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mercoledì 24 febbraio 2021

Il “Corriere del Giorno” di Taranto

 

 

Via d'Aquino - Taranto
UNA TESTATA CHE NON MUORE

NEL RICORDO DI CHI L’HA 

AMATA

Ha avuto tanti momenti brutti, ma

i suoi giornalisti, valenti e

coraggiosi, si sono sempre battuti

per tenerla in vita.

C’è chi spera nella resurrezione.

 

 

 

Vincenzo Petrocelli al centro,Presicci a destra
Il secondo da destra Tani Curi

 

 

 

Franco Presicci

Non avevo ancora diciotto anni e pensavo alla professione di giornalista. Quando all’università di Bari scelsi giurisprudenza non sognavo le aule della pretura e del tribunale. Scrivevo, ma non osavo mostrare le pagine   inchiostrate a qualcuno che potesse darmi un giudizio.

Una domenica all’angolo tra via Nettuno, dove abitavo, e la Dante crollò un palazzo appena costruito. Gli inquilini furono salvati dal capomastro, che, vedendo una crepa aprirsi ed allargarsi in una parete della sua cucina, sfrecciò fino all’ultimo piano urlando “Uscite, scappate, mettetevi in salvo!”, rischiando la vita.

Clemente Salvaggio a sin.
Non sapendo nulla della vita nei giornali, pensai che essendo un giorno festivo, al “Corriere del Giorno”, il quotidiano locale, uscito la prima volta il 6 aprile del ’47, non potessero aver saputo nulla del disastro; e così il lunedì mattina andai in piazza Garibaldi, dove in uno dei locali al piano terra del palazzo del tribunale e del liceo classico “Archita”, c’era la sede del giornale; salii i quatto o cinque scalini, sistemati subito dopo la soglia e mi trovai di fronte all’ufficio del direttore, che era Giovanni Acquaviva, un uomo sorridente e incoraggiante. “Entra, entra”, mi disse, vedendomi titubante. Gli raccontai ciò che avevo visto, i dialoghi che avevo avuto con le persone che, rimaste senza casa, erano alloggiate nelle aule della scuola elementare “Acanfora”, che fronteggiava proprio lo stabile frantumato, e lui mi ascoltò attentamente.

Scuola Acanfora
Quando terminai, mi disse che loro sapevano tutto, perché, anche se era domenica quando era avvenuto il fatto, il cronista di turno aveva già riempito il suo taccuino. E aggiunse che se avevo voglia di collaborare potevo cominciare con le lettere al direttore.

Lo feci e dalle lettere, dopo qualche tempo, passai a un piccolo “pezzo” lungo quanto una biro. Intanto frequentavo la redazione, che passò in via Mazzini, quasi di fronte al cinema Paisiello e alla targa con parole del poeta venosino Orazio posta in un’aiuola.

 

Targa in viale Mazzini
 

 

 

E conobbi tanti redattori bravissimi e cordiali: Domenico Casulli, di cui ricordo l’immagine degli “ombrelli che fiorirono durante una manifestazione affollatissima” (lasciò il giornale per fare l’avvocato); Peppe Ventrelli, che si occupava di sport; Vincenzo Petrocelli, che era capo redattore già nel ’65, e passo dopo passo guidò diverse redazioni, dalla cronaca alle province, alle pagine nazionali, a quelle culturali; Franco De Gennaro, uno dei fondatori della testata, che, pur essendo in plancia, scriveva anche lui di sport e senza peli sulla lingua (alla fine di un derby Taranto-Bari i tifosi danneggiarono le auto degli ospiti; la stessa cosa avvenne nella città consorella, e De Gennaro titolò i suoi articoli con “Cretinismo numero 1” e “Cretinismo numero 2”). Era era brusco, severo, ma generoso e disponibile.

Peluso e Mandese

Al “Corriere” conobbi anche Narciso Bino (poi reclutato dalla Rai); Domenico Attanasio, che si occupava di cronaca nera; Pino Catapano, Silvano Trevisani, Paolo Aquaro e Clemente Salvaggio, che aveva lasciato “Mercoledì Sport”, dove furoreggiava con articoli anche in piena pagina e titoli sparati su più colonne, per entrare al “Corriere”, del quale in seguito divenne direttore.

Concreto e di poche parole Nino Bixio Lomartire, nato a Ostuni, ma tarantino d’elezione, autore di diversi libri sulla Marina militare e di economia (“L’Arsenale M.M. di Taranto”; “Taranto, Progetto ‘80”, “Navi e bugie”, “La Fiera del Mare”; “Taranto: uno sviluppo amaro”), che gli fecero vincere un Premio in ricordo di Nunzio Schena e gli fu consegnato dalla figlia dell’editore e da Nuove Proposte in una cerimonia alla caserma della Marina di San Vito.

Strada intitolata a Schena dal Comune di Fasano
Vidi poche volte Nicola Caputo, a cui si devono volumi preziosi, come “Taranto com’era”, “L’anima incappucciata; Pasquale Scardillo, rispettabile firma delle pagine sportive: lo frequentai assiduamente a Milano, dove era stato assunto dalla Rizzoli e come collaboratore prima dal quotidiano del pomeriggio “Corriere Lombardo” e poi dal “Corriere della Sera”.

In viale Mazzini, la sede successiva del “Corriere”, incontrai Piero Mandrillo, professore d’italiano, scrittore dallo stile nobile, grandissima cultura, forte amore per il teatro (andò da Taranto a Firenze per assistere a una

 rappresentazione teatrale e poi in altre città),
giornalista, che oltre a scrivere sul “Corriere” conduceva dibattiti su TvTaranto (fu invitato dall’Università di Wellington per insegnare la nostra lingua); e a Milano intervistava l’autorevole critico letterario del “Giorno” Giuliano Gramigna; il Premio Nobel Eugenio Montale, nella sua casa in via Bigli; il poeta tarantino Raffaele Carrieri, che aveva abitava in via Borgonuovo... Spesso era ospite della figlia Maria Teresa a Monza, dove giocava con il nipotino e parlava di storia con il genero. Al suo arrivo alla stazione Centrale di Milano, trovava ad aspettarlo puntualmente il sottoscritto, in taxi andavamo a casa mia e durante il pranzo mi dava notizie di Taranto e degli amici che avevo laggiù. Una volta mi confidò che stava studiando la parola dialettale “chiudde”, pescatore, che assunse il significato di stolto e secondo Giacinto Peluso derivava da “ciurma”, rematori di una galera.


Mandrillo

Ricevevo “Il Corriere” a Milano e leggevo, oltre ai miei articoli (uno sul pittore foggiano Alberto Amorico, che aveva fatto il ritratto a Umberto Giordano sul letto di morte e dipingeva paesaggi straordinari; un altro sulla Milano di notte e altri sulla droga, sulla morte del grande pittore Filippo Alto e su quella di Giuseppe Pignataro, che a Taranto aveva lo studio nell’androne di uno stabile di via Di Palma ed era noto per aver contestato assieme ad altri il Premio Taranto, sporcando i muri della città con frasi come “Viva Raffaello e abbasso Cassinari”. Poi preferì trasferirsi a Milano.

Leggevo con tanto interesse anche i ritratti di Giacinto Peluso. Ne ha fatti tanti sulle pagine del “Corriere”, sui personaggi dei primi del ‘900; sui tempi del lume a petrolio; sulle processioni,sui luoghi, i fatti, gli usi e i costumi di una volta…

A proposito di fatti, mi preme svelarne uno che la dice lunga sulla bontà e la delicatezza di questo scrittore, che ho nel cuore: qualche giorno prima di morire mi mandò una sua opera pubblicata da Mandese, ”Taranto da un ponte all’altro”, accompagnato da una lettera e da un “ex libris” che aveva eseguito per me il pittore Salinari quando avevo diciannove anni e scrivevo anche su “Il Rostro” di Mario Sossi. Nella lettera aveva scritto: “Me lo regalasti tantissimi anni fa e come vedi l’ho conservato per oltre mezzo secolo. Adesso è meglio che lo tenga tu”. Dopo qualche giorno mi telefonò Nicola Mandese per avvertirmi che Giacinto non c’era più. Ci ha lasciato tanti volumi: “Ajère e òsce: alle radici del dialetto tarantino”, “Voci dell’isola”…

Riccardo Catacchio

Sono ancora molto legato al “Corriere del Giorno”, che è stato il cuore, l’anima di Taranto: confezionato ogni notte da giornalisti coraggiosi e appassionati, che nonostante le disavventure che il giornale ha dovuto affrontare, lo hanno coltivato con competenza e sacrificio. Quando scrissi il libro sulle cascine lombarde l’editore mi chiese una foto e una biografia di una quarantina di righe; gliene ne consegnai una decina con un accenno al mio rodaggio al “Corriere del Giorno”. Acquaviva lo recensì, sottolineando che ero emigrato a Milano, lavoravo al “Giorno” e non dimenticavo il quotidiano della Bimare.

Oltre ai giornalisti già citati, Tani Curi, che ritrovai poi al “Giorno” in via Fava, dov’era caporedattore e curava uno dei settimanali dedicati alla Lombardia; Franco Cigliola, del quale ho perduto le tracce; Rocco Tancredi; Riccardo Catacchio, già mio amico, che aveva fatto la scuola di giornalismo all’Università di Urbino, rettore Carlo Bo, e si meritò la carica di capocronista e poi quella di direttore; Roberto Crucillà, che si occupava delle cronache del Palazzo di Giustizia, quindi le corrispondenze di Silvia Laddomada da Crispiano, gli articoli di Michele Cristella.

Nelle mie rimpatriate non mancavo di fare un salto in via Di Palma, nella nuova residenza del “Corriere”: nel palazzo del cinema Odeon, al primo piano, e ogni volta mi ricordavo dei binari di scambio del tram che erano installati proprio di fronte (il mezzo sferragliava da Solito alla stazione). Lo seguivo ovunque, il “Corriere”, anche qua do traslocò in via Dante, ai Beni Stabili, e poi in piazza Maria Immacolata, a stretto contatto di gomito con la libreria Filippi, poi passata in corso Umberto.

Il pittore Daddario al centro
Fu sul cinema Odeon che una sera Vincenzo Petrocelli, dopo che gli avevo riferito la notizia di una specie di rivolta che c’era stata al festival dei baffi di Grottaglie (motivo: la giuria quasi tutta al femminile era accusata di aver votato un greco per la prestanza fisica e non per l’eccellenza del pelo), senza dirmi niente aggiunse fra le trasmissioni del giorno dopo di TvTaranto (con quell’antenna credo che il giornale avesse rapporti) “La rivolta dei baffi” condotta da me.  Io mi schermii e lui rispose: “Se non lo fai, che amico sei?”. E fu la prima volta che misi piede in una televisione. Quella sera ci fu il diluvio e arrivai nello studio fradicio di pioggia. Più fortunati gli ospiti, arrivati prima, tra cui un bidello che aveva il viso sommerso in baffi e barba a sciarpa, che curava meticolosamente. Così anche l’impiegato che i baffi li aveva alla moschettiera: venivano ripresi non da un fotografo, ma da due bravissimi pittori, Raffaele Daddario e Benedetto D’Amicis. Serata divertente, almeno per me e per Clemente Salvaggio, che qualche giorno dopo, tornato dalle ferie, aveva visto la registrazione e aveva riso a crepapelle, per la stravaganza delle barbe e per le mie domande garbatamente impertinenti.

Salvaggio è il sesto da destra

Nel suo ufficio, Vincenzo Petrocelli mi fece conoscere anche Giuseppe Francobandiera, direttore del circolo culturale dell’Italsider, insediato nella masseria Vaccarella, e altre personalità, come Franco Zoppo, che insegnava latino e greco al liceo “Archita” e dopo qualche anno pubblicò l’ottimo romanzo “Belmonte”.

Quando appresi la brutta notizia che la voce di Taranto si era spenta, trattenni a stento le lacrime. Mi vennero in mente le figure che lo avevano nutrito, amandolo: Petrocelli, De Gennaro e gli altri; le sere che in cui disertavo via D’Aquino per andare a sentire il respiro del “Corriere” e l’odore del piombo; per incontrare gli amici, tra cui il Giuseppe Barbalucca, medico pediatra con un laboratorio di analisi in via Mignogna e giornalista pubblicista con una scrivania al “Corriere”. A volte ripercorro con la memoria quei giorni lontani, e mi pare di averla ancora tra le mani, la testata fondata, come detto, il 6 aprile del ’47 da Franco De Gennaro, Egidio Stagno (fu direttore generale del “Corriere della Sera”), Franco Ferrajolo, Giovanni Acquaviva. Anche le cose più belle muoiono.


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