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mercoledì 15 febbraio 2023

Ibrahim Kodra, “un uomo di confine”

Kodra su uno degli ultimi barconi
UN ALBANESE CHE AMAVA

MILANO MA ANCHE PALERMO 

E POSITANO

 

Andava in giro dal centro ai navigli.

soprattutto a piedi, soffermandosi

davanti agli edifici storici e alle case

dei protagonisti della letteratura.

Era curioso, colto, affabile,

disponibile.

 

Franco Presicci

Sabato 7 febbraio 2006 ci lasciò Ibrahim Kodra. Sabato 11, dalle 10 alle 17, il grande pittore albanese è stato ricordato nella sua Casa-museo, in piazzale Lagosta 2, al sesto piano. Hanno preso la parola amici, pittori, professionisti, imprenditori, comuni cittadini, per i quali l’artista è ancora presente. Lo è anche per me, che gli fui molto vicino, scrivendo sui giornali e parlando di lui anche davanti alle telecamere, soprattutto a Telemontepenice, in varie occasioni, come la mostra del ceramista Giuseppe Rossicone in un’importante galleria di via Solferino, dove di solito esponeva Salvatore Fiume.

Casa-museo Kodra

Con Ibrahim, tantissimi anni fa, feci anche lunghe passeggiate per le strade di Milano, da piazzale Lagosta 2, dove abitava in un appartamento già usato da Antonio Ghiringhelli, sovrintendente alla Scala, a via Lanzone, via Caminadella, via Cesare Correnti, e lungo il Naviglio Grande. Facevo fatica a seguirlo: in gioventù era stato campione di lancio del disco nel suo Paese, l’Albania; aveva fatto tanta pratica sportiva; alla sua età conservava un fisico d‘atleta: e aveva ancora un passo da maratoneta. Ogni tanto qualcuno lo riconosceva e gli chiedeva l’autografo. Durante il percorso si mostrava interessato a tutto e osservava le tavolozze vegetali dei fruttivendoli; il pullman che arrivava alla fermata provocando ampi baffi d’acqua per la pioggia del mattino presto; il prete in clergyman che zoppicava per una scarpa orfana di un tacco; le sopravvivenze di edifici famosi, come la Pusterla dei Fabbri; un palazzo o una via storici; un luogo che era stato teatro di un avvenimento importante; un monumento: uno in particolare, quello di piazza della Scala impacchettato da Christo Javaceff... In viale Coni Zugna m’indicò addirittura il locale che aveva ospitato il negozio di dischi di Arturo Testa, il cantante di “Io sono il vento”. Era informatissimo. Chissà quante volte aveva fatto quei tragitti. Da solo. Amava sgambare per la città, non solo per tenersi in forma, ma anche per curiosare ed esplorare.

Palumbo e Kodra
In via Bigli una mattina entrò nel cortile della casa di Eugenio Montale, scambiò due parole con la custode, e in via Morone si fermò davanti allo stabile del salotto letterario della famosa contessa Clara Maffei (1814-1886), frequentato dai nomi più celebri dell’arte, della letteratura, della musica, dando un’occhiata all’Antica Barbieria Colla del tonsore-scrittore Franco Bompieri. Un passo dietro l’altro conversando. Io preferivo domandare e aspettare risposte. Ogni tanto Kodra rispolverava i tempi di Brera, del bar Giamaica, della latteria delle pie sorelle Pirovini, che nei primi anni della sua permanenza a Milano, quando non era abbastanza noto, quindi senza il mercato necessario per vivere, gli facevano credito, non respingendo neppure la coda dei suoi amici e colleghi, che caricavano il loro conto sul suo: Kodra, eroe della solidarietà e dell’amicizia vera. A Brera, all’epoca, conosceva tutti: pittori, scrittori, critici teatrali, cinematografici, musicali, come Giulio Confalonieri, che spesso attirava l’attenzione andando verso le osterie sottobraccio ai “clochard”, categoria sulla quale scrisse anche un libro, oggi quasi introvabile. Sentire parlare Kodra di Brera era piacevole e interessante per conoscere meglio l’uomo e la storia dei luoghi.

Bertuzzi

Sapeva creare l’atmosfera dell’epoca di Arturo Carmassi, di Tancredi Parmeggiani, di Pietro Cascella, di Luca Crippa, Pietro Manzoni, Lucio Fontana, Marco Valsecchi, Salvatore Quasimodo, Uliano Lucas… Gli anni ’50. “Adesso dobbiamo andare sul Naviglio Grande. Voglio ammirare il suo corso dal ‘pont de preja’”. Me lo disse con il suo solito tono pacato, confortante, da padre cappuccino. “Dobbiamo passare dal vicolo dei Lavandai, per salutare il pittore Guido Bertuzzi”. E appena fummo vicino alla tettoia - sotto la quale scorre il “ricciolino”, un rivolo d’acqua che fugge dal Ticinello (il Naviglio Grande) - da una scolaresca con due giovani e belle maestre impegnata a capire la città, si levò un coro: “Kodra, l’artista di Tirana!”. E lui si trovò al centro di una siepe umana improvvisamente agitata come scossa dal vento.

Naviglio grande

Il Naviglio Grande lo affascinava. Lui indicava tutti gli studi dei pittori: di Formenti, di Cottino, di Sarik, di Spampinato… Era attratto dai cortili fioriti, dai comignoli, dalla storia di quella strada liquida, come diceva il poeta Alfonso Gatto. A una festa del Naviglio, ai primi di giugno, ci andammo seguiti dalla “troupe” di Telemontepenice, un’antenna di Pavia. L’operatore lo invitò a salire su una chiatta, una delle ultime ad attraversare il canale fino alla darsena, e il grande Kodra accettò, salutato a gran voce dalla gente del Ticinello, pieno di fiori sull’alzaia, sulla Ripa e la voce di un barbapedana, cantastorie, che raccontava glorie e tragedie di quel posto, sempre presente nei libri dell’architetto Empio Malara, che tra l’altro aveva progettato un “bateau mouche” dalla linea elegante e moderna.

Rossicone, Kodra, Alto
Poi, la “troupe” ci lasciò per tornare in sede e noi due fagocitati dalla folla che si muoveva come i confratelli a Taranto alla processione dei Misteri, arrivammo fino alla chiesa di San Cristoforo, la superammo per imbucarci nel cortile del Centro Incisioni d’arte di Gigi Pedroli, grande acquafortista e cantautore. Io, quando nella moltitudine incollata si apriva un piccolo varco, sgattaiolavo lanciando lo sguardo alle bancarelle nella speranza di poter acquistare il vetro di un lume a petrolio (ah, il lume a petrolio che illuminava per quel che poteva il mio abecedario!). Fu Kodra, occhio di lince, ad intercettarne un paio fra altri oggetti datati su un banco coperto da un ombrellone grande quanto un paracadute. Avevamo già lasciato la “kermesse”, quando gli chiesi di raccontarmi qualche episodio fra i tanti capitatigli nei primi anni milanesi; e lui, che non si faceva mai pregare quando era coinvolto in questo argomento, cominciò a snocciolare, non perdendo di vista le curiosità che si succedevano sotto gli occhi in quel momento: “Una notte del dopoguerra. in via Ponte Seveso, due banditi dalla faccia feroce mi puntarono una pistola intimandomi di consegnare il denaro in mio possesso. ‘Il denaro? Perquisitemi e prendete tutto quello che trovate’. ‘Tiralo fuori tu!’. ‘Non ne ho, sto a stento in piedi per la fame che ho da due giorni’”. Recitò alla grande. Gli credettero e lasciandolo andare gli regalarono cinque lire.

Franco Di Bella e il sindaco Tognoli
Era bravo a narrare; e rispolverando le sue storie, rideva, divertito. Giunti in piazzale Lagosta, mi fece salire e mi regalò una raccolta di articoli sulla sua vita e sulla sua arte, pubblicata da Edizione d’arte “La Tela”, che proprio in questi giorni per affetto e simpatia ho riguardato. E ho riletto “Gli eremiti della pittura”, di Marco Valsecchi; “Sui muri di Ustica affreschi di Kodra”: un commento di Paul Eluard del ’47: “Kodra è il primitivo di una nuova civiltà”; ”Geometria diventa favola”, di Mario Lepore; “I nuovi disegni di Kodra: da acque e da vetrate salgono sfingi di gesso”, di Leonardo Vergani; “Kodra un uomo di confine”, di Vindice Ribichesu, “ibrahim kodra piktori me i madii shqiptar” di H. H. Oxhad… e due lunghissimi articoli miei, che cercavano di penetrare nell’anima del personaggio. Oltre a tanti brevi “pezzi” redatti in occasione di premi e di mostre come quella del ’72, collettiva in omaggio ad Aldo Carpi: quasi la storia di una vita. ”Ti do due copie, una consegnala a tuo figlio Gianluca, perchè la conservi assieme al ritratto che gli ho fatto”. “Quello è già in cornice”. Sorrise. Andavo a trovarlo un paio di volte la settimana. E se non mi vedeva arrivare, mi telefonava. Una sera lo invitai a cena a casa mia e per un po’ stette in silenzio. Poi i commensali lo sollecitarono e lui ridisegnò il giorno (non aveva forse nemmeno 20 anni), invitato a tenere un discorso, si schermì dicendo che non conosceva la nostra lingua; e poi, incalzato, parlò in albanese contando da uno a 100 (qualcuno dice 300), intervallando la numerazione con le uniche parole in italiano che sapeva: “duce”, “Mussolini”, “fascismo” e qualche altra, e fu sommerso da una valanga di applausi. Riusciva sempre a dominare il palcoscenico, e i presenti ne gioivano. Aveva un bagaglio di storie vissute da fare invidia e un modo di sciorinare alla Piero Chiara.

Chechele Iacubino
Poteva reggere una serata e non stancare l’uditorio. Raffaele De Grada, critico e storico dell’arte, lo stimolò anche in una delle riunioni della giuria al ristorante “La Porta Rossa” di Chechele e Nennella per la scelta del candidato al Premio Milano di Giornalismo, in un momento in cui si stavano accendendo polemiche arroventate. E così, anzichè all’una andammo a letto alle 3. Il più agguerrito era Paolo Mosca, che aveva appena pubblicato il suo libro “Il biondo”. “Pausa. Serve un bicchiere”, esclamò De Grada. E con il bicchiere si calmarono le voci. Ibrahim era il presidente della giuria del Premio. Lo avevano voluto tutti: Sebastiano Grasso, lo stesso De Grada, il pittore Filippo Alto, il gastronomo Vincenzo Buonassisi, Giuseppe Giacovazzo, Mario Oriani, Vincenzo Migneco, grande pittore anche lui, Edoardo Raspelli, che conduce su Canale 5 trasmissioni agresti notissime e apprezzate, Ugo Ronfani, Baldassarre Molossi, che arrivava da Parma, sempre puntuale. E durante la serata di consegna sedeva tra il vincitore e il sindaco Carlo Tognoli. Nella seconda edizione vennero premiati Franco Di Bella, direttore de “Il Corriere della Sera”, e Alberto Cavallari, allora corrispondente da Parigi della stessa testata di via Solferino. “Vie nuove”, nella rubrica curata da Davide Laiolo, molto tempo prima aveva titolato: “Un albanese per le strade di Milano.

Kodra in vicolo dei Lvandai
La semplice, tenace magia di Kodra rintraccia le scaglie luminose dei vecchi mosaici bizantini”. Statura media, sagoma possente, un volto fortemente espressivo, occhi color antracite, coppola in testa, spesso andava a sedersi al bar di via Pola, due passi da casa. E non riusciva a sorseggiare una tazza di caffè senza che qualcuno si fermasse per fargli domande, per salutarlo, per rivolgergli un sorriso o per sussurrare al vicino: “Hai notato? Quello è Kodra, l’artista dei totem, dei suonatori”. Era gentile, alla mano con tutti, parlava con chiunque lo interpellasse. Ibrahim era molto colto e al corrente anche dei fatti della vita quotidiana. Amava Milano e amava Sicilia, che lo ispirò in tanti quadri; amava Palermo e Positano; e la Puglia. Di lui hanno scritto in tanti: Guido Ballo, De Grada, Paul Raphael, Hans Kinkel, Mario Stefanile, Maurizio Chierici, Gualtieri Jacopetti… Osservando viale Zara (lunghissima quanto un’autostrada) dalla finestra del suo studio, sembra di essere al timone di un transatlantico). In quella stanza lui riceveva amici, conoscenti, galleristi, collezionisti, giornalisti, fotografi di quotidiani e settimanali, stando seduto su una sedia tra la scrivania e la libreria. Quando morì, nel 2006, una televisione albanese mi invitò a parlare di lui e davanti alle telecamere non riuscii a trattenere l’emozione. Lo stesso qualche altro che parlò dopo di me. Vicino a noi c’era Fatos, che adesso tiene vivo il nome del grande artista albanese anche attraverso un museo dedicato a lui. Nato nel ’18, si era trasferito a Milano nel ’38. Mi capita spesso di ripensare a Ibrahim Kodra: un amico, un fratello maggiore. Sabato scorso sono tornato nella sua casa per parlare di lui e lo vedevo seduto a quella scrivania.








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