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mercoledì 19 ottobre 2022

Il mercatino delle pulci della Salinella

U “CURRUCHELE” CON LE “AZZUGNATE”

VALEVA DI PIU’ DI QUELLO INTEGRO

Viale Magna Grecia

Erano il segno delle sconfitte, ma anche

delle volte che aveva combattuto. Le aveva

anche date e le tracce le portava l’avversario.

Quanti ricordi fluivano al mercatino nei pressi

di viale Magna Grecia. Tanti ne scorrono

anche oggi.


Franco Presicci

La prima volta che andai alla Salinella cercavo delle chiavi vecchie: soprattutto quelle con il buco dietro, che, durante la mia adolescenza, riempivamo di teste di fiammiferi a legno, lasciando lo spazio per un chiodo da conficcarvi, legavamo uno spago alle due estremità, reggendolo, spingevano il congegno contro un muro e provocavamo uno scoppio. Un gioco che facevo quando difettava la sorveglianza della nonna, che di solito sferruzzava stando alla finestra. “E’ pericoloso”, cantilenava; e io facevo orecchio da mercante. Quando, ormai grande ed emigrato al Nord, seppi che alla Salinella la domenica si svolgeva un meratino delle pulci, durante i miei soggiorni a Taranto, ci andavo.

'a levòrie

Un giorno acquistai una decina di chiavi di ogni dimensione da aggiungere, nel box, alle altre cose di fronte alle quali mi soffermo con nostalgia quando sto per sedermi in macchina. L’oggetto che mi interessava più di ogni altro era però la “livoria”. Ispezionai ogni bancarella e non trovandovene traccia, interpellavo i venditori sperando che la potessero reperire. “Na’, e ci l’hà’ viste cchiù, ‘a levòrie?”. Ce stè’ arruccàte ‘mbra le zazzarèddere de ‘ngorchedune jè ‘nu meràcle; e no nge t’a dè’: pùre pe’ ijdde jè ‘nu recuèrde. Mìttete l’arne ‘mbàce, sìnd’a mmè?”. Un vecchietto basso, un po’ ricurvo, quasi calvo, mi si avvicinò guardingo e mi sussurrò: “Je sàcce addò pòzze acchiàrle e sàcce pure ca còste armène cìend’èure”. E promise che me l’avrebbe portata la settimana successiva. “Ne ‘ngundràm’acquà stèsse”. Ma dovetti ripartire e detti l’incarico a un mio parente, descrivendogli il tipo della persona e il luogo convenuto. Ricevetti promesse aleatorie e capii che dovevo rinunciare. Soprattutto le grosse sfere d’acciaio erano merce rara. Nel dopoguerra era più facile trovarle, perché venivano, mi dissero, dai cuscinetti delle ruote dei camion americani; ma oggi tutt’al più da un meccanico puoi ottenere palle di metallo molto, ma molto più piccole. E ne ho un bel po’. Spesso osservo le foto che compaiono su Facebook, con persone sui cinquant’anni o giù di lì e giovanotti con le la paletta di legno in mano pronti a lanciare la propria palla contro quella avversaria o verso “’a schìgghie”, tra le reti e le barche della città vecchia.

Taranto di notte
Sono immagini d’epoca, postate anche da Antonio De Florio, tarantino doc., in “Foto Taranto com’era”, facendole seguire da foto recenti, da video pregevoli e da cartoline illustrate di tanti anni fa, scovate chissà dove. Questi preziosi rettangoli di carta erano allineati anche sui banchi della Salinella, protette da buste di cellofane. E la gente vi si assiepava più che alle postazioni con “capase”, “vrascère”, “brustelatùre”, “scarfalìette” “‘na ‘ndìcchie sciangàte, “strecatùre”, “attacapànne”… C’era anche un banco disseminato di accendini di tutte le forme: sedie, poltrone, bombole, barattoli con la scritta “Coca Cola”, macchine fotografiche… Tra fumetti e libri da “souspense” della Mondadori (copertina gialla, autori Jean Sareil, Collin Vilcocs, Agata Christie, Freda Hurt…) capitavano testi scolastici importanti, come i due volumi della “Storia della Letteratura Latina” di Concetto Marchesi; e della “Letteratura Greca” del Perotti, a un euro ciascuno e, a 8, qualche vocabolario dell’Istituto Geografico De Agostini. E se si era fortunati, ci si poteva imbattere in un compagno di giochi di cui si erano perse le tracce, se non addirittura la memoria; o in un lontano parente. Mi capitò una domenica di sentirmi battere una mano su una spalla: “Sei…?”. “Sì, sono io”. “Io sono… Madò’, t’hàgghie sùbbete recanusciùte, no ng’jè cangiàte pe’ nìende… Tànda vòte t’hàgghie penzàte e decève ce sàpe ce fìne hà’ fàtte?”. E si ridestò un mondo di giochi di strada fatti assieme, “’u spezzìedde”, “le cinghe” pètre, le corse dietro il cerchio di legno spinto da una mazza; mentre riprendevamo lo slalom fra le bancarelle, arrivando a quello che proponeva gabbie e canarini.
 
All'ombra degli alberi, a Taranto
Alla Salinella ho trascorso parecchie ore, anche soltanto per curiosità. Passavo da un punto all’altro, sbirciavo la gente che acquistava e quella che consultava senza spendere, forse non per tirchieria ma per incertezza sugli oggetti esposti. Un giorno un signore imponente, barba e baffi umbertini, un bastone con il pomo a testa di lupo, occhiali scuri, giacca e cravatta, cappello di Panama, passo lento, una sorta di nobiluomo vecchio stampo, figura fuori posto in quel contesto, cercava un giocattolo di latta, con una rana a corda che girava senza mai uscire dalla pista. Lo aveva chiesto a un venditore che tra l’altro proponeva radio e radioline, fra cui una dotata di giradischi, di quelle che dopo la guerra aveva fatto ballare nelle feste in famiglia (si smontava il letto matrimoniale e si creava la pista) . Al signore fu risposto: “Ho tutto quello che vede, di latta: i due trenini che entrano e escono dalle due gallerie, il ragazzo che va in bicicletta, le farfalle… Tutto come se fosse nuovo”. Lui cercava proprio quello che aveva chiesto e basta. E riprese il passo con una lentezza da tartaruga. Pochi giorni or sono ho chiesto a un mio amico molto disponibile se mi poteva accompagnare alla Salinella. Volevo cercare una maschera antigas, di quelle che indossavano i capifabbricato al sibilo della sirena durante la guerra.
 
Concattedrale

“Il mercatino? Quale? Ah, quello della Salinella. Sono anni che non c’è più. Non mi domandare il motivo perché lo ignoro. Anch’io lo frequentavo, perché mi piacciono le ‘cipolle’, quegli orologi che i nostri nonni portavano sul gilet fra un taschino e l’altro: ne ho una piccola collezione, di scarso valore, di quelli che vendono gli extracomunitari. Qualcuno è fermo e non ho voglia di cambiare la batteria. Li ho comperati tutti lì, alla Salinella”. Mi è dispiaciuto. Ero attirato anche dall’ambiente pittoresco, dalla parlata dialettale…

Taranto
 
 
 
Il mercato dell’antiquariato che allestiscono ad agosto a Martina, è prestigioso, ben dotato, ma meno popolare, con venditori che arrivano da ogni parte e oggetti in buone condizioni: lo scrittoio o il cassone antichi, i lumi a petrolio decorati, le culle a dondolo…. E anche lì cartoline illustrate, libri, oltre a una vecchia moto e a un lampadario Liberty…. Anni fa era in bella vista una carrozza ben tenuta, bianca, la scritta “Non toccare”: un gioiellino, che mi ricordava quella che veniva ricoverata in un piccolo locale vicino casa mia, settant’anni fa, il cui conducente, quando passò ad altra vita, venne portato via con il carro dell’”Amore di Dio”, come diceva allora il popolino. La moglie, che qualche volta saliva con lui in cassetta, la chiamavano contessa per il suo modo di vestire. Sono molto legato a quel tempo e ai personaggi che lo popolavano. Ricordo i monopattini di legno che si facevano da sè i ragazzini (qualche sopravvissuto l’ho intravisto proprio alla Salinella); “’a cadàre”, in cui tra l’altro si cuocevano i pomodori per la salsa, quando le cucine erano in muratura, le “camastre”, “’a stadère”… Anche questi ho notato in quel mercatino aperto la domenica in una zona periferica di Taranto, detta ‘a Salinelle”.
 
Via Dante

Per me, che ero diventato forestiero (almeno così considerano gli emigrati alcuni tarantini), arrivarci era complicato: sostavo in viale Magna Grecia e da lì avevo bisogno della guida: mi sentivo sperduto, nella città che mi aveva visto nascere. Che amarezza! Pensavo: “Lo vedi? Questa non è più casa tua. Hai bisogno di essere portato per mano”. Sì, avevo bisogno di un cicerone.

Taranto-via D'Alò Alfieri
Dov’era, per esempio “’U Pezzòne”, dove andavo una volta con la fidanzatina? Dov’era quel sentiero che da viale Virgilio, all’altezza dei Salesiani, portava alla scogliera? Non riuscii neppure a trovare la via per il Galeso.
La cercai più volte; poi me la indicò un pastore che portava a spasso il gregge. Mi veniva da piangere. E’ cambiata in bellezza, la mia cittภma io ho perso tante strade, tanti luoghi dell’anima, della memoria. Del resto lo meritavo: dovevo pagare lo scotto per essermene andato via oltre mezzo secolo fa. Andare alla Salinella per me non era soltanto cercare, come un maniaco, cose che mi ricordassero giorni lontanissimi o soltanto vederle, e vedere le persone, le facce da cui risalire a un compagno di scuola, di giochi, di passeggiate. E mi veniva in mente “’a buàtte” messa capovolta nella terra con un pezzetto di carburo dentro, che facevamo scoppiare avvicinando un fiammifero al forellino praticato sopra. Andare alla Salinella era per me la ricerca di un mondo antico. “Zazzarèddere”, d’accordo, ma tra gli oggetti e la persona si crea un rapporto. “’U currùchele”, per esempio, anche se ammaccato per le “azzugnàte” che ha ricevuto, ti suscita ricordi, nostalgie. Quelle “azzugnàte” fanno anche pensare a quelle più forti, più profonde, più devastanti che moti prendono nella vita. I colpi di una palla contro l’altra nel gioco della “livoria”, gli spintoni, le gomitate, l’animosità tra chi corre per la carriera. “Recuèrde ‘u currùchele? Accussì’ me send’je”, mi disse un giorno un amico che sul lavoro veniva fatto girare a vuoto. Per alcune persone i giochi che si facevano un tempo sono paragonati a ciò che succede loro nella vita reale. “Erano altri tempi”, si dice. Alla Salinella sembra che io cercassi quei tempi soffiati dal vento.


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