochi passi dall’Ente che aveva presieduto per diversi anni. Confidò che avrebbe continuato a vivere nella “sua” città, il capoluogo lombardo, che dopo gli anni bui del terrorismo e le turbolenze provocate dalla malavita organizzata si era rasserenata. Vicari era stato un paziente, tenace tessitore di questa convivenza civile. Quante angosce, negli anni di fuoco. Prefetto da una settimana, il sangue schizzò sotto il ponte di via Schievano: i mitra spietati dei terroristi puntati contro l’auto del commissariato di via Tabacchi, uccisero tre poliziotti: Michele Tatulli, fulminato al volante; Rocco Santoro e Antonio Cestari, seduto sul divanetto posteriore. 

Tatulli, Santoro, Cestari
Cena con amici del Ticinese


Proprio quel giorno Cestari, reduce da un infarto, era tornato in servizio, non avendo ascoltato il consiglio dei colleghi di completare la convalescenza. Con l’ispettore Armando Sales, poliziotto inflessibile e di notevole spessore e il dirigente del Ticinese Giacomo Antonacci, andai a casa dell’appuntato Cestari e mi commossi alla vista del figlioletto che con il dito tracciava segni sul vetro appannato della finestra, in piedi su uno sgabello, dando le spalle a noi e alla mamma che cercava di frenare il pianto. Giornata tremenda. I tre poliziotti alle 8 del mattino stavano facendo il giro delle scuole del quartiere per vigilare sulla sicurezza degli alunni, quando crepitarono le armi. Ricordo le lacrime del capo della squadra Mobile Antonio Pagnozzi attorno all’auto crivellata di colpi.
Devo confessare che piansi anch’io davanti ai corpi di quei tre amici, con i quali ero stato a cena qualche sera prima insieme a tutti i componenti del commissariato in un ristorante di piazza Sant’Eustorgio; e dopo essere passato dal commissariato, andai al giornale, che allora era in via Angelo Fava, per rientrare subito a casa. “Come ha vissuto questa ed altre giornate di lutto?”, chiesi al prefetto Vicari.

Il prefetto Enzo Vicari  


“Non divido mai il privato dal pubblico. Vivo il mio ruolo con estrema intensità”. E ricordò la sera in cui aveva appreso dalla televisione dell’assassinio per mano della mafia del generale Caro Alberto Dalla Chiesa, “un personaggio straordinario, che secondo il suo stile viveva da protagonista la vicenda dell’antiterrorismo. Era la sera del 3 settembre dell’82. Sul video, dopo le 21, in sovrimpressione, scorreva la notizia della strage di via Isidoro Carini, nel pieno centro di Palermo. La signora Setti Carraro mi telefonò piangendo per chiedermi se anche la figlia era stata ammazzata. ‘Non lo so’, risposi, mi informo. Invece sapevo. Andai subito in via Quadronno con il generale Vitali e la signora appena mi vide capì. Fu per me un momento fortemente emotivo”. Vicari e Dalla Chiesa, che si conoscevano da 30 anni, erano arrivati lo stesso giorno, dicembre ’79, con lo stesso provvedimento del governo Cossiga (il generale come comandante della divisione “Pastrengo”. Io lo conobbi in una cerimonia per l’anniversario delle “Fiamme Gialle” nella piazza d’armi della caserma di via Melchiorre Gioia: lo vidi come una sorta di monumento umano. I giorni del terrorismo sono stati per Vicari i più dolorosi, “anche perché di fronte a noi, nella prima fase, c’era un muro senza spiragli: tutto ci era ignoto e ci creava sbigottimento”. Lo sapevano i cronisti, che correvano nei luoghi delle stragi: il delitto di Guido Galli. Il 19 marzo 1980; il delitto di Luigi Marangoni, direttore sanitario del Policlinico, il 17 febbraio del 1981... I “neristi”, dopo telefonate drastiche o minacciose, correvano anche a prelevare i volantini che i brigatisti lasciavano nei cestini portarifiuti o nei mezzanini della metropolitana, con il pensiero a una possibile imboscata. 

L'ispettore Armando Sales,i dirigenti Ravenna e Plantone
Ore tremende anche quando le voci al telefono imponevano di pubblicare un comunicato che il giornale aveva deciso d’ignorare. Enzo Vicari parlava con voce bassa, senza reticenze, dei suoi sette anni milanesi. Parlava di San Vittore, per esempio, che non aveva mai visitato, pur avendone la facoltà, perché erano in troppi quelli che andavano in pellegrinaggio in piazza Filangieri, e non sempre per manifestare solidarietà ai detenuti. Tuttavia, ne ha sempre seguito tutti i problemi: il livello di vita dei reclusi, le loro condizioni sanitarie, le tossicodipendenze, gli atti di violenza e di autolesionismo...
Quando il sindaco Carlo Tognoli, il procuratore generale della Repubblica, il comandante dei carabinieri, il questore… si riunirono per risolvere la questione di San Vittore, decisero la costruzione delle carceri di Opera e di Bollate, e mantennero la parola. Domandai al prefetto che cosa pensasse dello stato in cui era costretta a vivere la popolazione della casa circondariale di piazza Filangieri; rispose che la “condizione generale del sistema carcerario lombardo non era diversa da quella italiana.

Il procuratore Gresti,Vicari e Dall'Ora
E’ in atto questo grande sforzo dell’amministrazione della giustizia per un miglioramento generale delle strutture. E’ proprio in questo disegno che s’inserisce la costruzione delle due carceri di Opera e di Bollate e di quello di Monza, già avviata”. E la mafia? “Si dice che le varie operazioni delle forze dell’ordine hanno ripulito la città dalla piovra. Le sembra credibile? Le misure di prevenzione previste dalla legge Rognoni-La Torre vengono elaborate in una riunione delle forze di polizia che avviene in prefettura, e questo mi consente di affermare che la voce secondo la quale a Milano la mafia è stata decapitata è del tutto velleitaria.

Il sindaco Tognoli con Lino Rizzi,dir. del Giorno

Milano per la sua stessa caratteristica, per il suo stesso ruolo nell’economia del Paese non può non essere un obiettivo nella strategia del crimine organizzato. Bisogna però aggiungere che nella lotta a questo e ad altri fenomeni consimili in Lombardia sono stati fatti rilevanti progressi. Anche grazie ai mezzi offerti dall’ordinamento e dall’accresciuta professionalità degli uomini”. Vicari fu interrotto da Anna Maria Peluso con la notizia che una vecchietta, avendo letto sui giornali che il prefetto stava per lasciare il suo incarico, voleva salutarlo. Probabilmente era una dei tanti che lui incontrava nelle passeggiate a Brera, Le vecchiette, e i vecchietti, gli scrivevano anche. Una di queste le aveva inviato una lettera, elaborata con calligrafia minuta e sicura, in cui affrontava il dramma degli sfratti. E lui le aveva risposto per tempo, a mano, auspicando, da cittadino, “che la comunità guardasse agli anziani con maggiore rispetto”.

A sx. il prefetto Vicari con Presicci

Un giorno, facendo i soliti quattro passi a Brera, fu avvicinato da un signore, che gli chiese se poteva accompagnarlo. “Certamente”, fu la risposta, Camminarono insieme, Vicari gli offrì il caffè, parlarono di tante cose e poi si separarono. Il prefetto, che amava le chiese, andò ad ammirare la bellezza della basilica di San Nazaro. Ex ragazzo birbone al liceo di Patti (faceva scherzi da manuale), gli era rimasto il gusto della battuta spiritosa (“Qualsiasi carica deve esser temperata da una sufficiente dose di ironia”). Era persona umanissima, fiera delle sue origini. Anche se non potrebbe più vivere a Sant’Agata dopo 40 anni di assenza. Non lasciò dunque la zona Monforte, con la moglie Maria Angela, i due figli: Salvatore, trentacinquenne docente di marketing alla Bocconi; Donatella, 29 anni, avvocato, e i due nipoti, figli del primo, Michele, 5 anni, e Marco, 3, che avevano il divieto di chiamarlo nonno. Di sicuro avrebbe continuato a fare le sue passeggiate di 5 chilometri al giorno in campagna e a coltivare i suoi hobby: le letture di saggi e di Kafka, che gli ricordavano un vecchio amore: Praga. Qualche sera prima della pensione invitò me e il collega Claudio Schirinzi del “Corriere” a cena in un famoso ristorante di via Senato e ci raccontò tanti episodi dei suoi primi anni da prefetto. Era nel Sud, quando un signore che si attribuiva tanti meriti e conoscenze, oltre che frequenti viaggi a Roma, gli chiese un appuntamento, precisando che lui non poteva prima delle 4 del mattino. “Non si preoccupi, io alle 3 sono già dietro la scrivania”, rispose Vicari. Si video, si dissero quello che si volevano dire e poi entrambi tornarono a dormire. Grande Enzo Vicari. Era di una simpatia unica. Lo ricordo con affetto. E’ morto nel 2004


 

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