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mercoledì 1 marzo 2017

AVEVA LO STUDIO IN VICOLO DEI LAVANDAI


 


Servizio di Franco Presicci







Guido Bertuzzi in vicolo Lavandai


Il direttore de “Il Milanese”, settimanale fondato da Arnoldo Mondadori, poi chiuso e risorto, mi confessò il suo amore per i pittori che avevano l’”atelier” in vicolo dei Lavandai, e per quello stesso nastro di terra battuta che parte quasi dall’inizio dell’alzaia Naviglio Grande e girando due volte a destra vi ritorna. “E’ la nostra Montmartre: fammi un favore: corri a visitarla e scrivimi un pezzo per il prossimo numero. Portati il fotografo”. Un invito a nozze, per me. Ero già passato davanti a quel vicolo, diretto al negozio di un tale che sosteneva di aver combattuto negli Stati Uniti su parecchi “ring” dominati, all’epoca, da un “boss” della mafia.
Vicolo dei Lavandai


Mi aveva colpito la tettoia, monumento nazionale che da sempre ispira maestri consacrati e pittori estemporanei; e mi interrogavo sulla targa all’angolo in alto, dedicato ai maschi, mentre a faticare inginocchiate sul “brellin” a lavare a suo tempo i panni erano le donne.
Colsi l’invito del direttore, e la prima persona che incontrai da quelle parti, nel ’76, fu il pittore Guido Bertuzzi, che di Milano conosceva storia, usi, costumi, personaggi e ogni aspetto, anche il più nascosto. “Non è che i maschietti non facessero niente – mi disse -. Andavano con il carretto a prendere i panni da immergere nel ‘rizulin’, il ricciolo d’acqua che attraversa quel chiasso su un lato, scomparendo dopo un breve tratto sotto la facciata che impone la svolta a destra.


 

Guido Bertuzzi vicino al suo studio

BERTUZZI, PITTORE DEI NAVIGLI

E INNAMORATO DELLA PUGLIA

 


Guido dipingeva i tetti, i cortili, i barconi,

i ponti, i vicoli, i pretini, i balconi fioriti

la darsena su tegole, padelle, mattoni, assi

di legno, spianatoie, tele. Sapeva tutto di

Milano, anche gli angoli più nascosti, e la

sua storia. Amico di Bearzot e Lodetti, fu

giocatore nella squadra ragazzi del Milan.

E’ scomparso una quindicina di anni fa.




Artista dalle pennellate carezzevoli, Bertuzzi era uomo generoso, ospitale, affabile, buono; e aveva una risposta per ogni domanda: sulle chiatte, allora ancora in servizio; sui barcaioli, sui loro sacrifici e sulla “rozza” del naviglio, cavalli vecchi, stanchi, ossuti, che dalla sponda tiravano le barche in navigazione controcorrente. Quei “legni” trasportarono tante merci: sabbia, generi alimentari, mattoni e per oltre cinquecento anni i marmi da Candoglia alla Fabbrica del Duomo. L’ultimo viaggio fu compiuto il 31 marzo ’79 dal natante con la sigla 61- 6043.
Il Naviglio Grande dal ponte
Le prime notizie sul vicolo e dintorni le appresi dunque da Bertuzzi. Mi parlò del corso San Gottardo, l’antico borgo dei formaggiai, dove. ai primi del ‘900, nei depositi allestiti nei locali che si susseguono nei cortili, c’erano almeno 200mila “ruote” di parmigiano. E quando uno del luogo andava in piazza Duomo, tutti capivano da dove proveniva per l’odore che si portava addosso. Guido mi guidò nelle case di ringhiera, parlando della vita quotidiana e dei laboratori, cominciando da quello dei maestri argentieri alloggiato al civico 4. “Negli anni Cinquanta, sui navigli abitavano moltissimi meridionali. Traslocarono quando gli affitti lievitarono”. Con i “terroni”, così detti per affetto e simpatia, rumorosi ma civili, si familiarizzava. Lui aveva amici pugliesi, calabresi, napoletani, siciliani, che stavano in via Magolfa, in via Pavia, in via Ascanio Sforza… Gli davano manate sulle spalle e lo invitavano alle loro riunioni gastronomiche. Un pranzetto o una cenetta facevano presto a improvvisarli, soprattutto i pugliesi, sempre pronti a dare sfogo alla nostalgia, tanto da trasmettere a Bertuzzi, milanese doc, l’amore per la loro terra.

Cortile sul naviglio
Un giorno andai da lui con il questore Plantone, in pensione da qualche mese. Guido sapeva chi era, perché Vito aveva trascorso quasi tutta la sua carriera a Milano, dove, oltre ad essere stato capo della Mobile, aveva diretto il commissariato Ticinese in via Tabacchi (un tiro di schioppo da qui), il quarto e il primo distretto, in via Poma e in piazza San Sepolcro. Sapeva anche il nome del suo paese, dove tanti anni fa (non so oggi) si svolgeva il concorso “Le noci d’oro”, che richiamava gente anche da Taranto e da Bari. Quindi lo accolse a braccia aperte; e ne approfittò per farsi raccontare brandelli di Puglia. Vito lo accontentò esaltando il centro storico della sua “culla”: riposante, dalle delicate linee architettoniche. Salirono sul “pont de preja” e ammirarono la meraviglia del Naviglio Grande; al ritorno nello studio Guido gli fece dono di un quadro
Francobolli con opere di G.Bertuzzi
Un giorno nell’atelier” di Guido trovai Bearzot seduto di fronte al camino. Il pittore me lo presentò e il “mister” mi regalò un sorriso aperto e comunicativo. Grazie a Guido conobbi anche Giovanni Lodetti, già centrocampista campione europeo nel ’68 con la nazionale italiana. Quando organizzai la presentazione del libro di Gianni Antonucci sulla squadra di calcio barese alla galleria Prospettive d’arte in via Carlo Torre (a poca distanza dal vicolo), Lodetti accettò volentieri un posto fra i relatori. Era molto amico di Bertuzzi, che negli anni verdi aveva giocato nel Milan-ragazzi e qualche volta con gli undici adulti. Figlio di un artista dell’Eiar, vecchio nome della Rai, era tra gli artisti più noti e apprezzati della nostra Montmartre.
Aldo Cortina
Dipingeva non solo sulle tele, ma anche sulle padelle, sulle spianatoie, sulle tegole, sui comignoli, sui cotti dell’Antica Fornace Curti, le cui origini risalgono al 1400. I temi preferiti: i navigli, i tetti, i chierichetti con la veste rossa, i cortili, la darsena, le ringhiere gonfie di fiori penduli... Più volte lo colsi all’opera. Mi sedevo su una cassapanca della nonna zeppa di tele ancora intonse e lui deponeva la tavolozza per riferirmi le novità o per soddisfare le mie curiosità. “Vieni – mi disse un pomeriggio – voglio farti conoscere una persona che sicuramente ti potrà dare tante informazioni”. E bussò alla porta di fianco alla sua. Aprì la signora Elvira Radice, 92 anni, una chioma bianca come la neve, ma una pelle liscia da donna in boccio. 
Casa di ringhiera lungo il Naviglio
Sollecitata da Guido, rispolverò i tempi in cui forniva la lisciva alle lavandaie che lavoravano cantando e d’inverno vincevano il freddo con un sorso. Si avvicinò una vecchina bassa, esile, gli occhi come olive, espressione da gendarme, che – confidò - aveva ancora nelle orecchie i tuoni dei bombardamenti dell’agosto del ’43. “Gli ordigni non caddero da queste parti, ma da qui sentivamo il fracasso e immaginavamo i disastri che producevano, terrorizzati che potesse toccare a noi”. Aggiunse: “Lo sa che lo studio di Guido era una locanda di tanto in tanto frequentata dal feldmaresciallo Radestky? Me lo riferì la vecchia proprietaria, a sua volta ragguagliata da altri. Vuol sapere quanta gente è passata da qui? Tanta”. E Guido ricordò due spazzacamini spariti all’improvviso senza lasciare traccia; il pittore Sarik (Riccardo Saladin, origini genovesi), bravo, simpatico, compagnone, che quando scoprì la ceramica si trasferì in uno dei tanti locali della Fornace Curti; Aldo Cortina, artista delizioso, già allievo di De Pisis, presidente del comitato pittori di via Bagutta, proprietario della grande libreria universitaria di fronte all’Università Statale; il Carletto, alto, sottile, naso prominente, un po’ ricurvo, polemico e sempre attento alla pulizia del “ricciolino”, tanto da essere definito “sindaco del vicolo” Guido Bertuzzi, come Cortina, non c’è più da tempo; e quando passo dal vicolo dei Lavandai per andare da Gigi Pedroli, egregio acquafortista e cantautore in dialetto milanese, mi fermo davanti al civico 4 e lo rivedo, Guido. Ripenso al lungo servizio che una quarantina di anni or sono gli dedicai su Telemontepenice in occasione di una Festa del Naviglio; alla cartella di acqueforti su Milano, che volle far presentare a me, terrone inossidabile, lasciando perplessi il poeta Armando Brocchieri e il gallerista-pittore Angelo Cottino (che si ricredettero e mi citarono nel brindisi). Poi Nencini, “dominus” della famosa Galleria Boccioni, mi affidò l’incarico di intervistare, al Cida (Centro informazione d’arte), in via Brera, una decina di importanti artisti meneghini su come vedevano Milano. Venne anche Guido e accennò al Naviglio Grande, definito un’autostrada liquida lunga 50 chilometri, le cui prime notizie risalgono al 1179. Una via d’acqua affascinante che racconta secoli di storia: una via celebrata da scrittori, poeti, grandi giornalisti e fotografi, da Giuseppe Pontiggia ad Alfonso Gatto, a Gaetano Afeltra, a Carlo Castellaneta, a Fulvio Roiter…














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