IN VIA BAGUTTA A MILANO
OGNI ANNO SI CELEBRA IL TRIONFO DELLE TAVOLOZZE
Ingresso del ristorante Bagutta |
Franco
Presicci
Mario Pepori del ristorante Bagutta |
Ero
a Milano da qualche anno, quando un pomeriggio decisi di fare un
salto in via Bagutta, spinto dal ricordo delle battaglie che Bruno De
Cerce e un gruppo di suoi collaboratori avevano affrontato per fare
di quella piccola arteria la sede di una collettiva d’arte
all’aperto da ripetersi due volte l’anno. La burocrazia
recalcitrava e loro la incalzavano, scendendo in strada, distribuendo
volantini, esibendo cartelloni con le scritte: “La città del
miracolo economico non aiuta gli artisti”; “Il nostro sogno è la
via Bagutta”…
Un giorno organizzarono un “sit-in” per impedire la
circolazione, intervenne la polizia e si portò di peso De Cerce in
questura, viaggio che suggerì al pittore spaziale l’idea
d’indossare durante le tenzoni una casacca da ergastolano, con il
numero 40 bene in vista sul petto. Il duello, iniziato negli anni 50,
calamitò l’attenzione dei giornali non soltanto milanesi e della
televisione. L’Amministrazione comunale alla fine cedette, e
l’assessore alla Viabilità Valentini, il 25 ottobre del ’64,
tagliò il nastro inaugurale della prima esposizione (circa duecento
partecipanti), fra una moltitudine di visitatori e l’esibizione
della Banda di Gaggiano. De Cerce, molisano a Milano dal ’58, barba
alla Carlo Marx, voce sottile, un po’ burbero, si godeva la
conquista assieme al suo piccolo esercito e ad Aldo Cortina, già
allievo di Filippo De Pisis e titolare della libreria universitaria
di fronte alla Statale.
Fu un giorno di festa, nonostante la pioggia che benediva le opere e
il vento che gonfiava lo striscione steso tra finestre dirimpettaie
sul vicolo Baguttino, quasi un simbolo della vittoria. I taccuini dei
cronisti si riempivano di notizie su De Cerce,
dalla sua prima
personale nel ’63 allestita nel Salone Nucleare della Fiera di
Milano alla estemporanea da lui allestita per un centinaio di pittori
al Teatro Tenda di Gassman, in piazza Vetra, alla personale nella
Galleria “Il Cavallino”, su invito del mercante Cardazzo… Una
biografia densa. “Il Giorno” ha sempre seguito le vicende di via Bagutta, dove si
torna volentieri quando paesaggi, nature morte, figure, fantasie
surreali, futuriste…sfollano. Facendo avanti e indietro in
quest’atmosfera romantica si pensa magari a Carlo Porta; e si ha
l’impressione di avvertire il rumore dei passi di tanti personaggi
importanti che frequentarono (altri lo frequentano oggi) ristorante dei Pepori al civico 14, dove la sera dell’11 novembre
1926 a Orio Vergani, penna illustre del giornalismo italiano, venne
l’idea del Premio letterario Bagutta (che è anche il nome del
prestigioso ritrovo gastronomico che da allora continua ad
ospitarlo), negli anni vinto da Soldati, Montanelli, Repaci, Gadda,
Brancati, Primo Levi, Marotta…Al parto collaborarono Riccardo
Bacchelli, Adolfo Franci, Paolo Monelli, Gino Scarpa, Mario Vellani-Marchi…. Insomma, da una parte i pittori; dall’altra i grandi scrittori. Anche Piero Mandrillo, intellettuale di alto bordo e critico severo (a Pulsano, suo paese natale, gli hanno dedicato la biblioteca e a Taranto, dove viveva, a suo tempo lo hanno degnamente commemorato) amava percorrere via Bagutta e altre strade storiche. Veniva spesso a Milano. Ci venne con la troupe” di Tv Taranto anche nel ’76 per una serata di pugliesi al Centro informazioni d’arte, a Brera. Ogni volta cercava la bellezza discreta, quasi schiva, della città.
Piero Mandrillo nel '76 a Milano intervista Antonio Baroni, il direttore
del settimanale Il Milanese, a destra Franco Presicci
Quasi
sempre in compagnia di un amico, che definiva psicopompo,
attraversava corso Venezia, ammirando le facciate liberty dei
palazzi; la Galleria, che gli faceva venire in mente Giuseppe Marotta
(“L’oro di Napoli”, “A Milano non fa freddo”, “Mal di
Galleria”…); i Navigli, cari ad Alfonso Gatto, a Gaetano Afeltra,
a Carlo Castellaneta, al fotografo veneziano Fulvio Roiter… Andando
a fare visita al poeta e critico d’arte Raffaele Carrieri,
tarantino anche lui, si fermava all’angolo di via Manzoni con via
Bigli, un budello aristocratico, in cui abitava Montale e nell’800
la contessa Maffei, celebre per il suo salotto culturale (nel
febbraio del 1897 accolse anche Balzac, arrivato da Parigi); in via
Morone, che prima di sfociare in piazza Belgioioso, che accolse i
sospiri di Stendhal per la baronessa Matilde Viscontini, presenta casa Manzoni.
Bagutta affollata |
Domenico Porzio e il prof. Silvio Garattini |
Un giorno, deviando da corso Buenos Aires in viale Tunisia, dove
durante la Resistenza, in un paio di piccoli locali, c’era il covo
di Sandro Pertini, entrò, seguito dall’amico, nella libreria di
Nicola Partipilo, barese doc, sperando di potervi trovare “Barboni
a Milano” del critico e storico musicale Giulio Confalonieri, che
con i “clochard” passeggiava sottobraccio a Brera, non
disdegnando un sorso con loro in osteria.
Piero soddisfaceva le sue curiosità estetiche e intervistava, per
“Il Corriere del Giorno”, personaggi eminenti: Montale, Giuliano
Gramigna, allora critico letterario al “Giorno”, lo stesso
Carrieri e altri. Nella sua agenda c’era anche Domenico Porzio, ma
dovette anticipare la partenza e non potè realizzare questo
desiderio.
Alla Mondadori, all’epoca in via Bianca di Savoia, ad
incontrare Porzio, che nella casa editrice era capo ufficio stampa e
assistente del presidente Arnoldo, un po’ di tempo dopo andò
l’amico, che venne ricevuto con una cortesia squisita. Invitato ad
accomodarsi, si sentì dire che la sedia indicata era stata occupata
da glutei eccellenti, appartenenti a Buzzati, Soldati, Bo,
Bacchelli, Montale...Notizia piuttosto imbarazzante per natiche molto
modeste. Giornalista, scrittore, critico letterario e d’arte, Porzio, nato a
Taranto nel ’21 da famiglia napoletana, si era trasferito con i
suoi sotto il Vesuvio, quindi a Milano, nel ’29. Laureatosi in
medicina, aveva regalato il titolo al padre che lo voleva medico,
rivelandogli che allo stetoscopio preferiva la carta stampata.
L’aveva già fiutata al liceo cucinando con Oreste del Buono una
rivista, “La giostra”.
Giuria del Premio Bagutta su una parete dell'omonimo ristorante |
E una volta consacrato nella professione,
con lo stesso Del Buono creò “Quaderni milanesi”; con Marco
Valsecchi le Edizioni di Uomo, e collaborò con i settimanali “Oggi”,
sorto nel febbraio del ’39 anche grazie a lui, “Epoca” e
“Panorama”. Curò antologie, la traduzione italiana di tutte le
opere di Borges (fu uno dei primi nel nostro Paese a rivelarne la
qualità); e scrisse numerosi libri, fra cui, nel ’76, “Primi
Piani”, una galleria di ritratti: da Solzenicyn a Testori, Cassola,
Kerouac, Guttuso, Eduardo, Pasolini, Paolo Grassi, Carla Fracci,
Piero Chiara…con tanti particolari succosi, tra cui il motivo del
disamore di Gianni Brera per Rivera e la passione di De Chirico per
la cioccolata.
Porzio ha diverse doti – diceva Enzo Biagi - ma spicca per la sua
grande capacità di ascoltare. E ascoltava a lungo Mario Soldati, che
telefonava agli amici anche da New York per raccontare le sue
giornate. Porzio era elegante, riservato, un signore. Non si sentiva
un protagonista, ma un testimone, e non si sovrapponeva mai
all’interlocutore. E’ morto a Cortina nel ‘90.
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