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mercoledì 28 dicembre 2022

Oronzo Carbotti, maestro e scrittore



SAPEVA TUTTO DELLA SUA MARTINA LA STORIA, LE

TRADIZIONI, I COSTUMI

                                                 
 

Scriveva su “Umanesimo

della Pietra”, la rivista di

Domenico Blasi, detto

Nico, era sempre

presente alle conferenze e

ai dibattiti che si tenevano

in un bar del ringo, vicino

alla Basilica di San

Martino.

 

 

Donna Maruska Monticelli Obizi, nipote dell'ultimo duca di Martina con Nico Blasi e Oronzo Carbotti

 

 

Franco Presicci 

Arrivava quasi tutte le sere con passo da maratoneta a casa mia, nel centro storico di Martina; ci accomodavano in salotto e facevamo conversazione. Si parlava soprattutto delle abitudini e dei personaggi di una volta.

Oronzo Carbotti con Paolo Di Giuseppe
Dopo un’oretta, bevuto un caffè, uscivamo diretti alla sede di “Umanesimo della Pietra”, che allora era in un palazzo storico nel ringo. Continuavamo a scambiarci idee durante il percorso, sfiorando piazza Roma, e, appena arrivati a destinazione, commentavamo i fatti del giorno riportati dal giornale. Le “due chiacchiere” si allargavano e approfondivano, se ci raggiungeva qualcuno, e di tanto in tanto compariva Peppino Montanaro, accanito lettore e geloso custode di scritti non pubblicati di autori locali volati oltre le nuvole, conoscitore degli affreschi che impreziosiscono i saloni di Palazzo Ducale, lettore appassionato degli elzeviri di Gaetano Afelfra, al quale, come testimonianza della sua ammirazione, volle mandare in regalo un piccolo trullo realizzato da Peppino Cito, affidando il compito di postino a me. Quando mi trovavo tra questi due amici dalla memoria inossidabile, ascoltavo con interesse, considerando le loro parole briciole di storia della città.
 
Carbotti, Lino Colucci, Vito Plantone, la m oglie e un'amica
Poi arrivava Nico Blasi, direttore di “Umanesimo”, e cambiava la musica, perché Nico aveva da confezionare la rivista e non aveva tempo per pensare ad altro, anche se era, ed è, capace di friggere il pesce e guardare la gatta. Allora passavo parecchi mesi a Martina, quindi la casa di “Umanesimo” era la mia mèta quotidiana, e ogni volta che la raggiungevo apprendevo qualcosa in più sulle masserie, sulle antiche famiglie e su personalità passate, come si dice, a miglior vita. Nico, persona coltissima e disponibile a trasmettere pezzi del suo bagaglio a chi è interessato, aveva una strana arnia, a spirale, su uno scaffale. Oronzo e io lo seguivamo nei luoghi dove teneva dotte conferenze: in una chiesa o nel Caffè del Ringo, da lui trasformato in una specie di caffè letterario, tipo il “Gambrinus” di Napoli, dove D’Annunzio scrisse “’A vucchelle”. Oggi parlava di briganti, domani dell’antica funzione del tratturo, o di qualcos’altro nel Trullo Sovrano di Alberobello o nella chiesa di San Francesco o alla Rotonda. Nell’aula di medicina legale dell’università di Bari, presentò “Raccolta di segreti medicinali del signor Lemery - trascrizione di fine Ottocento di un guaritore della Murgia”, tradizioni Umanesimo della Pietra.
 
Oronzo Carbotti

Vicolo di Martina innevato
Oronzo Carbotti era sempre attento, e alla fine commentava con sapienza ciò che era stato detto. Scriveva su “Umanesimo”, e ricordo i suoi articoli sui mestieri scomparsi, come “’ u farceddère”, l’uomo del bosco; “’u carpentiere”; i legnaiuoli; i trainieri: il pastore… a Martina Franca. Ricordo anche un suo scritto sulle campane tra le protagoniste della vita nella vecchia città e un altro sulle radici del nostro Natale: “Passavano i mesi e giungeva pure il brumale dicembre, chke secondo il calendario dei martinesi d’altri tempi era, propriamente ed esclusivamente, detto “’u mèse de Natèle”. Allora era anche il tempo di estrarre “da casce” “a capputtèlle” per fronteggiare il primo freddo, che si faceva sentire secco e pungente. Col sempre benevolo aiuto di San Martino”… Sulla più bella festa dell’anno Oronzo ci dice tutto, scrupoloso com’era e amante del dettaglio. “Si cominciava col tenere un ceppo sempre acceso nel camino, che, secondo uno slogan dei giorni nostri, “creava un’atmosfera”. E continua accennando alle donne, che alle 5 del mattino, dal 6 al 24, quando i vicoli e le stradine erano ancora avvolte nel buio, avviluppate nel “fazzuttone, quasi come cortei di fantasmi, si dirigevano alla chiesa più vicina, di solito San Domenico, per assistere al rito di “nove lampe”. I ragazzi più abbienti liberavano la loro fantasia nell’elaborare il presepe, popolandolo con le statuine eseguite da veri artisti o dal figulo Giuseppe Petrosino, a cui era stato accollata l’etichetta di “Peppene a cerne” perché girava per il paese offrendo “sapone mudde” in cambio di cenere. Il presepe - ancora Oronzo Carbotti - veniva confezionato anche in un angolo delle barbierie, e anche se non erano proprio opere d’arte, come quelli di Pasquale Brescia che ci metteva il cuore e le mani d’oro, erano motivi di vanto.

Originale presepe a Martina in piazza
Il presepe, bene o meno bene allestito, è sempre incanto, magia, spettacolo, paesaggio, luce, fascino. Nelle strade si diffondeva un profumo di dolci: “carteddet”, “pettule”, da mangiare calde a volte bagnate nel vin cotto. L’autore non si ferma all’elenco dei dolci che concludevano il pranzo natalizio. Dice anche come si confeziovavano, gli elementi che si utilizzavano, i contenitori da usare. Oronzo, o Ronzino come gli amici lo chiamavano affettuosamente, a Martina Franca era noto e apprezzato. Era stato maestro elementare, e maestro lo chiamavano gli ex scolari, quando lo incontravano. Perché tale era ancora per loro. Un fotografo che aveva il laboratorio su via Taranto, se era sulla soglia e lo vedeva all’altezza del negozio di erboristeria di Giorgio Di Presa, già si preparava al saluto. “Il maestro Carbotti? Per me la scuola era lui. Non avrei voluto un maestro diverso”, mi disse un giovane che lo adorava. Era un uomo colto. Studioso delle tradizioni di Martina. Pensai a lui un pomeriggio in cui incontrai un capraio quasi sulla vecchia strada per Noci. Aveva un gregge numeroso che cercava di sparpagliarsi e l’uomo, sui cinquant’anni, con un fischio lo rimetteva in riga.

Il gregge
Pensai a Ronzino e all’articolo che aveva scritto su “i caprèr”: “una realtà del passato divenuta quasi leggenda”. Ancora: “In ogni tempo e con ogni tempo, a giorno ormai fatto, quando già il sole ad oriente ‘je dò cann’ sopra l’orizzonte, attraverso le vie della vecchia Martina ‘u caprèr’ spinge in fretta il suo piccolo gregge di capre, precedute da ‘u magghier’ (il becco) dallo sguardo serio e severo, verso i viottoli di campana ai margini dei quali cresce rada, magra, una profumata erba…”. Oronzo Carbotti era anche esperto di dialetto. In alcuni articoli metteva in evidenza “il riscontro nel diletto dell’inventiva e della precisione dei martinesi e il significato poetico che il dialetto assumeva, rinfrancando lo spirito e alleggerendo la stanchezza”. E aggiungeva: “Alla precisione del linguaggio faceva riscontro altrettanta precisione e puntualità nella vita di relazione e nelle abitudini individuali… Queste doti erano motivo di orgoglio… e dalla stessa dote dipendeva prevalentemente la stima e la considerazione nel giudizio degli altri…”. Ricordo ancora “Vél chiù sé a parol, ca na scr(e)tteur”.
 
Carrettiere
La precisione nel linguaggio e nella vita. Lui era infatti preciso e puntuale. Non apprezzava chi prendeva gli appuntamenti con leggerezza e chi era arrogante, menefreghista, maleducato. A scuola, agli scolari non aveva soltanto insegnato la grammatica e le frazioni, ma aveva dato loro lezioni di vita: aveva davvero formato futuri cittadini. Un mezzogiorno d’agosto di tantissimi anni fa, mentre ero con lui nel salottino dei suoi bellissimi trulli, che si trovano entrando nel tratturo a sinistra dopo la Cantina, sulla via per Locorotondo, bussò Benvenuto Messia, che dopo i convenevoli, chiese di poter leggere una sua divertentissima poesia sul naufragio di un matrimonio e sulla condizione dell’uomo sostituito da un altro nell’alcova. Di solito i versi in vernacolo di Benvenuto suscitano risate a crepapelle e quella fece lo stesso effetto. Benvenuto è anche un attore raffinato (ha partecipato a film con Lino Banfi e Luisa Ranieri, Sabrina Ferilli e Laura Chiatti), e quando declama sa accompagnare sapientemente il gesto alla parola, armonizzare l’espressione del viso e il movimento delle mani. Oronzo lo invitò a recitarne altre e Benvenuto non si fece pregare.
 
Particolare del Presepe di casa Presicci
L'ulivo saraceno
 
Oronzo Carbotti non c’è più da qualche anno. Quando seppi del suo “congedo” – me lo disse la figlia, che è una brava professoressa, all’uscita dal negozio del fruttivendolo albanese, vicino alla stazione – fu come se mi fosse caduto un sasso sul cuore. L’anno prima avevo incontrato il figlio Martino, avvocato, alla festa della Madonna della Consolata, che si svolge in fondo a via Papadomenico, a destra su via Mottola, al quinto chilometro; e mi aveva detto che stava bene, nonostante l’età avanzata. Mi mordo le mani quando penso che per qualche anno non sono andato a fargli visita, in campagna, dove lui in estate soggiornava ogni anno con la moglie e i figli. Ora, come in un film, fluiscono spesso tanti ricordi: le passeggiate nelle vie di Martina, attraverso il groviglio di vicoli che portano da casa mia (che non ho più) fino al ringo, in quel palazzo antico che ospitavano “Umanesimo”; i suoi racconti della Martina di un tempo ormai lontano; la figura di don Martino Calianno, mio zio (morto ne ‘62) ,canonico penitenziere della Basilica, con la campagna sul Chiancaro, oggi zona residenziale; gli usi e i costumi di un’epoca quasi dimenticata ovunque: quella in cui i giovani si acculavano in piazza ai piedi dei vecchi e li ascoltavano, considerandoli pozzi di esperienza, mentre oggi quasi li vorrebbero rottamare. Perso a Oronzo Carbotti anche quando mi vengono in mente le passeggiate cicloturistiche del plenilunio d’agosto, che partivano da Villaggio In e si concludevano a una masseria, dove Nico Blasi, organizzatore con il notaio Aquaro, illustrava la storia e le caratteristiche architettoniche della struttura. Ronzino mi ricordava il maestro Manzi, che formava gli spettatori dalla televisione in bianco e nero. Oronzo mi ha insegnato tante cose. Un giorno, sapendomi adoratore dell’ulivo saraceno, quello dallo zoccolo possente, monumentale, mi portò dalle parti di Ostuni per mostrarmi alcuni magnifici esemplari. Uno di questi strisciava sul terreno, un altro aveva le zampe da elefante, un altro ancora era così grande che occorrevano dieci persone per abbracciarlo. Colse per me un rametto di carrubo, albero dominante nella mia campagna con i suoi frutti che sembrano orecchini. 

ATTENDENDO IL NUOVO ANNO AUSPICHIAMO, PER I NOSTRI LETTORI, PACE E BENESSERE.

                     La Redazione








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