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mercoledì 17 febbraio 2021

E’ dI Taranto e ha girato il mondo

Nicola Martinucci

IL TENORE NICOLA MARTINUCCI

DETTO L’EREDE DI TITO SCHIPA

 

Nella sua città natale sospirava il

Teatro lirico, ma le promesse a

volte sono come farfalle. Il primo

a pronosticargli un bell’avvenire

fu il tenore Mario Del Monaco,

altro colosso di ieri, dalla figura

imponente.

 


Franco Presicci

Un critico lo definì l’erede di Tito Schipa. Ma già era “l’usignolo di Lecce”, il cui talento musicale era stato avvertito fin dalla scuola elementare, dove era detto “Titù”, piccoletto. Tito Schipa, il cui nome era esploso con il “Don Giovanni” e il “Barbiere di Sibilia”, era considerato uno dei maggiori cantanti del secolo scorso; e Nicola Martinucci, sentendosi esaltare così, quasi era in imbarazzo, dato il suo carattere semplice e timido.

Giuseppe Zecchillo

Di lui il baritono Giuseppe Zecchillo, che non aveva peli sulla lingua, mi aveva detto che Nicola Martinucci era un vero grande artista, meritevole del successo che andava ottenendo ovunque si esibisse, in Italia e all’estero. Zecchillo era un personaggio molto noto, per la sua brillante carriera, per le sue proteste dal loggione della Scala e per le strade di Milano, che occupavano ampio spazio in tutti i giornali, dato il personaggio, che tra l’altro aveva fondato il sindacato della categoria. Faceva anche suggestivi quadri con la pasta ripassata con la porporina, che lui definiva quadri in oro Zecchillo ed era informato di tutto. Io andavo a trovarlo spesso nel suo studio in via Fiori Chiari, a Brera (che fu del suo amico Piero Manzoni, l’artista che aveva anticipato l’arte povera concettuale) e lo ascoltavo mentre parlava anche al telefono di teatro lirico e di pittori. Non parlava mai a vuoto, non si lasciava mai andare a facili giudizi, nel bene e nel male. Per cui, se affermava la sua stima per Nicola Martinucci si poteva mettere la mano sul fuoco. Mi fece domande su Martinucci anche la sera in cui decise di concedere il proprio studio per la mostra di un graffitaio importante, e allo scopo fece liberare il locale del piano terra. A un certo punto mi invitò a seguirlo al bar dell’angolo, che frequentava quotidianamente per offrire un caffè o una bibita agli amici che andavano a fargli visita.

Nicola Martinucci

“Tu lo hai conosciuto Martinucci?” Risposi di sì. “Lo sai che è tuo concittadino?”. “Sì, so che è nato a Taranto e che è una persona alla mano. Ti dirò di più: a Taranto va spesso e a Milano abita in una villa in viale Lunigiana, quasi addossata alla Cassa di Risparmio delle Province Lombarde”. “E non vi siete mai incontrati?”. “Sì, una volta, per pochi minuti”. E siccome Giuseppe era una persona curiosa, mi domandò se ne sapessi di più. Non sapevo altro, solo che era amico del vicequestore Filippo Ninno, di Taranto anche lui, poliziotto acuto, indagatore tenace, apprezzato anche per aver liberato dalla droga la zona che gli era stata affidata (per la cronaca, lo avevano soprannominato “ispettore Callaghan) e, da capo della squadra mobile, risolto delitti clamorosi. Il caso poi mi fece nuovamente incontrare Nicola a Taranto, dove mi parlò di una sua “tournèe” in Spagna. Un agosto venne a trovarmi nella mia casa di Martina, nel centro storico, dove le case sono fondali di teatro e i vicoli luoghi di conversazione tra le donne che stando sulla soglia del proprio basso lavorano a maglia o sorvegliano un banchetto di fichi da seccare al sole (di solito lo si fa in campagna), e mi porto nella sua splendida villa che guarda il mare. 

Filippo Ninni
 
Mi regalò una cassetta con alcune sue interpretazioni, che prestai al mio amico Vito Plantone, suo ammiratore. Ci promettendo di vederci ancora; e mantenni la parola, non mancando di sedermi tra il pubblico la sera in cui il palcoscenico del teatro “La Pineta” tenne a battesimo la figlia in veste di presentatrice. Poi il caso decide, gli impegni ci distraggono e i contatti con le persone si perdono. Ma la stima, l’affetto restano. Una delle volte in cui passammo qualche ora insieme, nel giugno del 2001, Nicola mi raccontò un po’ della sua vita. Naturalmente dietro mia sollecitazione. E io ho piacere nel riferirla.
 
La turista e il pescatore

Quando aveva pochi anni, tornando a casa dalla scuola, si sedeva sul marciapiede di fronte a una villetta, dove un melomane ascoltava per ore, ad alto volume, la voce di Beniamino Gigli, altro grande tenore del secolo. Nicola rimaneva incantato, memorizzando tutte quelle arie, che poi canticchiava, meravigliando amici, parenti e conoscenti. A casa lo aspettavano per il pranzo, ma non si davano pensiero, sapendo dove andarlo a cercare. “Bella la tua storia, ancora più bella per il modo con cui la racconti”, gli dissi. E lui continuava, come fosse un nonno intento a intrattenere il nipotino con i piedi sulla pedana del braciere nelle fredde giornate della Taranto di una volta (oggi i termosifoni hanno liquefatto il romanticismo). “Mio padre e miei fratelli avevano un’officina all’Hotel Delfino in viale Virgilio (adesso è in viale Magna Grecia) e sembrava che anch’io dovessi per sempre battere il martello sull’incudine o tenere il ferro sul fuoco, limitandomi ad ascoltare le opere o a cantarle in un piccolo teatro di periferia, nel tempo libero”.

Chiesa di San Domenico
Mar Piccolo
Ma il destino, e la sua bravura, stavano per aprirgli un’altra strada. “Scese a Taranto Mario Del Monaco, in cartellone alla ‘Pineta’, un teatro all’aperto che si trovava nella Villa Peripato. Il famoso tenore, una voce dalla potenza non comune e dalla figura imponente, andò ad alloggiare proprio al Delfino e il pomeriggio faceva i soliti quattro passi sul viale che oltrepassa vecchi stabilimenti balneari (Praia a Mare, Lido Bruno… e si spinge fino a San Vito”. Martinucci, allora venticinquenne, lo osservava trepidante e non aveva il coraggio di avvicinarlo. Fu uno zio, fratello di sua madre, a fare il grande passo. Del Monaco non si negò. Anzi lo accolse con grande affabilità e gli suggerì di cantare un’aria. Sia pure timidamente, Nicola eseguì, cavandosela molto bene. “Bravo, molto bravo, hai davanti a te un ottimo avvenire”, predisse il signore della ribalta. Nicola non esitò: abbandonò bicornie, punzoni, calibri e preselle e si mise a studiare alacremente. 
Il Palazzo del Governo
E per lui cominciarono le soddisfazioni, seguite dai trionfi in Italia e negli Stati Uniti, in India, in Australia, in Spagna, in Germania, ovunque, Al “Regio” di Torino ne “I Pagliacci” di Leoncavallo, opera che esprime un felice binomio tra musica ed evento drammatico, aveva interpretato Canio, personaggio perseguitato dal sospetto che il gobbo Tonio concupisca sua moglie Nedda, che però tresca con Silvio, ricco proprietario della zona. La regia di Franco Zeffirelli, che aveva già diretto Martinucci quattro anni prima alla Scala. “Nel tempio della Lirica, la Scala – ricordò Nicola- ho cantato dodici opere; l’anno scorso nell’”Adriana Lecouvreur” di Cilea. E Canio con Muti. In quei panni mi trovo magnificamente”. Nell’84 aveva inaugurato la stagione con “Turandot” per la regia dello stesso Zeffirelli e la direzione di Lorin Maazel. E aveva molti altri impegni in programma: allo “Sferisterio” di Macerata; in Egitto, un Paese che aveva nel cuore, non soltanto per le Piramidi. I suoi pezzi forti, l’”Aida, “Turandot”, “La Cavalleria Rusticana”, “I Pagliacci”. Non potevo non tentare di snidare i suoi sogni nel cassetto. Uno in particolare: creare a Taranto un grande Teatro dell’Opera. Nicola Martinucci, che l’anno successivo sarebbe stato Mario Cavaradossi in “Tosca”, all’Arena di Verona, ama Taranto profondamente. Se lo si invita ad elencare i luoghi di Taranto che predilige va a nozze.
 
Il Ponte
Oltre a viale Virgilio, dove cantò davanti a Del Monaco (che aveva mezzi vocali eccezionali, era ritenuto uno dei maggiori interpreti di Otello e amava anche la pittura e la scultura), viale Magna Grecia, che da vasta pianura erbosa si era trasformata in una fungaia di palazzi e di negozi, con la concattedrale di Giò Ponti, la cui facciata ricorda la rete dei pescatori; e la città vecchia, Mar Piccolo, la dogana, piazza Fontana e il ponte di pietra; la chiesa di San Domenico, la ringhiera e il profumo del mare, il Castello Aragonese e il ponte girevole, i tramonti. Insomma le bellezze di Taranto, che affascinano chiunque venga a visitare la città. “Non si può dimenticare Taranto. Anche se sei lontano te la porti dentro e aspetti con ansia il momento del ritorno. Passò una bellissima giovane dai capelli color antracite e mormorò: “Anna Fougez, che entrava in scena con un braccialetto a forma di vipera”… “Vipera, vipera,/ sul braccio di colei/ che distrugge tutti i sogni miei”.


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