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mercoledì 29 dicembre 2021

Taranto e il suo borgo antico



RACCONTATA DALLO SCRITTORE GISSING

A CUI NON PIACQUE IL FIUME GALESO


La Casa della Madonna di Loreto
La vicenda straordinaria

del frate squattrinato, che

volendo andare a visitare la

Madonna a Loreto, chiese

al capostazione di

consentirgli il viaggio

gratuitamente.  Il “berretto

rosso” rifiutò e al suo

ordine il convoglio non si

mosse. Lo fece quando un tale 

offrì il biglietto. Gissing apprese

dell’episodio, accaduto in uno scalo marchigiano,

da un menestrello che lo decantava sulla sponda

del canale navigabile. Taranto di una volta anche in

un bellissimo libro di Cosimo Acquaviva, “Taranto…

Tarantina”, edito nella Bimare nel 1931.

 

Franco Presicci

Rileggendo dopo anni “Sulla riva dello Jonio” di George Gissing (1857-1902) mi soffermo ancora su un episodio che ricorda un po’ quello del “pret de Ratanà”, che, andando con lentezza esasperante verso il tram che da Baggio portava al centro di Milano (credo fosse il 14), fece innervosire il conduttore al puntò che azionò i comandi senza aspettarlo oltre, ma il mezzo rimase fermo. Quando il prete salì e si sedette, il tram si mosse autonomamente. 

Taranto dal Mar Piccolo
A Taranto, sulla sponda del canale navigabile, lo scrittore inglese notò un gruppo di persone che ascoltava una sorta di cantastorie che commentava un quadro con un avvenimento straordinario che avrebbe avuto come teatro una stazione ferroviaria delle Marche; e alla fine mise in vendita un opuscolo scritto da lui stesso, con lo stesso racconto. Un fraticello - riferiva “l’oratore” - chiese umilmente al capostazione di farlo viaggiare gratis, perché aveva un gran desiderio di raggiungere il santuario di Loreto, per visitare la Madonna, ma era squattrinato. Il ferroviere si rifiutò categoricamente e ordinò la partenza. Il macchinista azionò i comandi, ma le vetture non si mossero, tra lo stupore degli altri viaggiatori e dei loro accompagnatori. Si avviarono solo quando un signore si offrì di pagare il biglietto al cappuccino. Il “berretto rosso”, infuriato, telefonò ai carabinieri di Loreto per fare arrestare il monaco all’arrivo, con le accuse di accattonaggio e interruzione di servizio pubblico. 
Barche al Mar Piccolo

Ma sul sedile dello scompartimento in cui aveva viaggiato il religioso fu trovato soltanto un biglietto con una scritta, secondo la quale il ricercato era già tra le braccia di Maria. Durante la narrazione orale “ogni due minuti gli ascoltatori maschi si levavano il cappello, mentre le femmine s’inchinavano e si facevano il segno della croce”. Poi Gissing deragliò verso le rime i versi di Orazio e le lodi di Virgilio, “che secondo una tradizione avrebbe scritto le Egloghe in questi dintorni”. Gissing, durante un suo viaggio da Napoli a Reggio, si fermò dunque a Taranto, e le dedicò parecchie pagine. 

Il mare calmo
Una delle finestre dell’albergo che lo ospitava “guardava verso la città vecchia, con la diga su cui erano distese ad asciugare le reti dei pescatori, la cupola della Cattedrale, le case alte e strette, spesso con dei giardini sul tetto… e l’altra sul Mar Piccolo… punteggiato in varie zone da pali incrociati che segnano i vivai di ostriche, e orlato da questa parte da imbarcazioni di vario genere ormeggiate ai moli…”. Lo scrittore attraversò il borgo e la città vecchia, si perse nel reticolo dei vicoli, alcuni dei quali così stretti che “allargando le braccia si potevano toccare i muri di qua e di là…”.
 
Imbarcazioni in Mar Piccolo
Fu attratto anche dai pescatori, che “parlano un dialetto che conserva molte parole greche sconosciuto al resto della popolazione. Non potevo saziarmi di guardarli: le loro membra agili, il loro atteggiamento nel lavoro e nel riposo, i loro capelli neri e ribelli mi ricordavano continuamente figure dipinte su un vaso classico…”. Di questo parlava al nostro tavolo in una serata culturale al circolo svizzero, in piazza Cavour, nei primi anni 60, un signore seduto tra me e l’avvocato Raffaele Salinari, principe del foro milanese e fratello di Carlo, storico della letteratura italiana. Era di Taranto e aveva tanta nostalgia, per la sua città, costretto dal lavoro a starne lontano, a volte anche d’estate.
Piero Mandrillo
Un interlocutore ricordò le parole del sindaco della Bimare, avvocato Giuseppe De Cesare (appena lette nel libro di Cosimo Acquaviva, “Taranto…Tarantina”), pronunciate una domenica di giugno1869 in occasione dell’inaugurazione dell’allora nuova sede del Palazzo di Città: “L’amore del luogo natìo non è altrimenti un trovato di uomini sapienti, un patto, una legge di utile comune, ma sì bene un reclamo della natura, un bisogno del cuore che si converte, si traduce e si compie in quello che è veramente: amor di congiunti, affetto di consanguinei”. E amore per la terra. Come si fa a non amare “Mare Picce, ‘u vizzùse, Frate carnale pe’ ‘na cumbagnjie (a Mare Màsce: n.d.a.)”. 
Alfredo Lucifero Petrosillo

Mi pare di sentirlo, quel grande poeta che è stato Alfredo Lucifero Petrosillo: ”’U vècchie stè ‘ngandate ‘mbacce ‘u mare. E ‘u mare, ‘ndenerite, t’u tremènde. Le parle citte-citte, e ‘u vècche sènde. ‘U fiate, quèdda vocia masciàre…”: versi de “Chiudde”, pescatori, accostati al poemetto “’U travagghie d’u mare”. Il commensale continuava: Amo Mare Piccolo, la sua acqua che fa dondolare, nazzecàre’, le barche; e le trecce di cozze distese sul pontile; le case molto invecchiate, qualcuna con gli acciacchi, le bitte, le nasse, il gruppo di giovani attorno a una fontanella, le voci, le persone…”. Ed emergeva l’ombra di un altro grande: Diego Marturano, che ha scritto opere toccanti. Intervenne un altro commensale, che stava di fianco a Salinari: “Anch’io amo Mar Piccolo. Nel ’51 (se non ricordo male), quando misero mano al ponte girevole architettarono un passaggio con barche accostate, che la gente usava per andare magari al municipio o in via Garibaldi, che si snoda fino alla dogana... A quel tempo si vedevano ancora le ‘parecèdde’ ed erano già vietati i datteri per proteggere gli scogli, da cui venivano estratti”. “Sono molto legato a ‘Tàrde nuèstre’ - continuò - sono attaccato alla città come l’edera al muro. Frequentavo ‘Pesce fritto’, il ristorante famoso in tutta Italia, e forse anche all’estero. Una sera ci andai con un gruppo di amici e due marinai americani ci ‘catturarono’ e ad ogni costo vollero imbottirci di vino.

Mar piccolo
Uno dei nostri si avventurò verso la riva di Mar Piccolo e lo salvammo a stento da una caduta in acqua”. Anche l’altro aveva qualcosa da dire: ricevette la visita di un conoscente di Roma ansioso di vedere questo locale di cui tanto si palava: ci andarono, ma lui non aveva tutti i soldi per pagare il conto; per fortuna un conoscente di cui non si era accorto gli porse un foglio di carta piegato in quattro con la salvezza all’interno. L’editore Lacaita di Manduria (numerosi titoli in catalogo, molti sul brigantaggio), ascoltava. Davanti a “Pesce Fritto” le auto trovavano difficoltà a superare la barriera delle altre cilindrate in cerca di parcheggio e il compagno di serata descriveva “il sottofondo… musicale creato dai clacson disperati”. E aggiungeva: “Pesce Fritto” portava subito a “Màre Peccerìdde” o “Mare Picce”, come lo chiamava “don” Alfredo Lucifero Petrosillo in alcune sue opere, che una volta lette ti rimangono nel cuore e nella mente.

Diego Marturano
Così anche quelle di Diego Marturano, di Nerio Tebano, Claudio De Cuia, Diego Fedele, che abitava in via Messapia alle Tre Carrare, ma aveva una lunga frequentazione della città vecchia. Di lui conservo un calendario con una poesia per ogni mese (“’U trainìere”, “Le Caggiùne”, “’U rafanìedde”… donatomi come una perla da Peppino Montanaro, martinese doc, colto e informatissimo, lettore e ammiratore di Gaetano Afeltra. Insomma, Taranto anche al di là del ponte di ferro, con i suoi vicoli, i suoi “strìttele”, le sue pusterle, le sue curiosità, la Via Maggiore, ricca un tempo di negozi e di edifici nobiliari (era infatti considerata la via dei nobili, calamita per migliaia di forestieri, che spesso entrano in quella specie di museo dell’artista Nicola Giudetti, per ammirare “zeròle”, “abbrustelatùre”, “velànze”, “vrascère”, “scarpàre de crète”, “ciucculatère”, “vummìle”, “cammelline”; processioni dei Misteri eseguite dallo stesso padrone di casa… Da lì, vanno in via Garibaldi, dove magari assaggiano qualche cozza “gnòre” da “’u cuzzarùle” che sta di fronte all’adorato Mare Piccolo. Il dialetto li incuriosisce. E come Gissing ascoltano volentieri i pescatori, che mentre depongono le nasse o rammendano le reti, conversano nella loro parlata. 

Passeggiata lungo il Mar Piccolo
Per chi ama Taranto, passeggiando sulla sponda di Mar Piccolo non s’inebria soltanto al profumo dell’aria marina, così salutare, non s’incanta solo alla vista di quella distesa d’acqua che da secoli alimenta l’ispirazione dei cantori del luogo non solo di casa nostra e stimola scrittori stranieri e italiani. E i fotografi? Autentici maghi dell’obiettivo ritraggono le barche, le onde in cui si specchiano il sole e la luna, ma anche qualche venditore ambulante di “javatun’e cozze pelòse, cozz’agnacule…” o una bancarella con marangiane e puperusse”, a cui accennava Cosimo Acquaviva nel suo volume “Taranto… Tarantina”, edita nella Bimare nel 1931. Tra questi cacciatori d’immagini da immortalare, Cataldo Albano, tarantino verace che vive a Verona ma trascorre lunghi periodi nella sua città. Nel ricordo di tanti, spicca una sua foto di piazza Fontana, restaurata dallo scultore Nicola Carrino, che tra l’altro espose alla Biennale di Venezia. In un volume dello stesso Aldo scorrono le paranze, corolle di mitili su un pontile, le facciate screpolate dei palazzi, il gruppetto di pescatori che giocano a carte davanti a un bar, i ragazzi che si tuffano per recuperare gli euro che i forestieri lanciano in acqua. E qualcuno ricorda gli anni in cui alla marina anche qualche adulto giocava alla livoria, passatempo allora molto diffuso. Gli emigrati, però, Taranto e il Mar Piccolo, il canale navigabile e i tramonti sul Mar Grande non vogliono vederli soltanto in queste foto: quando possono, soprattutto d’estate, prendono l’aereo, il treno o l’auto e scendono giù, in questa specie di paradiso in terra.

 

Mare Picce di Franco Presicci


MARE PICCE

Quànne me ne scìve sùse

tand’ànn’arrète

me purtève apprìesse Màre Pìcce

le lambàre, le parànze, le pescatùre

vecchiarìedde, cu le mùse screpelàte

je le cercàve p’arrubbà’ cumbersànne

paròl’andìche ca no’nge canuscève

mèndre renacciàvene le rèzze

sendènneme anuràte

p’amòre ca ce face ‘stu mestìere

jè nòbbele, mèste de màre e de sciardìne

fatiatòre c’affrònde burràsche e mesèrie

Quànda passiàte hàgghie fàtte

sènza mòverme d’a càse

vulànne c’u penzìere

sus’a le pundìle, sus’‘a duàne

mbign’a chiàzza Fundàne

e facènne màrce rète

de ‘nvìerne e de stàte

peffìne ‘a nòtte

quànne Mare Picce no’nge pìgghie suènne

e mùsce leccànn’a rìve

Stu viàgge no’nge se fèrme màje

me pòrte sott’u pònde de fìerre

indr’a ‘na vàrchetèdde

azzettàte sus’o scànne

mèndre ‘mbònda-‘mbòmde

stònne tànda lùce appezzecàte

accùm’a l’àrbre de Natàle

e ‘na mùseche lèmme-lèmme se spànne

a lùne scènne sus’a làcque cu le stèdde

Maravigghìe, Màre Pìcce, ‘nu rrè

nu stuèzze de paravìse

me cumbàre pùre quanne stoch’a dòrme

e m’addecrèje

e accussì jè dòce ‘a lundanànze.

 

 

Franco Presicci

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