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mercoledì 3 febbraio 2021

In pista all’Arena con 600 elementi

 

BUFFALO BILL FECE RIVIVERE

L’EPOPEA DEL GRANDE WEST


Il suo circo fece il giro del mondo.

Vi si esibivano Toro Seduto, capo

dei Sioux, coraggioso e dotato di

intelligenza politica; Alce Nero;

Calamity Jane e Annie Oaklei,

infallibile tiratrice; cow-boys,

indiani, cavalli, diligenze assaltate

da banditi spietati. Fu a Milano e

a Verona.

 < FOTO DEL DOTTOR PEPPINO BRUNO>

      

"Medaglia per l'Expo nell'anno in cui si esibì

Cody a Milano (Coll. Peppino Bruno-dentista e fotografo)    

 Franco Presicci

“Buffalo Bill a Milano? Bah!.Quando?        In che anno?                                             

Ogni tanto ne sento una nuova. Buffalo Bill a Milano… Sarà venuto come turista, come tanti, ma all’epoca si viaggiava a bordo di piroscafi, o bastimenti, e ci volevano mesi per concludere il percorso”. Captai questo frammento di conversazione tanti anni fa, mentre passavo davanti alla saletta dei telefonisti, al secondo piano del mio giornale, il giorno della strage di Moncucco (otto persone ammazzate, di cui sette perché possibili testimoni). William Frederick Cody a Milano c’era stato per davvero, con il suo spettacolo “Buffalo Bill West Show”, e si era esibito all’Arena riportando un successo clamoroso.

Il pubblico si scatenò, il boato degli applausi arrivò verosimilmente sino a via Rovello, vicino al Teatro Strehler, e oltre. Se ne parlò per mesi e anche di più, con strascichi negli anni seguenti. Su una parete esterna dell’Arena campeggiò il manifesto che coglieva Buffalo Bill a cavallo fin quando la pioggia e il vento non lo ridussero a una bandiera di carta lacera e con i pezzi sventolanti. Alcune vecchie cronache riferiscono che spesso si notavano cittadini fermi davanti all’entrata e confessavano d’immaginare lo spettacolo che non avevano potuto vedere per il prezzo, per loro troppo caro, del biglietto. Per i meneghini Buffalo Bill divenne “l’eroe di Milano”. Per ben due volte (1890 e 1906) lo videro all’Arena compiere “mirabilia” in sella al suo cavallo, con il suo pizzetto alla Napoleone III: dominatore della scena, con 600 elementi, tra cui indiani e cow-boys veri, cosacchi, destrieri della prateria, alci… registrando per sette giorni il tutto esaurito.
Sul suo elegante quadrupede, di nome Brigham, un tenace e spedito Appaoolosa, galoppava a briglia sciolta, eseguiva volteggi, piroettava, sparava anche a testa in giù rasentando il terreno con il suo fucile, uno “Springfield calibro 50 da lui battezzato “Lucrezia Borgia”. Uno spettacolo che eccitava, entusiasmava, emozionava con brani di battaglie famose: quella di Little Big Horn, per esempio, si proprio quella (1876), in cui perse la vita il generale George Armstrong Custer, che capiva gli indiani – ha scritto Stanley Vestal – perché come loro amava la gloria. Ecco un altro conflitto, con soldati, sioux, cheyenne, apache, pellirosse. Chi stava sugli spalti s’immedesimava, gesticolava, incitava, magari infastidendo il vicino, più attento, ma moderato. Sfilava il vecchio West, con le diligenze assaltate dalle bande e le postazioni militari assediate, gli scontri, le cavalcate, le imboscate, le sparatorie, gli scalpi mostrati con orgoglio e con gridi di vittoria, rodei, parate di animali, corse di pony express (all’età di 18 anni Cody era stato uno dei corrieri a cavallo della categoria). Tutto questo andava in scena dal !883, grazie, ripeto, a Buffalo Bill, che lo portò in giro per il mondo.
In Omaha, impresario Barnum, era stato reclutato anche Alce Nero, guerriero, taumaturgo e profondamente religioso; Calamity Iane; l’infallibile tiratrice Annie Oakley; Toro Seduto, Tatanka Yotanka, il grande capo, il campione dei Sioux Huntpapa e dei Cheyenne, nato nel 1831 nel Nord Dakota in una famiglia di guerrieri, capo valoroso e carismatico, dotato di intelligenza, di capacità politiche… nel ’70 alla testa con Cavallo Pazzo della lotta indiana contro i bianchi lanciati alla conquista dei giacimenti auriferi sulle Colline Nere; protagonista di grandi successi e poi obiettivo di critiche partigiane, che lo accusarono tra l’altro di ostacolare il processo di civilizzazione (perché difendeva la sua terra in cui vivevano anche donne e bambini sotto i tipì). Catturato, fu ucciso. I ragazzi – riferisce anche Alberto Lorenzi - tempo dopo, ogni settimana affollavano le edicole chiedendo le dispense sulle imprese del mitico cacciatore di bisonti, oltre che staffetta della cavalleria, illustrate da Tancredi Scarpelli e date alle stampe della casa editrice Nerbini. Qualche adulto s’incaponì ad imitare la bravura di Buffalo Bill e nel 1894 s’impegnò in un’accanita gara al Trotter, dalle parti della cascina Pozzobonella, in via Doria, dalle parti della stazione Centrale. Suo avversario, Romolo Bruni, un ragioniere soprannominato il “diavolo nero” per le sue volate e per la maglia che indossava. La competizione, tre ore per tre giorni, imponeva una condizione iniqua: attribuiva al cosiddetto Buffalo Bill il privilegio di cambiare cavalcatura (e fece ben dieci volte, aiutato da un brumista travestito da comanche, che gli teneva pronti i quadrupedi) e quindi l’altro, in bicicletta, correva svantaggiato.
Vinse la furbizia (e vinse anche in altre edizioni). Con il passare degli anni si scoprì che quel Cody era un sosia: quello vero, che tante pubblicazioni diffuse in America al costo di 10 cent esaltavano come “re della frontiera”, in quei giorni era accampato con il suo tendone a Brooklyn, all’Ambrose Park”. Fiorirono anche le leggende. Secondo una di queste, Buffalo Bill a Milano s’invaghì di una fanciulla, e per questa passione vi soggiornò vari mesi, progettando l’apertura di una trattoria a Niguarda, zona tranquilla che, qua e là, ha ancora oggi angoli di totale tranquillità, come via Cicerone, piazza Belloveso, via Passerini, via Pallanzone… Il personaggio non era Cody, ma semplicemente un cow-boy del suo “cast”. Le “tournèe” negli Stati Uniti, in Europa, compresa quella di Milano, a Wlliam Frederick Cody fecero guadagnare molto denaro. Gliene arrivò anche dalle 11 stagioni delle rappresentazioni teatrali: “Sout of the Plains”, dove ebbe anche Wild Bill Hichok, il principe dei pistoleri. Morì in misera nel 1917. Era nato in una fattoria delll’Jowa, a Le Claire, nel 26 febbraio 1846. Era diventato famoso dopo uno scontro con il capo indiano ”Mano gialla”. Nel 1863 si era arruolato nel 7° Cavalleggeri del Kansas, prendendo parte alla Guerra di successione americana. Divenne Buffalo Bill dopo aver vinto una gara per la cacia al bisonte. Ricevette la medaglia d’oro del Congresso, il più prestigioso riconoscimento militare degli Stati Uniti. La prima tappa del circo nel nostro Paese era stata Verona.
Nella città dei Montecchi e dei Capuleti, di Romeo e Giulietta, Cody si era esibito la prima volta nel 1890, avendo come ammiratore un personaggio d’eccezione: Emilio Salgari, il notissimo autore di tanti romanzi d’avventura (“I pirati della Malesia”, “il Corsaro Nero”…), veronese del 1863, che, allora molto giovane, scriveva come collaboratore sul quotidiano del luogo, l’”Arena”, ancora oggi degnamente in edicola. Anche su questa tappa c’è molto da dire, soprattutto a proposito di Emilio Salgari, il quale per tutta la permanenza del colonnello Bill Cody in città non lo perse mai di vista: lo seguiva ovunque, contava i passi, annotava gli incontri, le parole, i gesti, con tutti i dettagli.
Cronista scrupoloso, attento. Tra i due si stabilì una certa familiarità, tanto che l’ex postiglione di diligenze e corriere del Pony express, cacciatore di bisonti per fornire carne ai lavoratori che costruivano le ferrovie del West, guida dell’esercito americano nelle guerre contro gli indiani divenuto circense, gli consentì, in una scena, di viaggiare nella diligenza inseguita da bellicosi pellirosse che scoccavano frecce da tutte le parti, creando “suspence” fra il pubblico assiepato nell’anfiteatro. Simulazioni bene architettate come quelle che oggi vediamo nei film con John Wayne, al secolo Marion Robert Morrison. Lo spettacolo non era al livello di un kolossal di Cecil de Mille, ma i giornali ne parlavano non soltanto come una novità. Lo stesso Salgari apprezzava talmente Cody, che lo inserì nel suo romanzo “La regina del campo d’oro”. Dello show di Cody scrisse che era uno spettacolo vero, reale raffigurante i quadri più interessanti della vita selvaggia del grande Ovest, con gli usi e costumi di quelle popolazioni. Ovunque si esibisse, Cody calamitava un grande apprezzamento da parte degli spettatori, che lo consideravano un mito. Il suo circo, con tutti quei numeri che evocavano pagine di storia, faceva sognare. E forse nessuno in quel sogno vedeva le ingiustizie perpetrate contro pellirosse, sioux, navajo, capo Giuseppe e i Nez Perce…Il circo di Buffalo Bill anche a Verona arrivò con un treno di cinque vagoni lungo quasi un chilometro, e nell’Arena, in grado di ospitare 12 mila persone. in poche ore gli addetti innalzarono il tendone.





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