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mercoledì 19 luglio 2023

Quando a Milano c’erano le bische

Tanti anni fa la bisca in piazza Tirana
VIA PALMANOVA ERA UN FORTINO

SI GIOCAVA ANCHE IN LUOGHI CHIUSI


Un giocatore s’impegnò la moglie e

un altro la tredicesima della figlia.

Un servizio per la trasmissione con

Davide Riondino su Raitrè, realizzato

all’alba. Milano cambia faccia e dove

una volta rotolavano i dadi zampilla

una fontana.

 

 

 

Franco Presicci

Una struttura decrepita, scheletrica, tetra. In una via stretta, grigia, quasi deserta, che sfociava in un’arteria molto trafficata. E oggi modernizzata. Era incastrata fra due stabili dignitosi, tranquilli. Le scale non c’erano più: trasformate in uno scivolo per bambini. Al primo piano, una porta blindata.

Interno stazione

Chi si avventurava nell’androne, se così si poteva definire quello spazio consunto, si chiedeva che cosa ci potesse essere oltre quella difesa. Quando con la mia “Graziella” peregrinavo per Milano con lo scopo di scoprire novità e curiosità da raccontare, in quel budello ero capitato un paio di volte. Poi un giorno un conoscente mi sibilò che all’alba del giorno successivo la Squadra Mobile, avendo ricevuto una soffiata, sarebbe andata a controllare. Il mio interlocutore aveva captato la notizia al bar di fronte alla questura da due poliziotti che sorseggiavano un caffè“, non immaginando che il loro dialogo, sia pure sommesso, potesse essere… intercettato. “Se mi fai sapere l’orario preciso, ti ringrazio”. “Lo conosco già. Alle 5. Spunteranno una ventina di agenti guidati da un maresciallo”.

Fontana di piazza Tirana
Chi si avventurava nell’androne, se così si poteva definire quello spazio consunto, si chiedeva che cosa ci potesse essere oltre quella difesa. Quando con la mia “Graziella” peregrinavo per Milano con lo scopo di scoprire novità e curiosità  da raccontare, in quel budello ero capitato un paio di volte. Poi un giorno un conoscente mi sibilò che all’alba del giorno successivo la Squadra Mobile, avendo ricevuto una soffiata, sarebbe andata a controllare. Il mio interlocutore aveva captato la notizia al bar di fronte alla questura da due poliziotti che sorseggiavano un caffè“, non immaginando che il loro dialogo, sia pure sommesso, potesse essere… intercettato. “Se mi fai sapere l’orario preciso, ti ringrazio”. “Lo conosco già. Alle 5. Spunteranno una ventina di agenti guidati da un maresciallo”.

La stazione San Cristoforo

Non avevo ancora esperienze di bische, quindi non sapevo che la polizia, entrata usando una parola d’ordine, che evidentemente si era affrettata a scucire a un confidente, doveva identificare ad uno ad uno i presenti, controllare le loro dichiarazioni tramite il cervello elettronico di via Fatebenefratelli e poi seguire le altre pratiche previste dalla legge. Fallito il tentativo d’intrufolarmi anche a causa della porta di ferro chiusa e della mia incapacità di smaterializzarmi, mi detti da fare per trovare un’anima buona disposta a darmi qualche osso da spolpare. E qualche dettaglio l’annotai. Un cardellino mi riservò un canto e io potetti prendere nota: proprio alle 6 del mattino il gestore della bisca scodellava per i giocatori affamati un pentolone di spaghetti, versando su del sugo contenuto in una scatola; e che alle pareti erano appesi quadri realizzati da pittori della domenica.

Giambellino

Eravamo, credo, nel ‘78 e quella era, come detto, la prima bisca di cui mi occupavo da cronista avido e instancabile. Le bische, o “belande” o “rondinòn”, come si chiamano questi luoghi nel gergo della malavita, a quei tempi a Milano, e non solo, erano tante. Annidate per lo più in locali che davano sulla strada mascherati con l’insegna di circolo culturale; o all’aperto, rumorosamente. Passò il tempo, i miei amici si moltiplicarono e aumentavano le pagine della mia antologia sull’argomento.

Una, all’aperto, era sotto un cavalcavia, dotata di sentinelle in punti strategici, così se veniva avvistata una “pantera”, un segnale calato nella ricetrasmittente la faceva evacuare. Mi accompagnarono nel fortino quando era stato definitivamente smantellato. Vi trovai tre o quattro persone che curiosavano; e una donna sui sessanta, vestita di nero che raccoglieva come fossero lumache gli scarti del gioco: tantissimi dadi, che infilava in un sacchetto di plastica.

All’epoca, a volte in piena notte mi sono piazzato ai bordi delle bische all’aperto in piazza Tirana e all’Arena, osservando le facce, i gesti, le espressioni, i gestii di rabbia per l’accanimento della sfortuna.

Il tram 14 che sfiora piazza Tirana

In una di queste occasioni era con me una collega del “Corriere della Sera”, Benedetta De Micheli, fiorentina bravissima anche a impallinare i concorrenti. Era più alta di me mezzo metro, e i miei compagni di viaggio, i colleghi di cronaca del “Giorno”, che amavano prendermi in giro, affettuosamente, appesero a una colonna del salone in cui scrivevamo, telefonavamo e ricevevamo chiamate, una foto che mi ritraeva con Benedetta aggiungendovi la scritta: “Franco non è all’altezza del “Corriere”. Sicuramente c’era lo zampino di quel buontempone del vice capocronista (poi vicedirettore) Giulio Giuzzi (mi chiamava Franchine), che quando me ne andai in pensione mi invitava a scrivere articoli d’appoggio, una volta per la morte del compianto pubblico ministero Francesco Di Maggio, un’altra volta per la morte di un membro della banda autrice della famosa rapina di via Osoppo, che finì in un libro sui fatti criminali più clamorosi.

Inquilini delle bische non erano soltanto elementi dalla malandra, ma anche gente normale che sfidava la dea bendata, rimettendoci le penne. Su quel mondo circolavano molte voci. Si raccontava per esempio che un tale si era giocato la moglie e un altro la tredicesima della figlia. I familiari scrivevano lettere alla polizia, chiedendo di essere salvati dal disastro. Una signora disperata, dissanguata dal vizio del marito, scrisse anche a me al giornale. Mi riferirono tra l’altro che in una bisca al chiuso un cinquantenne con una tuta macchiata di calce, pregò il maresciallo di lasciarlo andare, perché lui era lì non per giocare ma per riscuotere il ricavato di una giornata di lavoro da un cliente che gli aveva dato appuntamento in quel posto. Sceneggiata? Richiesto di indicare la persona interessata, si mostrò confuso.


Ex imbarco auto sui treni

Per un servizio su Raitrè, (“Fuori orario”, condotto da Davide Riondino,) una sera piombai con la “troupe” in una belanda in un mezzanino del metrò. L’operatore, riprese la polizia che prendeva le generalità dei presenti e i presenti che tentavano di giustificare in vari modi la loro presenza. Il gioco? Quando mai. “Io ero uscito per comperare le sigarette e per caso mi sono trovato in questo casino”. Un altro: “Maledetta insonnia, per sua colpa mi trovo qui, fra questa siepe umana”. Un altro: “Sono un fabbro, vi pare che io possa avere soldi da buttare?”. Il servizio fu trasmesso la puntata successiva con un Riondino perplesso, ignorando tutto di quell’ambiente. E mentre io commentavo le immagini, parlando dei frequentatori delle “belande”, della loro storia, dei casi umani, lui guardava rapito. Avevo anche agganciato il caporione (lo si capiva dall’atteggiamento), e gli avevo fatto qualche domanda, alle quali, mostrandosi sdegnato, rispose: “Bisca, questa? Vogliamo scherzare? Poco lontano da qui troverà qualche altro gruppo appena uscito da un’osteria che di solito chiude tardi o da un locale notturno. Li vuole mettere nei guai segnalandoli come biscazzieri? Ma che discorsi sono?”. Non era il caso di replicare.

La fontana

Una mattina dalle parti della stazione Centrale feci domande a un personaggio che reggeva il gioco delle tre tavolette, e mi rispose: “Gioco d’azzardo? Lei, se ha l’occhio svelto può seguire il movimento delle mie mani e intercettare la carta vincente. Occorre solo abilità”. Improvvisamente un suo “apostolo” gli sussurrò: “La polizia!” e lui come un fulmine smontò il tavolo e scomparve tra la folla.

Una bisca al chiuso era in un bar della zona Corvetto. A mezzanotte il locale abbassava la saracinesca e cominciavano le danze. Un sottufficiale venne a sapere del movimento e aspettò il momento giusto per far saltare il banco, con i suoi uomini. Controllando i documenti d’identità si scoprì che erano tutti sudamericani di Santiago del Cile che viaggiavano molto sui mezzi pubblici: dalle loro tasche volarono infatti tanti biglietti dell’Atm e nessuno di loro potette dimostrare il lavoro che diceva di svolgere. Dichiaravano di essere rappresentanti della stampa del loro Paese e mostrarono anche un tesserino, naturalmente artefatto.

Uno di loro aveva la chiave di un’auto e non sapeva indicare il punto preciso in cui l’aveva parcheggiata.

Piazza Tirana oggi
 Allora un brigadiere riuscì a individuare il posto, aprì la vettura, di grossa cilindrata, la ispezionò, ma non trovò niente di illegale. Si appurò che erano borseggiatori che agivano sui tram e sui treni della metropolitana, nelle ore di punta, quando i mezzi sono più affollati, quindi luogo ideale per i colpi dei “farlocchi” o “mani di velluto”, che agguantano il portafogli soprattutto quando il mezzo frena bruscamente (è una delle tecniche). Ai giorni nostri sono impegnate in questa attività anche ragazze sui vent’anni o trenta, ben note agli uomini della sicurezza. Sono scaltre, sfrontate, pericolose.
   Ora non so se le bische esistano ancora, a Milano. Quelle di una volta certamente no. Piazza Tirana, dove le belanda era attiva dalle 14 alle sei del mattino, è scomparsa e la piazza ha un altro aspetto: bene arredata e con tanto di fontana zampillante e giardini. Stanno per essere abbattute le case minime di via Giambellino e non so se saranno sostituite daparchi o da nuove costruzioni. Milano cambia, si fa più bella. Dispiace soltanto che i vecchi negozi chiudano, come l’antica merceria che stava quasi all’angolo. Chi arriva a Corsico seduto sul jumbotram 14 o a piedi o in bicicletta da piazza Napoli forse sente ancora cantare Giorgio Gaber.

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