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mercoledì 12 luglio 2023

Sempre mèta di molti visitatori

LA FORNACE DI ALBERTO CURTI

E’ UN GIOIELLO DA AMMIRARE

 

Curti davanti alla produzione della fornace

Di fronte all’ingresso di via Walter

Tobagi, su un’altana, si stagliano i

busti di Leonardo e di Benedetto

Croce. Alle pareti, appesi stemmi di

grandi famiglie, fregi architettonici e

nel cortile vasi di ogni dimensione e

altre opere. Anche da qui è passata

la storia di Milano.


Franco Presicci 

Il cortile della fornace
Gigi Pedroli
Tanto tempo fa andavo alla Fornace Curti, in via Water Tobagi, due passi dalla chiesa di Santa Rita, e spesso nel cortile incontravo Alberto, il titolare, con il quale mi fermavo a conversare. Soltanto una decina di minuti. Per la verità, parlavo quasi sempre io, perché lui preferiva ascoltare e qualche volta annuiva. Poi salivo le scale fino agli studi per visitare i miei anici pittori e scultori, cominciando da Riccardo Saladin in arte Sarik, genovese, e Gigi Pedroli, milanese doc, eccellente acquafortista con torchio sull’alzaia Naviglio Grande, vicino all’enorme negozio di divise militari di Graziana e Paolo Martin. Alla fornace si respirava e si respira un’aria che sa di antico, avendo il luogo origini che risalgono al ‘400. Ne avevo letto la storia e scritto un capitolo in uno dei libri della Celip di Nicola Partipilo, il libraio di viale Tunisia, che non per sua volontà ha spento le luci e con una stretta al cuore abbassato definitivamente la saracinesca. Entrando nella Fornace (l’altro ingresso, poco usato, è in via Gattamelata) non potevo non ammirare il banano sulla destra e i grossi busti di Leonardo e Benedetto Croce, che sembrano vigilare sull’ambiente dall’altana di fronte. Colossi in vita e nella terracotta, messi quasi a guardia della vita odierna e passata del complesso. Ho un amore particolare per la vecchia Milano e per questa Fornace, amore che m’ispirò un’iniziativa di letteratura e di musica: la presentazione di un volume della Celip con fotografie anche a piena pagina di Mario De Biasi, un pilastro della rivista “Epoca”, che lo mandava in giro per il mondo per riprendere curiosità e bellezze. Al termine dei commenti sul volume, Gigi Pedroli imbracciò la chitarra e si mise a cantare i suoi brani sui barboni, sulle giornate sull’alzaia e sulla ripa all’epoca in cui erano abitate prevalentemente dai meridionali, e sul canale, che inizia il suo viaggio dal Ticino e corre verso la darsena, da dove parte un altro naviglio: il Pavese.

La Fornace

Ho scritto tanto della Fornace, dei suoi cotti, dei suoi tetti, dei figuli che sagomano vasi ed opere pregevoli. Qui trovavo un’atmosfera diversa da quella del resto della città. Mi attiravano il silenzio, la tranquillità, la pace e le opere con tema le cascine di Giuliana Consilvio e la Milano antica, scomparsa, di altri artisti, oltre che i loro manufatti in argilla. Giuliana si ispirava alle strutture rurali ancora attive, immerse nella campagna o sulle sponde dello stesso naviglio fra distese di verde. La mia mentre andava a quelle demolite dal piccone, perché ormai ridotte pelle e ossa.

La Fornace è anch’essa una cascina, che grazie alla sensibilità del titolare è sempre un gioiello, ma proprio di fianco a questa ce n’era una che a poco a poco era diventata un rudere in attesa di essere demolita. Vedendola, mi sentivo male, anche ricordando altri luoghi che avevano fatto la stessa fine. Una domenica mattina trovai Alberto più loquace; e, avendomi sorpreso a guardare il banano, mi disse: “Lo sai? Porta i suoi frutti, non ha una funzione ornamentale”. Quella pianta era un po’ il suo orgoglio. Poi mi invitò a una piccola passeggiata fra le tante testimonianze sparse nel cortile. “La Fornace San Cristoforo, nota come Curti, elabora questi oggetti da secoli e con tanta accuratezza da diventare leggendari. Come anche i suoi cotti. Non per niente la costruzione dell’Ospedale Maggiore - dai cittadini soprannominata Ca’ Granda – promossa nel 1400 da Francesco Sforza e da sua moglie Bianca Maria Visconti, autore del progetto il Filarete, mobilitò la famiglia Curti. E in seguito altri cotti vennero impiegati per il restauro dello stesso complesso e per tanti altri non solo a Milano. Quindi meritatissimo arriva il premio di Apa-Confartigianato di Milano, che riconosce alla storica fucina il primato in fatto di tradizione”.

Alberto Curti

Alberto Curti è persona riservata, gentile, cordiale, ospitale. E quando ha voglia di lasciarsi andare snocciola curiosità e brani di storia: per esempio che la Fornace sorse nel 1428 alle Colonne di San Lorenzo. In quegli anni anche l’architetto indaffarato nella Certosa di Pavia eseguì dai Curti molti fregi architettonici. Milano intanto si sviluppava e la Fornace cambiò sede, aprendo in Ripa di Porta Ticinese. Altro trasloco un secolo dopo: alla Conchetta, sul Naviglio Pavese. Ma qui si verificò un incidente di notevoli dimensioni, che coinvolse forme, mobili, fregi, medaglioni della Fornace per la città. All’inizio del Novecento, armi e bagagli via verso il regno di oggi, continuando a produrre il famoso e pregevole cotto lombardo. Insomma, la famiglia ha cambiato sede quattro volte, senza mai allontanarsi dal Ticinese, dal Naviglio Grande, allora attraversato dai barconi che portavamo il marmo di Candoglia alla Fabbrica del Duomo, sabbia e generi alimentari (al ritorno, andando controcorrente, venivano tirati dalla “rozza dei navigli”, cavalli bolsi e macilenti).

Alberto Curti
Quando aveva voglia di raccontare Alberto Curti era particolarmente simpatico, piacevole, anche divertente. Spiegava il lavoro, le idee, i progetti della sua famiglia, ricca di meriti e di premi. “Abbiamo contribuito al restauro di molti edifici, chiese e parchi di tutta la Lombardia: il nostro cotto era, ed è, apprezzato e richiesto. Abbiamo fornito l’Abbazia di Chiaravalle e quella di Morimondo, Santa Maria delle Grazie, l’Arcivescovato, il Teatro Fossati, il cimitero di Pavia… Architetti e artisti illustri sono venuti da noi: quelli di una volta e quelli di oggi, tra cui Manzù, Fontana, Minguzzi, Capello, Pomodoro... Siamo stati sempre a disposizione, anche quando ci venivano proposte idee complicate. Le abbiamo accettate e soddisfatte con entusiasmo. Le novità ci stimolavano”.

Un angolo della fornace
Ancora oggi sono tantissimi i visitatori della Fornace: giovani e anziani, attirati da tutti quei manufatti di ceramica appesi alle pareti e i vasi così grandi che possono contenere un ulivo dal tronco barocco, di quelli che si trovano dalle parti di Ostuni: carichi di anni e testimoni di mille vicende umane. Rivolgo lo sguardo all’altana che ospitano quei grandi. Mi viene voglia di dialogare con loro, di interpellarli. Ho l’impressione che ascoltino le parole di Alberto, non avvezzo alla retorica e alla gloria. Ha un attimo di pausa. Poi, come se parlasse a stesso: “L’argilla veniva estratta nel luogo in cui signoreggiava la Fornace. In seguito ci servivamo di quella ricavata dalla Cascina Buffalora. Oggi utilizziamo un composto di crete dell’Oltrepò’ Pavese e piemontese”. Si avvicina una signora alta, magra, elegante con un bel cappello in testa, borsa di coccodrillo, e domanda: “Scusate, dove posso trovare la pittrice (non si ricordava il nome) che dipinge i matrimoni del Marocco?”. Alberto, rivolto a me: “Fatti un giro tra i lavoranti della Fornace; mentre io accompagno la signora attraverso questi meandri”. Quella pittrice io la conosco, ha ottant’anni, amalgama i colori e realizza figure snelle molto espressive. Purtroppo, andando a memoria, non ne ricordo il nome. E’ un’artista brava e sensibile. Mi aveva detto che Alberto aveva aperto i locali solo ai pittori che avevano dimestichezza con l’argilla, materia non “sorda all’intenzion dell’arte”.

Sala di esposizione
Ci sono giorni, soprattutto a maggio, che Alberto Curti, degno discendente di questa stirpe di maestri vasai, tiene aperto tutta la giornata. In quelle occasioni mi è capitato di imbattermi in conoscenti, amici, sempre alla scoperta di luoghi che sanno di antico. Una volta vi trovai Luciano Visintin, giornalista del “Corriere della Sera”, grande conoscitore di Milano e autore di libri di poesie in dialetto e anche sui monumenti della città, Duomo compreso. Visintin con la sua barbetta scura e i suoi capelli lisci era persona aperta al dialogo costruttivo. Era sempre presente nelle grandi occasioni: alla Festa del Naviglio, per esempio, e sulla Fornace aveva scritto vari articoli, tutti molto interessanti. Tornando ad Alberto Curti, va detto che è nato e cresciuto in questa bella cascina, la Varesina, appartenuta nel Seicento alla famiglia Porro e poi ai Videserti. “Non mi sradicherei mai da qui”, commentò. “Anche perché qui ho tanti ricordi, che nel silenzio raccontano secoli di storia”. “Una gran parte della storia di Milano, vero, Alberto?”. “Come no!”. “Questa cascina io ce l’ho nel cuore. Come tante altre di Milano, dalla Guardia di Sopra alla Cascina Grande di Rozzano. E poi qui c’è la Fornace. ”A proposito, sento dire che vuoi adibire uno dei tuoi grandi locali a sala di conferenze, congressi, presentazioni di libri e altro”. “E’ vero, te lo avrei detto. E’ quel locale lì, lo vedi quanto è grande? Ci sto pensando seriamente”. Purtroppo sono anni che non vado alla Fornace e mi sento colpevole.







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