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mercoledì 29 giugno 2016

IL PITTORE FILIPPO ALTO DA BARI A MILANO



NEI SUOI QUADRI COGLIEVA 

 

IL FULGORE DELLA PUGLIA  






Locorotondo - panorama
D’estate dipingeva nella sua casa di 
Figazzano, vicino a Locorotondo, e la sera organizzava manifestazioni culturali, invitando amici e personalità della cultura, del giornalismo, dell’arte.
Della sua pittura scrissero i maggiori 
critici, da Raffaele De Grada 
a Roberto Sanesi  a Raffaele Nigro….
Fece mostre a Los Angeles, Toronto, 
Bruxelles…
Morì nel settembre del ‘92
in una clinica di Nottwill, in Svizzera 







Franco Presicci


Filippo Alto
Uno dei grandi pugliesi da inserire nell’albo d’oro di Milano è stato Filippo Alto, artista barese scomparso nel settembre del ‘92. Ricordo le tele da lui realizzate, con più brani di paesaggio insieme legati da tralci di vite o da rami di fico o da scampoli di muretto a secco, e penso all’amore che nutriva per la Puglia. Si trasferì al Nord, ma non dimenticò mai quest’angolo benedetto, dalla luce inconfondibile. Numerose le mostre personali: a Titograd, a Spalato, a Bruxelles, Toronto, Sarajevo, Los Angeles…Molti i critici che a suo tempo ne hanno parlato: Rossana Bossaglia, Pietro Marino, Maurizio Calvesi, Mario Lepore, Carlo Munari, Roberto Sanesi, Mario De Micheli, Raffaele Nigro… Ma non se ne vantava. Era un uomo equilibrato, tranquillo, discreto, riflessivo, sincero, rispettoso, amareggiato per le violenze che l’uomo fa alla natura.
Ugo Ronfani
E un’artista autentico: quante commozioni ha suscitato con la sua tavolozza antiretorica, con la quale celebrava la sua terra, che ritraeva ovunque si trovasse: a Trani, a Cisternino; ad Alberobello, a Ostuni, a Martina Franca. Aveva cominciato da ragazzo, quando in una stanza della sua casa in via Sonnino, a Bari, dipingeva i campanili e i tetti, le finestre, i balconi della sua città. Sogno, memoria, realtà si condensavano nelle immagini che catturava negli anni osservando dal finestrino di un treno che lo portava nella sua dimora estiva, dove fortificava le sue radici, spaziando fra i trulli, le vigne, gli ulivi, i muri a secco fatti con pietre zoomorfe. Un percorso fulgido. Presente nel panorama culturale italiano, Alto veniva invitato a collettive importanti e a convegni. Fu nel consiglio della Triennale di Milano, e nell’83 ebbe l’incarico di consulente del ministro per i Beni culturali Vernola.
F. Alto, S. Grasso e l'editore Fenu
Lo conobbi il giorno in cui Giacovazzo accolse i giornalisti in televisione, in corso Sempione, per la visione del documentario su Domenico Cantatore, che aveva realizzato nello studio dell’artista a Milano e a Ruvo di Puglia, dove il pittore delle Odalische era nato. Il primo documentario a colori per il piccolo schermo. Simpatizzammo subito, io e Filippo. E lui, salutandomi, “Vediamoci, abito in via Calamatta 17” (credo che il proprietario fosse Guglielmo Miani, un altro grande pugliese). Presi l’invito al volo e non lasciai passare molto tempo. Bussai un pomeriggio dal clima incerto. Mi mostrò le sue opere, dalle felici metafore, sulla Puglia e la stanza in cui nascevano. Ci rivedemmo a Martina, nella sua campagna, poi venduta per acquistare un palazzetto al termine di una salita a Figazzano, subito dopo Sisto.
Alto, Nenella, Giacovazzo e Chechele
Qui lo studio era all’ultimo piano, come il cassero di una nave mercantile.
Diventammo amici: d’estate stavamo spesso insieme. Non mancavo mai alle serate che organizzava nell’ampio cortile con centinaia di personalità, tra cui il ministro Vernola, il poeta Egidio Pani, il giornalista della Rai Antonio Rossano, Premio Saint Vincent di giornalismo nel ’75, tra l’altro autore del libro “Miracolo a Martina” sul Festival della Valle d’Itria, che seguiva per Rai3, e del libretto “O cambiamo protettore o rubiamo San Nicola”, considerato come San Cataldo amico dei forestieri.
Da sx: Filippo Alto, Presicci, il sindaco Tognoli, il gallerista Nencinil; dietro il giornalista Del Mare e il ministro Vernola
Ci veniva anche Giuseppe Francobandiera, scrittore, direttore del Circolo Italsider alla Masseria Vaccarella. In una di queste serate, dopo una splendida esibizione al pianoforte di un medico musicista, Filippo cedette il microfono a don Oronzo, un contadino anziano, estroso, arzillo, buon conversatore, con tante storie da snocciolare: la vendemmia di una volta, la vita di campagna, l’uva pestata con i piedi nudi, il mosto nei capasoni con la bocca cementata; la fatica, la grandine che colpiva le piante a tradimento annientando le speranze. A Figazzano arrivavano amici da ogni parte. Dalla città del Porta, fra gli altri, il critico d’arte Raffaele De Grada, docente a Brera, autore di una storia dell’arte pubblicata da un editore di Napoli. Poi a Milano Filippo traslocò in via Porro Lambertenghi, all’Isola Garibaldi, dove avevano avuto la culla Silvio Berlusconi, Fedele Confalonieri e il “re dei frigoriferi” Giovanni Borghi. E anche qui divorammo chili di orecchiette sagomate dalla deliziosa Ada o di pasta con i ceci innaffiati di peperoncino indiavolato, appetito da Vito Plantone,
Vito Plantone
Don Oronzo
Enzo Caracciolo, Martino Colafemmina, ingegnere di , Sebastiano Grasso, critico d’arte del “Corriere”; Arnaldo Giuliani, capocronista dello stesso giornale, uomo saggio e giornalista di notevole esperienza e bravura; Mario Marenco, architetto, designer, comico che dopo aver debuttato alla radio con “Alto Gradimento”, era passato in televisione con “L’altra domenica” , “Indietro tutta”…, e al cinema con “Il papocchio”, sempre con Renzo Arbore. Filippo aveva una laurea in ingegneria, ma non lo diceva mai. Se era costretto, spiegava che il titolo l’aveva conseguito per far piacere alla madre. Quando studiava se ne stava chiuso nella sua stanza a disegnare e appena sentiva i passi avvicinarsi nascondeva l’elaborato nel cassetto per riprenderlo quando cessava il pericolo di essere scoperto. A Milano era preside dell’Avio School International senza mai trascurare colori e pennelli. Mi viene in mente una sua esposizione nella Galleria di Renzo Cortina, in piazza Cavour, salutata con entusiasmo da una folla di professionisti e appassionati d’arte.
Acquaviva delle Fonti, Costantino Muscau, altrs colonna del “Corriere” (inviato speciale a Cuba, in Afganistan…). Amici anche Ugo Ronfani, vicedirettore de “Il Giorno” e critico teatrale, già corrispondente da Parigi; il poeta maceratese Leonardo Mancino, Mario Azzella, giornalista e documentarista della tivù; lo scrittore Nino Palumbo.
Mario Azzella e Nino Palumbo
Quando spensero le luci invitò alcuni di noi in un ristorante pugliese, concedendomi il piacere di sedere di fianco a Marietta, l’attrice che con “Coline” ogni domenica mi teneva inchiodato alla radio per ascoltare “La caravella” in dialetto barese. Me la presentò, rivelando a tutti questo mio segreto, e provai un’emozione indicibile. Filippo era un buontempone geniale. Un giorno Mario Oriani, direttore di “Qui Touring”, ci pregò di andare in redazione, in via Chiossetto, dove ci espose l’idea di cinque o sei pagine da dedicare in ogni numero ai capoluoghi delle regioni, cominciando da Bari. Io dovevo scrivere questo pezzo e Filippo doveva illustrare tutte le città. Accettammo e le pagine con i suoi dipinti sapientemente riprodotti riscossero ammirazione in tutta Italia. La nostra amicizia si è spezzata nella clinica di Nottwill, in Svizzera, luogo in cui Filippo si spense dopo un lungo calvario dovuto a un incidente stradale nei pressi di Ancona. Qualche giorno prima di Natale. Stava andando a Foggia con Ada e i due figli, Giorgio e Diego, per trascorrere le feste con la mamma.

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