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martedì 3 ottobre 2023

Dopo la scomparsa del sacerdote

 

IL GEOMETRA-POETA MARTINO SOLITO

RICORDA DON ANTONIO CORRENTE


Don Antonio Corrente
 

Una testimonianza efficace, con dettagli

che danno risalto al ritratto. Coltissimo,

severo, don Antonio fu tra l’altro prelato

d’onore di Sua Santità, giudice

provinciale del Tribunale ecclesiastico di

Taranto. Gli fu concessa l’onorificenza di

commendatore dell’Ordine “al Merito

della Repubblica”


 

 

Franco Presicci

A Martina Franca ho conosciuto persone importanti. Di alcune sono diventato amico: Franco Punzi, presidente del Festival della Valle d’Itria e già sindaco della città, scomparso da poco tempo; Nico Blasi, direttore della interessantissima rivista “Umanesimo della Pietra”; Alessandro Caroli, scrittore consacrato (“La valigia del tempo”…), fondatore dell’Associazione “Il Parnaso delle Muse” e del Festival di Martina, profondo conoscitore di musica, lettere e filosofia (abbondanti tracce sono sparse nei suoi libri), “manager” di Raitrè, prima di emigrare in Australia, dove fondò una televisione; Francesco Lenoci, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; Giuseppe Bellucci, artefice di campane che vanno a suonare in ogni parte del mondo; Luisa Motolese, presidente della Corte dei Conti a Milano; il notaio Alfredo Aquaro.

L'ultima messa

Don Antonio Corrente, che oltre a tanti incarichi da lui ricoperti negli anni fu insegnante di religione all’Istituto Magistrale “Livio Andronico” e al liceo scientifico “Battaglini”, a Taranto e altrove, l’ho solo incontrato alcune volte, nei miei lunghi soggiorni nella terra amata e dipinta da Filippo Alto, artista barese residente a Milano e con casa di vacanza a Figazzato. Martina ha diversi “Patriae decus”. L’elenco è fissato su marmo incassato in un’ampia parete all’ingresso del Comune. Ma non ci sono miei amici in quella lista (Lenoci, pur in possesso del titolo, aspetta una nuova targa, più lunga, per esservi inserito). Monsignor Antonio Corrente, prelato coltissimo e severo, che suggerì il “Patriae decus”, non vi compare. Forse vi sarebbe stato incluso. Lo intercettai tantissimi anni fa, oltre settanta, all’uscita del “Livio Andronico”; e avendo sentito parlare molto bene di lui mi venne l’impulso di salutarlo, ma il fervore degli studenti, felici di muoversi all’aria aperta dopo ore di lezioni, soffocò il mio gesto.

Il ringo
In seguito lo rividi a Martina, dove il ringo sfocia nella piazzetta in cui si ergono la Basilica e la Torre dell’Orologio. Andava a passo spedito, si fermò, incerto se proseguire o tornare indietro e scelse la seconda opzione. Il mio sguardo lo seguì fino all’angolo in cui si apre la vetrina del tabaccaio. La sua figura solenne suscitava un po’ di disagio. Gli anni, come tutti sanno, passano svelti e io non mi accorsi che ne erano volati un bel po’, quando lo incontrai di nuovo in piazza XX Settembre. Lo avvicinai, mi presentai e, per sciogliere l’imbarazzo, gli dissi che un mio cugino era stato tra i più attenti e zelanti dei suoi alunni. Mi chiese il nome, ma non si ricordava di quel Fiorenzo Fischetti. Di Clemente Salvaggio, in seguito salito sulla plancia de “Corriere del Giorno, dopo anni di rodaggio da cronista e prima di mattatore al periodico barese “Mercoledì Sport”, qualche pallido ricordo ce l’aveva. Avevo 22 anni o più quando, negli ‘50 a Taranto usciva anche un periodico confezionato da Giuseppe Barbalucca, medico pediatra prestato al giornalismo (fu anche capocronista del “Corriere”), e da Piero Mandrillo, illustre docente, cultura vasta, emigrato per qualche tempo in Australia come insegnante d’italiano all’Ateneo di Wellington, conteso dal “Corriere del Giorno” e dalla “La gazzetta del Mezzogiorno per un diario di viaggio. Dopo qualche anno ero nello studio di Clementino Messia, fotografo di tutto rispetto, collezionista d’immagini della Martina di un tempo, imparentato con Benvenuto, maestro del “clic”, dopo Eugenio, suo padre, e attore, ciclista, poeta, autore di una delle foto di fianco sul Chiangaro di oggi (quella di ieri è di Eugenio, grande maestro del “clic”), entrarono il dirigente dell’Ufficio tecnico Nicola Colonna e don Antonio Corrente. Il prelato, solenne e rigido, mi fissò stringendomi la mano, mentre Colonna si accingeva a dire che ero di Taranto, vivevo a Milano, facevo il giornalista.
Martino Solito 

Don Antonio ascoltò distaccato la presentazione, e dopo circa un quarto d’ora, sollecitato da un impegno, si avviò verso l’uscita, seguito dal geometra, mentre all’esterno alcuni martinesi – coincidenza – s’infuocavano commentando la Padania, “questa regione che esiste soltanto nella testa di alcuni lombardi”; e Clementino riprese a confidarmi la sua passione per i fuochi di artificio, che andava ad ammirare a Locorotondo alla festa di San Rocco, e anche a Matera e in altri paesi della Puglia, della Basilicata e della Calabria. “Il monsignore appena uscito – deviò Clementino dopo pochi minuti – è un pozzo di sapienza”. Martino Solito lo descrive con uno stile piacevole, semplice, scorrevole, colloquiale in “Don Antonio Corrente”, una testimonianza preziosa, del 2022. Parte da lontano, dal ’60, anni in cui frequentava a Locorotondo la scuola agraria e sostava davanti alla vetrina della libreria di Giambattista Carrieri, soffermandosi sui libri tascabili della Bur (copertina grigia, 70 lire a titolo), e vedeva spesso conversare il titolare, don Giovanni Colucci e don Antonio Corrente. 

Con Papa Woitila
Più tardi, nel ’65, dopo il diploma, cominciò ad avere dimestichezza con loro. Data di nascita di don Antonio il 1918, in una famiglia non benestante: il papà, Paolo, di mestiere carrettiere, “tra i migliori di quel tempo”, e la mamma Pastore Maria Carmela, che mise al mondo cinque figli. Antonio frequentò le elementari alla scuola Marconi, celebrò la prima messa a Roma il 5 luglio del ’42 e la seconda nella città natale il 12 dello stesso mese, nella Basilica di San Martino. All’attività sacerdotale accompagnò quella di insegnante illuminato e dotto. “Ascoltare le sue lezioni – mi disse uno suo studente di allora – era un vero piacere, edificava, coinvolgeva, arricchiva la mente di chi gli stava di fronte”. Quando parlava lui, un silenzio totale avvolgeva l’aula, la sua dottrina, le sue scintille di cultura, profonda, eterogenea, affascinavano. 

Nel ’78 l’amicizia fra don Antonio e Martino Solito si rafforzò, coltivata anche nella libreria Clio, nel ringo, dove un giorno Martino gli regalò un proprio volume, “Hitleriade”, un “misto di versi e prosa”. In via Verdi, che collega piazza Roma con via Mercadante, ricca di negozi (la macelleria di fianco alla barbieria e al meccanico, il centro fotocopie di Cosimo Basile, il forno a legna). don Antonio gli si rivolse proclamando “Che verve!” “Che verve!”. Da lì una più intensa frequentazione durata fino agli ultimi momenti di vita del prelato, deceduto il 14 giugno del 2021, a 101 anni. Durante uno dei loro incontri don Antonio rivelò a Martino il tipo di lavoro che stava svolgendo: la ricerca etimologica di mille parole del dialetto martinese, terminato nel ’95 in una raccolta: “Voci della Valle”, cioè la valle d’Itria, che Giuseppe Giacovazzo, in occasione della presentazione del libro di Alessandro Caroli “Musica in Valle d’Itria-Come nasce un Festival”, definì benedetta da Dio. E benedetta è davvero, con i suoi balconi spanciati, la luce, la terra rossa, le abitazioni incappucciate, alcova, guscio, rifugio, dove il contadino tornava la sera, accolto dal camino con il fuoco acceso sotto il paiolo con la minestra in via di cottura. Don Antonio, entusiasta delle sue “Voci”, a Martino parlava dei vari lemmi, soprattutto dell’introduzione in cui aveva espresso il suo giudizio sulla cultura martinese… E gli parlava dei disegni, di oggetti antichi che andava rappresentando l’architetto Pasquale Angelini. 

La chiesa distrutta
La testimonianza dedicata a don Antonio da Martino Solito, persona molto seria, concreta, di poche parole “pane al pane e vino al vino”, contiene anche pagine con l’elenco delle onorificenze ricevute dal prelato (commendatore dell’Ordine al merito della Repubblica, Prelato d’0nore di Sua Santità…), degli incarichi di altissimo livello a lui affidati (giudice provinciale del tribunale ecclesiastico di Taranto…), delle scuole in cui ha insegnato… Solito ricorda anche l’incontro con Papa Giovanni Paolo II, in occasione della visita, il 29 ottobre del 1989, a Martina Franca. Ho letto molto volentieri questo prezioso testo di Martino Solito sulla vita e le attività di un suo amico carissimo, sulla sua generosità: “L’Abazia di Orosh in Albania, distrutta durante la guerra dei Balcani, fu ricostruita nel 1998 e dintorni. Don Antonio contribuì alla sua ricostruzione con entusiasmo”. Narrava che “la gente del luogo si era appropriata dei conci della chiesa al suo crollo, ma, cessata la guerra”, durante la sua rinascita, in molti restituirono il maltolto. “La devozione e la fede avevano fatto muovere le pietre”, il commento di Antonio Corrente. Martino Solito ricorda anche il lavoro fatto insieme, nel ’98 e il commento del sacerdote: “Ora si comincia a fare sul serio”. Il loro impegno si ampliò con soddisfazione di entrambi. Martino Solito, autore di tanti volumi pubblicati in veste elegante, ne ha in cantiere un altro.






































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