Presicci, Bergner e la moglie dell'amm.re del. Henkel |
Dalle notti trascorse nei viali di Milano al volo in mongolfiera, interrotto dal temporale, per il quale si è meritato il titolo nobiliare di “Principe di Lenno”
Incontri con la malandra in locali malfamati. La
medaglia con l'immagine della Madonna regalata dalla donna
che
aveva abbandonato il clan per farsi suora laica.
Franco Presicci
Peripatetica sulla circonvallazione |
“Non dimenticherò facilmente quel cronista…”,
scrisse Gigi Gervasutti sul quotidiano di Varese “La Prealpina”,
che dirigeva. Un cronista spericolato, e a volte anche un po’
incosciente. Accettò d’incontrarsi per un’intervista, verso
mezzanotte, con una “dura” in una cantina tetra e molto mal
frequentata nell’estrema periferia di Milano, pur non escludendo
che potesse essere una trappola per qualche articolo non gradito (e
invece ricevette in regalo una medaglietta con l’immagine della
Madonna dalla donna vestita da suora laica, “perché convertita
dopo aver sentito la voce di Gesù mentre, pistola in pugno, andavo a
vendicare un compagno chiuso in cella”). Bussò alla porta di un
brigatista appena arrestato e fu respinto minacciosamente da una
giovane impetuosa. Macinò chilometri alla ricerca di un ex
rapinatore per convincerlo a parlare a volto coperto della sua
carriera in televisione nella trasmissione “Fuori Orario”
condotta da Davide Riondino, e concluse il percorso in un locale
affollato di giocatori d’azzardo che gli puntarono contro occhi
torvi e intimidatori. Un giorno di Pasqua andò a casa di una
famiglia malavitosa per rivolgere domande su uno dei figli finito in
carcere con l’accusa di aver partecipato a una sparatoria, e gli si
parò di fronte un mastino, la madre, che digrignava mostrando pugni
di ferro. Rischiando di essere riconosciuto, trascorse notti nelle
bische all’aperto per osservare il movimento. Nel febbraio dell’81
fu un riverito e temutissimo capoclan a chiedergli un incontro al
termine di un’udienza in tribunale.
Lui la cronaca amava farla così. Se un
informatore lo svegliava alle 2 di notte per avvertirlo di un
delitto, si alzava, telefonava al fotografo di un’agenzia, che
passava a prenderlo, e via verso il luogo del fattaccio.
E stava
attento a ogni particolare, persino alla marca del pacchetto delle
sigarette lasciato sul cruscotto, se le armi avevano colpito il
bersaglio al volante; o al numero dei tavoli e al cibo rimasto nel
piatto, se la vittima era stata sorpresa al ristorante; o addirittura
allo stato del marciapiede, al numero dei negozi e all’illuminazione
della strada teatro del regolamento dei conti. E faceva domande ai
“detectives”, oltre che ai presenti, che potevano aver visto una
persona sospetta, l’ora esatta degli spari o conoscere notizie
utili sulla vita della vittima. Il fotografo, Dante Federici, non era
di quelli che, scattate un po’ di foto, diventava impaziente.
Sapeva che la notte era ormai finita anche per lui, dovendo subito
andare in camera oscura e stampare.
Decollo aerostati |
Il telefono squillò di notte anche quando i
sequestratori liberarono un ostaggio; quando la polizia arrestò un
“boss” inafferrabile; e quando, nel febbraio’85, stavano per
mettere in manette l’ex fidanzata del Vidocq milanese che aveva
tentato di evadere dal carcere di Maiano di Spoleto; appurando
qualche giorno dopo che non era lei la ragazza vista aggirarsi sotto
le mura del penitenziario in attesa dell’evento, Quella volta il
cronista svegliò all’alba il vicedirettore del giornale, Enzo
Catania, uomo dalle decisioni immediate ed efficaci, sentendosi dire
di farsi prendere subito dall’autista e partire. Catania aveva un
lungo e brillante “curriculum”: a vent’anni si era catapultato
attraverso una finestra nella stanza di un posto di polizia in cui
erano trattenuti dei mafiosi appena acciuffati e a 31 da inviato
speciale del settimanale “Tempo Illustrato” diretto dal barese
Nicola Cattedra in sella a un mulo aveva girato l’Aspromonte con il
mago dell’obiettivo Uliano Lucas.
Enzo Catania in sella al mulo sull'Aspromonte 45 anni fa |
Era avvincente lavorare di notte. Percorrere la
circonvallazione esterna per un’inchiesta sulla prostituzione,
raccogliendo storie di minorenni che avevano scelto liberamente il
mestiere antico; di maggiorenni costrette da avidi magnaccia, che
lottizzavano i marciapiedi… Scoprì un individuo “protettore”
della propria moglie e di una batteria di “professioniste”; la
ragazza tossicomane che in attesa dei clienti leggeva “Topolino”,
e il travestito “Filippa”, che si vantava di essersi collaudato a
Parigi.. Quando il 4 aprile dell’81 la polizia arrestò i
brigatisti Moretti e Fenzi nei pressi della stazione Centrale, il
cane da tartufi passò tutta la notte sulla strada per rintracciare
il covo al quale i due erano diretti. Una soffiata gli indicò una
casa di ringhiera, dove, al quarto piano, erano appostati cinque o
sei investigatori speranzosi di poter catturare altri terroristi. Poi
andò a casa di Moretti, ma il citofono
rimase muto. Lo incontrò
anni dopo nel carcere di Opera al termine di una rappresentazione
teatrale e si fece dare da lui una fotocopia del discorso che aveva
tenuto sull’iniziativa. E fece uno “scoop” quando lo stesso
personaggio ottenne un permesso di pochi giorni da trascorrere
nell’abitazione di un amico. Sono indimenticabili quegli anni. E anche
dolorosi. L’8 gennaio del 1980 sotto il ponte di via Schievano i
mitra crepitarono contro tre poliziotti del commissariato Ticinese:
Santoro, Tatulli e Cestari; rientrato in servizio dopo un infarto
proprio quella mattina. Una settimana prima i tre erano stati a cena
con i colleghi e il cronista in una trattoria di piazza
Sant’Eustorgio. Santoro non era giocoso come al solito: forse per
un presentimento.
Lago di Como dall'alto |
Febo Conti legge i nomi degli equipaggi |
Ma la memoria libera anche le festose domeniche
della Stramilano dei 50 mila, tra i colori dei pettorali firmati
dallo stilista Ottavio Missoni, persona cordiale e scherzosa, e dai
cartelloni, dalle bandiere, dagli ombrelli fioriti sulla marea
scatenata ed esaltata da migliaia di spettatori contenuti in piazza
Duomo dalle transenne e ansiosi di vedere le prime file della
maratona rompere l’argine umano e schizzare verso piazza San
Babila, prendendo di sorpresa anche la tromba dei bersaglieri. Al
posto di ristoro di viale Tibaldi la fiumana si frangeva, e allora il
cronista scendeva dalla macchina e coglieva l’entusiasmo
soprattutto degli ultraottantenni, come Samuele Jannuzzi, di
Barletta, che sembrava avere il motore nelle gambe.
L’episodio più emozionante fu quello del 22
settembre del ’73, giorno in cui la Henkel organizzò una gara
internazionale di aerostati. Il via era fissato per le 15 allo stadio
Senigaglia di Como, dopo che i vigili del fuoco avevano finito di
pompare elio nei palloni, tenendo, durante l’operazione, tutti a
distanza di sicurezza. Il numerosissimo pubblico applaudiva
freneticamente i pancioni che si sollevavano a uno a uno, mentre Febo
Conti,
Titolo nobiliare |
allora famosissimo presentatore e Ridolini della tivù, al
microfono faceva i nomi degli equipaggi. L’ultimo ad alzarsi fu il
narratore, ospite nell’aerostato della Germania occidentale, pilota
Wulf Bergner. Emozionante salutare la terra che si rimpiccioliva e
poi osservarla da 1400 metri in un silenzio surreale. Da
quell’altezza le auto erano quanto quelle delle piste per bambini,
e gli scafi che scivolavano sul lago baffi d’acqua. I guai
arrivarono con il temporale, che sbatacchiò la cesta contro una
montagna, scodellando gli occupanti su una cengia. La pioggia era
rabbiosa e l’unico riparo una catapecchia cosparsa, a dirla con
garbo, di olive caprigne. Le ore incalzavano, si faceva buio, Bergner
sparò un paio di bengala per farsi individuare dalla Range Rover che
doveva recuperarci; e terminammo la discesa, preoccupati della sorte
di un pallone, che volando a 4 metri, aveva toccato un filo dell’alta
tensione incendiandosi. L’ultimo atto fu un rito: l’ospite,
avendo navigato per la prima volta, doveva essere investito di un
titolo nobiliare. In una taverna il pilota gli cosparse il capo di
sabbia e birra pronunciando una formula in tedesco. L’interessato
seppe dell’onore ricevuto quando dalla Germania gli giunse una
“brochure” che lo proclamava principe di Lenno. Ma attenti a non
chiamarmi sua altezza, anche perché sono alto uno e sessanta, e
questo titolo vale solo sul canestro dei palloni.
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