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mercoledì 22 dicembre 2021

Un capolavoro di Manola e Gianluca

IL PRESEPE LUNGO TRE METRI ALLA STAZIONE CADORNA 

 

Nell’ambientazione c’è mezza

Milano: piazza del Duomo con

la cattedrale, vicolo dei

Lavandai in Naviglio. 

Un presepe storico,

che sarà esposto fino al 6

gennaio. Manola Artuso e

Gianluca Seregni si sono

confermati veri artisti.

                                                                           LE FOTO SONO DI MANOLA E GIANLUCA

Franco Presicci

E’ bello sostare in una stazione ferroviaria per aspettare un amico o un parente, mentre la voce all’alto parlante annuncia il traffico. Vedere partire o apparire lentamente una motrice con il muso da levriero dà una sensazione piacevole. Soprattutto se la voce nascosta chissà dove non annuncia un ritardo. E’ piacevole, almeno per me, vedere tutta quella gente in attesa, chi con il volto corrucciato perché ha sentito che in convoglio non è in orario; chi sorride perché il suo treno ha già superato il penultimo scalo. Oggi le stazioni, soprattutto quello della Centrale di Milano, sfida l’ansia e la noia con tutti quei negozi, compresa una ben dotata libreria e un tabaccaio con la vetrina colma di “souvenir”. 



Alla stazione Cadorna sia l’anno scorso che quest’anno hanno allestito un presepe di tre metri per uno e 50, con tante statuine alte 40 centimetri del ‘700. Un’architettura storica, con ambientazione dell’epoca e un’illuminazione che mette in risalto le pieghe dei vestiti preziosi. Fronte e retro impreziositi da immagini settecentesche e ottocentesche.
 
Una meraviglia creata da Manola Artuso e Giuseppe Gianluca Seregni, de “La Stele” di viale Certosa a Milano, noti e apprezzati ovunque per la loro bravura e l’originalità delle loro opere. Un trionfo di luci e di colori. L’osservatore si ferma ad ammirare il manufatto e quasi si ente parte della struttura: s’immedesima in un Re Magio dagli abiti sfavillanti o nel suonatore con cappello e mantello di pelliccia che soffia nel suo strumento accanto a un albero o a una pastorella vicino ad un cammello inginocchiato. Quanta bellezza e che fascino in questo presepe. Bella la giovinetta con il capo incorniciato da una sciarpa rosa, che ha sotto un braccio un cesto con frutta da offrire al Bambinello. C’è un l’angelo in preghiera in un ricco abito giallo; e c’è un uccello stupito sul bordo di un laghetto costellato di foglie cadute da una pianta. Abbondano i particolari. Un presepe così suggestivo evoca quelli che si facevano alla corte di Carlo III a Napoli, per il quale era la moglie del sovrano ad occuparsi dell’abbigliamento. Dire bravi a Manola e Gianluca è poca cosa. Meritano molto, molto di più. Il presepe è la loro arte e lo fabbricano con devozione e passione. Plasmano le figure, legate alla tradizione milanese e creano l’ambiente. 
Rami e rametti grondanti di neve circondano la grotta della natività. Niente è scontato, in questo presepe, come negli altri, migliaia di altri, di questi due artisti eccellenti, che nella loro bottega di viale Certosa trascorrono le giornate a sagomare Madonne e figure del presepe. “Mi meraviglio che io non abbia mai saputo di questo laboratorio, che deve essere un luogo da favola. Amo il presepe, da sempre; lo faccio in casa mia, ma questo è un'altra cosa, mi esalta, mi trasmette gioia, mi ristora lo spirito. Andrò a trovarli”, mi dice un signore anziano con il colbacco e un bastone con il pomo a testa di upupa.

Una signora bassa, sottile, i capelli argentati, il naso un po’ adunco, sembra rapita da questo capolavoro, che comprende anche una ricostruzione del Duomo con la piazza cosparsa di paglia con tante statuine, fra cui una venditrice ambulante di panettoni e altri dolci. Svirgola lo sguardo verso una figura che rappresenta un uomo con una brocca in spalla (forse piena di vino) e vi si sofferma. “Che ve ne pare?”, esclama il cronista curioso di conoscere il parere dei visitatori. La stessa signora risponde senza distrarsi. “Stupendo. Semplicemente stupendo. Vorrei trovare una parola che dicesse di più. Tutte queste luci, questi abiti meravigliosi… Quella venditrice mi fa venire in mente un libro in cui si dice che in un tempo molto lontano in piazza Duomo c’era anche il venditore di polenta e che ci vollero più ordinanze dell’autorità per farlo sloggiare. Ma questo non c’entra niente con la singolarità di questo presepe..”. E aggiunge: “Te piace ‘u presebbio?”, la domanda frequente che Lucariello rivolge al figlio nella comedia di De Filippo “Natale in casa Cupiello)”.

Al giovanotto il presepe non piaceva. E continuava ad affermarlo, cocciuto e provocatore. Mi chiedo che cosa avrebbe risposto di fronte a questa grandissima espressione artistica. A me il presepe piace, ma questo che abbiamo di fronte è… una cosa grande, come canterebbe Domenico Modugno”. La gente si assiepa. Non tutti devono prendere o aspettano un treno, magari per Canzo o per Como. Molti sono venuti apposta per vedere il presepe di cui tutti parlano. Anche un vecchietto un po’ ricurvo, imbiancato, che mi mostra un piccolo manifesto con la scritta: “Il presepe che viene rappresentato nasce primariamente dall’opera di tutela, valorizzazione storica dell’iconografia nella tipicità della scuola milanese, della statuaria sacra e del presepe nel corso dei secoli.

La bottega La Stele a Milano affianca un’opera di conservazione e tutela e restauro di tale tipicità. Le figure nascono in periodi differenti dei secoli scorsi da fine Settecento giunti fino a oggi, poeticamente collocati in una Milano limitatamente innevata. Sono la memoria storica, artistica, devozionale di numerose generazioni che tutt’ora manteniamo vive. La scena si sviluppano armonicamente fra il Settecento, Ottocento Novecento milanese.

Viene rappresentata sia dalla tipologia delle statue stesse sia dai fondali che si susseguono come quinte teatrali, raffigurando angoli della vecchia Milano”: vicolo dei Lavandai, che scivola dall’alzaia Naviglio Grande, le case di ringhiera, i cortili, i tetti a capannone, i comignoli, i ponti, le chiese, le chiatte, “el barchett de Boffalora”, “el gand e legn”… “Sì – interviene uno smilzo dall’aspetto professorale – con l’immigrazione nel nostro presepe arrivarono due figure tipicamente napoletane: il pizzaiolo, per esempio”. Saranno arrivate dopo il 1929, quando la pizza entrò in città al ristorante Santa Rita, a due passi da piazza San Fedele, dove aveva sede la questura. Infatti i primi appassionati furono i poliziotti meridionali. I milanesi impiegarono un po’ di tempo prima di avvicinarsi a quel “disco, scoprendo che era una delizia per il palato. L’amalfitano Gaetano Afeltra, mito del nostro giornalismo, che dalla plancia del “Corriere d’Informazione” passò a quella del “Giorno”, in uno dei suoi libri, “Milano, amore mio”, in cui dedicava anche pagine sulla pizza nel capoluogo lombardo, di fronte a questo presepe sarebbe rimasto incantato. E la mia amica Dely Gatti, martinese a Merate, avrebbe certamente voluto una di quelle statuine di Manola e Gianluca per la sua numerosa collezione, dal momento che quando le ha viste su Facebook, postate da me, mi ha subito contattato. C’è anche poesia nel presepe di Manola e Gianluca. Sono maestri anche della luce, oltre che dell’ambientazione. I presepi li fanno con il cuore; le “sentono”, le loro opere, le vivono. Le loro figure sono espressive, autentiche negli atteggiamenti, sembrano avere vita. Mi piacerebbe sapere quante case milanesi abbiano lavandaie, guardastelle, ambulanti, Re Magi, pastori, greggi usciti dalla bottega “La Stele”. “Più di quante tu non riesca ad immaginare”, mi dice Gianluca, che del presepe sa tutto, la storia, i luoghi in cui è più diffuso, gli artigiani esperti del settore negli anni andati… Tu sicuramente quando sei arrivato a Milano pensavi che qui a Natale si facesse soltanto l’albero. Invece la festa si celebrava anche con il presepe, qualcuno dotato persino di ‘carillon’”. Beh, un modesto presepe con quello strumento lo posseggo anch’io. E posso dire che quando gli dò la corda, il suono mi fa sognare. Il presepe è anche sogno, magia. A proposito, lo scenario esposto alla stazione Cadorna resterà fino al 6 gennaio, per la gioia di grandi e piccini. E’ Natale, la festa più bella dell’anno. Il 2020 e i nostri giorni ci preoccupano per la pandemia, perle vite che si spengono, una preghiera per quel Bambino che emette i suoi vagiti nella grotta ci potrebbe aiutare. 


Natale con Franco Presicci


M’avène ssèmb’a mmènd’u Natàle de ‘na vòte

tutt’a famìgghie aunite a ccàse de le nònne

e tùtte allècre c’avèv’arrevà’ ‘u Bammìne

Je e cusseperìneme facèveme cagnàre

e ‘u nònne, pe’ ne fa’ stà’ cuète

facève scòrrere ‘a fandasìe

ne cundàve d’u lupemannàre

c’assève de nòtte e facève tànda paùre

d‘u vècchie ca cu ‘na càppe ‘nguèdde

nghianàve sus’a le trùdde

allariàve le vràzze e supplecàve ‘u cìele

de fa’ chiòvere pe’ fa’ bbèver’a tèrre

ca stàve assùtte

de l’aùrie, ca vendelàv’a màne e rerève

quànne no’nge facèv’u malevèrme

e ‘u munacìedde, n’òtre berbànde

c’assève dòppe menzanòtte

se mettèv’a cavàdde sus’a ‘a pànze

de le uagnèddozzze

l’anghiève de pezzecàte

e ‘ndurtegghiàve le capiedde

Mèndre ‘u nònne cundàve

a nònne e ‘a màmma mèje

s’addedecàvene a le taràdde, a le carteddàte,

a le pèttele, a le sanacchiùtere

da friscere e affucà ’indro ò mèle

attàneme se ‘mbegnàve c’u presèpie

e ‘nguacchiave tòtt’a parète

mammà, ca no’nge stàve màje cu le màne mmàne

criàve ‘a Madònne, San Gesèppe, ‘u Fìgghie

pastùre e pècheredde

a lavannàre, u uardastèdde, tùtte de ggìsse

A sère d’a viscìglie le grànne sciucavan’a càrte

e nu’ facèveme ‘n’artarìne c’u cummò

je ‘ère ‘u prèvete ca decèv’a mèsse

e cusseperìneme ‘u prevetìcchie c’a servève

po’ all’andrasàtte se ne scèv’a lùce

e lucculavème “Appezzecte ‘na cannèle”

a lùce turnàve e ‘u peccerìdde stàve indr’a gòtte

E nu’ ‘mzìeme “Hà’ nàte, u Bammìne, hà’ nàte”

e candàveme “Tu scìnne da le stèdde”

(‘a lùce ca se stutàve ère ‘na furbetàte)

L’addòre d’a frettùre se spannève adongàte

mèndre fòre le zampagnùle

ddòie cum’a le carbenìere

sunàven’a ciaramèdde

Nìende lumenàrie sus’a le stràte

le negòzzie no’ng’èrene allumenàte cum’a òce

Natale no’ng’ère fàtte pe’ jatecàre

l’àrie ère devèrse, ‘a fèste

a tenèmme gnìndre, Indro còre

A visciglie se stav’a desciùne

O banghètte de Natàle s’accumenzàve

cu puperùsse e marangiane sott’òlie

ddò’ fèdde de sazìzze asquànde e ùne de pruvelòne

frùtte de màre e po’ pàste cu le còzze

angìdde o capetòne e còzze arracanàte

panettòne, nucèdde, nùce, pèttele

dòppe ‘u prìme piàtte lescèvene ‘a letterìne

c’aveveme mise sottu piàtte d’u nònne

e ijdde quanne l’azàve

decève: “Ce jè ‘sta nuvetàte?”

e ne dàve cìnghe lir’appedùne

ca ggià avève mìse indr’a sàcche d’a giacchètte.

Stàveme ssèmbe ‘nzìeme p’a recurrènze

ogne tànde je svegnàve

arrubbàve ‘nu bescuètte d’a credènze

e turnàve cìtte-cìtte d‘a cumetìve

c‘avev’accumenzàt’a arrengà

le cartèdde d‘a tòmbele

Quìste m’arrecòrde d’u Natàle

de quàse ottandànn’arrète

a ccàsa nòstre.

.



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