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mercoledì 16 marzo 2016

Dal “Boeucc” al “Savini”, al “Caffè della Peppina”


LA STORIA DI MILANO NEI SUOI LOCALI CHIC


 Alla trattoria “La Pesa” lavorò Ho Chi Minh; al “Camparino,  in Galleria sorseggiarono il Bitter Umberto I e Edoardo VII d’Inghilterra . 
La pizza fu lanciata nel 1929 dal “Santa Lucia” di Leone Legnani. Al “Cova”, in via Montenapoleone, a mezzogiorno prendeva l’aperitivo con le amiche la Wandissima.

 

 

  Servizio da Milano di Franco Presicci 

Premio “Miglior cronista 2002”

 


Giovanni Verga nella città del Porta, dove arrivò nel 1872, fu circondato da rispetto e stima, e lavorò assiduamente. “Provasi davvero la febbre di fare”, confidò in una lettera a Luigi Capuana. Trascorse molti pomeriggi nel salotto letterario della contessa Clara Maffei, in via Bigli, stringendo amicizia con Arrigo Boito, Emilio
Trattoria della Pesa
Praga, Torelli-Vollier e rapporti con gli Scapigliati; prese parte a convegni culturali; frequentò la Scala; scrisse “Milano per le vie”, racconti sulla realtà milanese; e fu sospirato e amato dalle donne. Abitò in corso Venezia, poi a Brera; e predilesse il Biffi, data di nascita 1847, in Galleria, famoso per i panettoni che facevano gola a Pio IX e per essere con il Cova e il Savini un ritrovo di altissimo livello. Di caffè, pasticcerie, ristoranti prestigiosi ce n’erano tanti anche allora a Milano I primi sorti attorno al Duomo, nella zona dei Cappellari. Molti allestivano solenni banchetti in occasione di eventi importanti, qualcuno proprio in onore di Verga. Come le “Tre Marie” e il “Craja”, che fra gli anni ’30 e ‘40, a sentire Alfonso Gatto, “fu una piccola stazione planetaria da cui partire per l’Europa illuminata, lontana da noi come un astro di Klee”: giudizio probabilmente condiviso dai critici Giancarlo Vigorelli, Beniamino del Fabbro, Sergio Solmi, Giansiro Ferrata…dai poeti Sinisgalli, Sereni; dai pittori Birolli, Treccani, Guttuso,
Wanda Osiris
che vi si riunivano, magari ammirando la fontana di Fausto Melotti, in fondo a uno degli ambienti (che a Carlo Belli pareva un vagone a tre scompartimenti), dando vita a dibattiti accesi. “E’ morto anche il caffè – si lamenterà Gatto - nel darne conto/ il cronista dirà: qui, sui divani del Craja/ i sogni attesero il domani”. Leggendario, fu il primo esempio di architettura moderna. Il Caffè della Peppina non è solo il titolo di una canzone dello “Zecchino d’oro” ’71.
Era anche il nome di un luogo conosciutissimo di Milano, in via del Cappello, dove si davano appuntamento artisti, professionisti, letterati, e cospiratori, che Giovanni Visconti Venosta definiva democratici. Magnifico, classe 1867, arredi di Eugenio Quarti, il Camparino, in Galleria, dove Umberto I arrivava da Monza per il piacere di gustare al banco il favoloso Bitter. Lo sorseggiarono anche il re d’Inghilterra Edoardo VII; Marinetti, Boccioni, Albertini…Uno dei simboli di Milano, è gestito da Teresa, figlia del grande pugliese di Andria, il compianto Guglielmo Miani, che lo rilevò per la sua passione per Milano. Al Caffè Greco, al Rebecchino, si ritrovava con amici e avversari Pietro Verri, che con il consenso dei soci dell’Accademia dei Pugni, da lui fondata, dette al suo giornale il nome della mitica bevanda. Non c’è spazio per raccontare tutti i locali della vecchia Milano. Alcuni hanno spento da tempo le luci. Ma altri, signorili, raffinati, rinomati, arredamenti firmati, atmosfere romantiche, servizio eccellente, continuano la loro attività.
Ingresso Boeucc
Il “Boeucc”, per esempio, che proprio in questi giorni ha compiuto 320 anni. Aperto come osteria nel 1696, fece un grandissimo salto di qualità. Nel ’79 l’acquistò Paolo Brioschi, impreziosendone il fascino, l’eleganza. Al compimento dei 300 anni Paolo invitò tutta Milano a un brindisi. Scomparso lui nel 2005, la figlia Monica, che lo conduce assieme al marito Marco Fuzier (primo “chef” Marco Pasi), a questo tempio dell’arte culinaria, in stile classico ha affiancato il Boeucc-bistrot.
Una sala del Boeucc
Una volta questo gioiello era in via Durini; poi si trasferì nella sede odierna di piazza Belgioioso, nel palazzo che fu del “Giovin Signore” del Parini. Uno dei clienti più affezionati era Guido Piovene, che si presentava con la moglie, si accomodava fra le colonne schizzate dal Piermarini, avendo accanto maestri e cantanti della Scala, intellettuali, industriali…Eduardo de Filippo dopo aver cenato nella saletta dei pittori, dichiarò che i migliori spaghetti con pomodoro e basilico al di fuori di Napoli venivano preparati in questa cucina, che conserva tracce della storia meneghina. Memorabili anche il “Do colonn” e “I serv”, le cui vetrine si affacciavano in Corsia dei Servi. E che dire del Grand Hotel et de Milan, solenne, sfarzoso ancora oggi? Vi passarono Mascagni, Hemingway e tante altre personalità.
Wanda Osiris al Santa Lucia
Giuseppe Verdi vi trascorse gli ultimi giorni di vita, Si racconta che per impedire alle carrozze di disturbare il riposo del Maestro fosse stata cosparsa di paglia tutta via Manzoni. Il primo disco del tenore Enrico Caruso venne registrato proprio in quest’albergo, dove negli anni ’50 il mio amico tonsore e scrittore Franco Bompieri, titolare dell’Antica Barbieria Colla di via Morone, a un passo da Casa Manzoni, fece la barba al principe de Curtis, che, come dirà, scherzando, lo stesso nobiluomo, mangiava grazie a Totò. Un innamorato di Milano, Gaetano Afeltra, sbarcato da Amalfi a Milano nel ’38, trovando alloggio in una pensione che si specchiava nel naviglio Martesana (dal ’42 in via Solferino, diventò vicedirettore del “Corriere della Sera”, direttore del “Corriere d’Informazione”, trapiantandosi nel ’72 sul ponte di comando del “Giorno”), in “Milano, amore mio” ha descritto sette locali storici, compresi il “Peck” e il “Campari”.
“Nascono quasi in uno stesso momento – annota - la Galleria e il Savini, che allora si chiamava Birreria Stocker, una birreria di lusso… per appuntamenti di affari e di cuore. Ma a trasformare la birreria Stocker e a ribattezzarla fu un giovanotto venuto dalla Valcuvia: Virgilio Savini”. La Galleria era già un salotto e lui nel suo ventre ne creò un altro, “più esclusivo”. E su quei divanetti di velluto rosso s’intrattennero D’Annunzio, Pirandello, Guido da Verona, Renato Simoni, Ugo Ojetti, Toscanini, Gigli, la Duse, la Gramatica, la Simionato…”. Profanato dalle bombe del ’43, venne ricostruito e la sera del 26 dicembre ’50 inaugurato, attirando Lana Turner, Ava Garden, Charlie Chaplin, Grace di Monaco… Nell’Antica Trattoria della Pesa in via Pasubio 10, nel ’33,
Placido Domingo al Santa Lucia con dedica
sfaccendò Ho Chi Minh (nel ‘64 nominato presidente del Vietnam), che a Londra nel 1915 era stato aiuto chef pasticciere del “re dei cuochi” Auguste Escoffier. Sulla facciata dello stabile milanese in cui ebbe dimora, di fianco al locale, campeggia una targa che lo ricorda.
La trattoria spuntò nel 1880 sotto la guida della famiglia Calatti e fu subito scoperta da Arrigo Boito, dal pittore Angelo Dal Boca, dal giornalista Arnaldo Fraccaroli. Li seguirono Pietro Arrigoni, Giuseppe Prezzolini, Curzio Malaparte, Pier Paolo Pasolini ed altri.
La storia del “ Santa Lucia” ebbe inizio, grazie a Leone Legnani, nel 1929, in via Agnello, con i piatti napoletani, tutta roba genuina, e la pizza, che i milanesi non apprezzarono subito, sospettosi come sono con i primi venuti. Così la squisitezza sferica scodellata dal forno a legna era richiesta solo dai poliziotti e dai cronisti di nera del “Corriere della Sera”, Talloni, Guidorossi, ecc., del turno di notte in questura, che allora era nella vicina piazza San Fedele.
Ma decollò grazie all’idea di regalarne un pezzo con un frutto a chi dalle 16 alle 19 ordinava un quartino di vino o un bicchiere di birra. Si chiudeva alle tre del mattino, quando attori e cantanti, tra cui Josèphine Baker, Yves Montand, Paolo Stoppa, Sergio Tofano, la Osiris, Mastroianni, Totò, Angelo Musco…, in cartellone al Nuovo o all’Odeon, si alzavano per andare a dormire. Nel ’57 si traslocò in via San Pietro all’Orto 3, con i “vip” e i 400 ritratti di celebrità, da Mascagni a D’Annunzio, che al Gambrinus di Napoli avrebbe scritto il testo di “Vucchella, per dimostrare a Ferdinando Russo che anche un abruzzese poteva esprimersi in dialetto napoletano.
Un detto circola da circa 90 anni: “Se si è in compagnia di una bella donna bisogna andare al Santa Lucia’”. Lo riporta Mariangela Rossi nel capitolo “Quella carezza di Mastroianni”, contenuta nella bellissima ‘brochure’ fatta pubblicare due anni fa dall’attuale titolare Alberto Cortesi: “Ottantacinquesimo anno tra palcoscenico e cultura”, curata da Enrico Guagnini. Al Cova, in via Montenapoleone, lussuoso, servizio accuratissimo, mèta in ogni ora di distinti signori, base a suo tempo del “Club dell’Unione” e del “Jockey Club”, dei patrioti delle Cinque Giornate, e punto di ritrovo di Cairoli, Garibaldi, Mazzini, Verga, Bacchelli, Boito…, a mezzogiorno compariva la Wandissima per conversare con le amiche, prendendo insieme l’aperitivo. Era una signora dolce, affabile, discreta. Ricordo la sua bellissima casa in via Sant’Andrea, con il maggiordomo in divisa.

2 commenti:

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