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mercoledì 2 marzo 2016

IL PREMIO DI GIORNALISMO PER DIRE GRAZIE A MILANO


De Grada, Chechele, Nennella e Valentini

Michele Jacubino, titolare del ristorante “La Porta Rossa”


Nato ad Apricena, Chechele adorava la Puglia. Lo scrittore Mario Dilio vedeva in lui l’ambasciatore della nostra terra in Lombardia.
Sempre pronto ad accogliere e a promuovere iniziative tese ad esaltarla, fondò anche un premio per i pittori che la celebravano.

 

Giovanni Valentini - Gino Palumbo - Franco Di Bella e Alberto Cavallari, i vincitori delle prime tre edizioni



Il ristorante La Porta Rossa, nato negli anni '70 dalla passione di Chechele e Nenella (come i clienti più affezionati chiamano i titolari), nel tempo è diventato un punto di riferimento per gli amanti della cucina pugliese a Milano. Oltre a offrire prodotti e piatti tipici come le orecchiette alle cime di rapa, La Porta Rossa è anche uno dei pochi ristoranti di Milano dove si può mangiare la pizza alla pugliese, che viene cotta nella tiella.



Milano, 2 marzo 2016

Franco Presicci

Tre amici da tempo scomparsi fanno l’occhiolino da una foto emersa da una scatola di cartone custodita come uno scrigno. Sono i pittori Filippo Alto e Ibrahim Kodra, e il critico d’arte Raffaele De Grada, seduti a un tavolo del ristorante “La Porta rossa”, in via Vittor Pisani, a pochi passi dalla stazione Centrale, a Milano.
L’immagine risale al ‘74, quando in quel locale, anfitrione Michele Jacubino, detto Chechele, fu tenuto a battesimo il periodico “Il Rosone” di Franco Marasca, padrino Antonio Velluto, allora giornalista della Rai e assessore all’Edilizia popolare: persona colta, generosa, indicata come il principe per i suoi modi garbati. Era di Troia - come Marasca - il paese in cui nacque Antonio Salandra, uomo politico dei primi del ‘900.

Il rettangolo di carta ha stimolato la memoria, che ha lasciato scorrere tante figure, nitide, ingrandite come sotto una lente: Chechele, che accoglieva i clienti a braccia aperte, e scambiava con loro poche battute in attesa dei piatti. Era noto, rispettato e amato. Sempre sui giornali per le iniziative che ospitava. Telemontepenice, un’antenna pavese diffusa non solo in Lombardia, mandò una telecamera a riprenderlo nel suo regno, frequentato anche da molti personaggi illustri, tutti amanti dei sapori e dei profumi della nostra terra. Lui ne andava orgoglioso. Intelligente, dinamico, entusiasta; basso, pienotto, occhi neri, capelli color carbone e lisci, alla Rodolfo Valentino, un volto da caratterista del teatro di Eduardo, era nato ad Apricena, uno dei luoghi cari a Federico II, che probabilmente vi scrisse il trattato sulla caccia con il falcone.
L’amore di Chechele per la Puglia era grande, e lo dimostrava in mille modi, tanto che Mario Dilio, giornalista e scrittore (sua la storia della Fiera del Levante pubblicata dall’editore Adda),
Alto, Nennella, Giacovazzo, Chechele
già capo ufficio stampa dell’Alfa Romeo a Milano, gustando di fronte a Filippo Alto le orecchiette preparate da Nenella, moglie e sostegno di Chechele, dichiarò che il vulcanico apricenese meritava di essere nominato nostro ambasciatore al Nord. Qualcuno captò il discorso, e il giorno dopo l’investitura era cosa fatta. La notizia colse Dilio a Bari, dove ormai viveva, e la riferì divertito al suo amico Vittore Fiore, figlio di Tommaso, che con “Un popolo di formiche” vinse il Viareggio nel ’52.“Io voglio bene ad Apricena, ma anche Milano, che mi ha dato mille soddisfazioni”, confidava Chechele. “In questa città straordinaria che non chiude la porta a nessuno ho potuto cementare i miei mattoni e sono circondato di amici…Vengono a trovarmi non solo quelli che come me innaffiano ogni giorno il proprio amore per la Puglia…”. E volgeva lo sguardo alle centinaia di immagini di attori famosi appese al muro di fianco all’ingresso e dietro la cassa. “Hanno cenato qua; arrivavano verso la mezzanotte, dopo che al Manzoni, all’Odeon o al Nuovo era calato il sipario” Tra gli avventori anche un fiume di turisti, “mamma quanti! E io li esorto a visitare Bari, Taranto, Lecce, Massafra, Martina Franca…, che possiedono bellezze introvabili altrove”. Gli brillavano gli occhi. Una sera ad un cliente di San Severo domandò se fosse vero che al suo paese davanti ai negozi sventolavano le bandiere”. “Erano bandierine rosse che fremevano fuori delle cantine: ne parla Giovanni Russo nel suo ‘Baroni e contadini’, libro uscito nei primi anni 50”. La risposta provocò altre domande. Oltre ad essere espansivo, era curiosissimo.

Di quelle bandiere aveva domandato anche a Peppino Strippoli, che signoreggiava nel suo supermercato del vino a Saronno, in cui si poteva incontrare,
tra gli altri, Folco Portinari, che in un articolo aveva definito il cerignolese “missionario di…vino”, descrivendo anche il migliaio di libri sulla civiltà del bere allineati in uno spazio del capannone.Un giorno, facendo due passi sotto il portico con un cronista, Chechele confidò il desiderio di dire grazie alla Madonnina che “protegge la città dal punto più altro del Duomo”. Gli fu suggerita l’idea del Premio Milano di giornalismo, e lui l’accettò con entusiasmo, dopo un estemporaneo abbozzo del progetto. Trascorsa una settimana, si mise mano allo statuto e alla stesura dell’elenco della giuria. Furono lo stesso Chechele, Alto e il cronista a scegliere Raffaele De Grada; i pittori Giuseppe Migneco e Ibrahim Kodra; Ugo Ronfani, vicedirettore de “Il Giorno”; il poeta e critico letterario del “Corriere della Sera” Alberico Sala; Paolo Mosca, direttore di “Play boy” e prima de “La Domenica del Corriere”; Ruggero Leonardi, redattore di “Oggi”; Giorgio Gabbi di “Panorama”; Mario Oriani, direttore di “Qui Touring”, i gastronomi Vincenzo Buonassisi e Edoardo Raspelli, che oggi conduce una trasmissione su Rete 4; Giuseppe Giacovazzo, pilota de “La Gazzetta del Mezzogiorno”….La prima edizione venne assegnata a Giovanni Valentini, che a 29 anni stava già sulla plancia di comando de “L’Europeo”.
Consegna del Premio a Gino Palumbo

La seconda a Gino Palumbo, che tra l’altro aveva fatto lievitare le copie vendute della “Gazzetta dello Sport”; la terza a Franco Di Bella, direttore del quotidiano di via Solferino, e ad Alberto Cavallari, corrispondente da Parigi dello stesso giornale….Le riunioni della giuria erano interminabili: alle due di notte erano ancora in corso, mentre Chechele, accomodato discretamente in un angolo, seguiva le accese discussioni con aria rapita. Ognuno aveva il proprio candidato, e lo sosteneva a spada tratta. De Grada propugnava Maurizio Chierici per le sue inchieste sull’America del Sud; Mosca, Giulio Nascimbeni, che era tra l’altro il biografo di Montale; Sebastiano Grasso, anche lui del “Corsera”, Di Bella; Kodra Cavallari, che, corrispondente da Parigi, con alcuni articoli aveva fatto irritare Giscard d’Estaing all’Eliseo...Alberico Sala e Mario Oriani si limitavano ad appoggiare l’uno o l’altro, ma senza alzare i toni della voce. La decisione era molto difficile perché tutti i nominati avevano grandi meriti. Alle cerimonie di consegna partecipavano rappresentanti della carta stampata e della televisione, ma anche professionisti, artisti, editori.
Di Bella, Tognoli al quale Chechele consegna un ricordo

Per Di Bella e Cavallari (arrivato dalla Senna apposta per ritirare il Premio “ex aequo”) vennero anche la scrittrice Milena Milani, il sindaco Carlo Tognoli; Giovanni Testori (noto non solo per i suoi libri: “I segreti di Milano”, “Il ponte della Ghisolfa”, “La Gilda del Mac Mahon”…ma anche per la sua riservatezza)... Del premio si parlava molto, non solo sui mezzi d’informazione. E non erano pochi quelli che si offrivano come giurati, mettendo in imbarazzo chi doveva contenerne il numero. Poi Chechele aprì un altro ristorante dalle parti di piazza Piola; e un altro a Pugnochiuso, oggi gestito dal figlio Nino. Il secondo locale, “Puglia”, fu sede dell’omonimo Premio destinato ai pittori. Chechele, che nel giugno ’79 fu nominato cavaliere dal Presidente della Repubblica, ed ebbe tanti altri riconoscimenti, non c’è più da tempo. E non ci sono più neppure Nenella, regina tra i fornelli; Alto, Kodra, De Grada, Ronfani… Ma Milano non li ha dimenticati. Come non ha dimenticato Strippoli, che creò ben 15 ristoranti.

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