Servizio di Franco
Presicci
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Guido Bertuzzi in vicolo Lavandai |
Il direttore de “Il
Milanese”, settimanale fondato da Arnoldo Mondadori, poi chiuso e
risorto, mi confessò il suo amore per i pittori che avevano
l’”atelier” in vicolo dei Lavandai, e per quello stesso nastro
di terra battuta che parte quasi dall’inizio dell’alzaia Naviglio
Grande e girando due volte a destra vi ritorna. “E’ la nostra
Montmartre: fammi un favore: corri a visitarla e scrivimi un pezzo
per il prossimo numero. Portati il fotografo”. Un invito a nozze,
per me. Ero già passato davanti a quel vicolo, diretto al negozio di
un tale che sosteneva di aver combattuto negli Stati Uniti su
parecchi “ring” dominati, all’epoca, da un “boss” della
mafia.
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Vicolo dei Lavandai |
Mi aveva colpito la tettoia, monumento nazionale che da sempre
ispira maestri consacrati e pittori estemporanei; e mi interrogavo
sulla targa all’angolo in alto, dedicato ai maschi, mentre a
faticare inginocchiate sul “brellin” a lavare a suo tempo i panni
erano le donne.
Colsi l’invito del
direttore, e la prima persona che incontrai da quelle parti, nel ’76,
fu il pittore Guido Bertuzzi, che di Milano conosceva storia, usi,
costumi, personaggi e ogni aspetto, anche il più nascosto. “Non è
che i maschietti non facessero niente – mi disse -. Andavano con il
carretto a prendere i panni da immergere nel ‘rizulin’, il
ricciolo d’acqua che attraversa quel chiasso su un lato,
scomparendo dopo un breve tratto sotto la facciata che impone la
svolta a destra.
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Guido Bertuzzi vicino al suo studio |
BERTUZZI,
PITTORE DEI NAVIGLI
E
INNAMORATO DELLA PUGLIA
Guido
dipingeva i tetti, i cortili, i barconi,
i
ponti, i vicoli, i pretini, i balconi fioriti
la
darsena su tegole, padelle, mattoni, assi
di
legno, spianatoie, tele. Sapeva tutto di
Milano,
anche gli angoli più nascosti, e la
sua
storia. Amico di Bearzot e Lodetti, fu
giocatore
nella squadra ragazzi del Milan.
E’
scomparso una quindicina di anni fa.
Artista dalle pennellate
carezzevoli, Bertuzzi era uomo generoso, ospitale, affabile, buono; e
aveva una risposta per ogni domanda: sulle chiatte, allora ancora in
servizio; sui barcaioli, sui loro sacrifici e sulla “rozza” del
naviglio, cavalli vecchi, stanchi, ossuti, che dalla sponda tiravano
le barche in navigazione controcorrente. Quei “legni”
trasportarono tante merci: sabbia, generi alimentari, mattoni e per
oltre cinquecento anni i marmi da Candoglia alla Fabbrica del Duomo.
L’ultimo viaggio fu compiuto il 31 marzo ’79 dal natante con la
sigla 61- 6043.
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Il Naviglio Grande dal ponte |
Le prime notizie sul vicolo e
dintorni le appresi dunque da Bertuzzi. Mi parlò del corso San
Gottardo, l’antico borgo dei formaggiai, dove. ai primi del ‘900,
nei depositi allestiti nei locali che si susseguono nei cortili,
c’erano almeno 200mila “ruote” di parmigiano. E quando uno del
luogo andava in piazza Duomo, tutti capivano da dove proveniva per
l’odore che si portava addosso. Guido mi guidò nelle case di
ringhiera, parlando della vita quotidiana e dei laboratori,
cominciando da quello dei maestri argentieri alloggiato al civico 4.
“Negli anni Cinquanta, sui navigli abitavano moltissimi
meridionali. Traslocarono quando gli affitti lievitarono”. Con i
“terroni”, così detti per affetto e simpatia, rumorosi ma
civili, si familiarizzava. Lui aveva amici pugliesi, calabresi,
napoletani, siciliani, che stavano in via Magolfa, in via Pavia, in
via Ascanio Sforza… Gli davano manate sulle spalle e lo invitavano
alle loro riunioni gastronomiche. Un pranzetto o una cenetta facevano
presto a improvvisarli, soprattutto i pugliesi, sempre pronti a dare
sfogo alla nostalgia, tanto da trasmettere a Bertuzzi, milanese doc,
l’amore per la loro terra.
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Cortile sul naviglio |
Un giorno andai da lui con il
questore Plantone, in pensione da qualche mese. Guido sapeva chi era,
perché Vito aveva trascorso quasi tutta la sua carriera a Milano,
dove, oltre ad essere stato capo della Mobile, aveva diretto il
commissariato Ticinese in via Tabacchi (un tiro di schioppo da qui),
il quarto e il primo distretto, in via Poma e in piazza San Sepolcro.
Sapeva anche il nome del suo paese, dove tanti anni fa (non so oggi)
si svolgeva il concorso “Le noci d’oro”, che richiamava gente
anche da Taranto e da Bari. Quindi lo accolse a braccia aperte; e ne
approfittò per farsi raccontare brandelli di Puglia. Vito lo
accontentò esaltando il centro storico della sua “culla”:
riposante, dalle delicate linee architettoniche. Salirono sul “pont
de preja” e ammirarono la meraviglia del Naviglio Grande; al
ritorno nello studio Guido gli fece dono di un quadro
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Francobolli con opere di G.Bertuzzi |
Un giorno nell’atelier” di
Guido trovai Bearzot seduto di fronte al camino. Il pittore me lo
presentò e il “mister” mi regalò un sorriso aperto e
comunicativo. Grazie a Guido conobbi anche Giovanni Lodetti, già
centrocampista campione europeo nel ’68 con la nazionale italiana.
Quando organizzai la presentazione del libro di Gianni Antonucci
sulla squadra di calcio barese alla galleria Prospettive d’arte in
via Carlo Torre (a poca distanza dal vicolo), Lodetti accettò
volentieri un posto fra i relatori. Era molto amico di Bertuzzi, che
negli anni verdi aveva giocato nel Milan-ragazzi e qualche volta con
gli undici adulti. Figlio di un artista dell’Eiar, vecchio nome
della Rai, era tra gli artisti più noti e apprezzati della nostra
Montmartre.
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Aldo Cortina |
Dipingeva non solo sulle tele,
ma anche sulle padelle, sulle spianatoie, sulle tegole, sui
comignoli, sui cotti dell’Antica Fornace Curti, le cui origini
risalgono al 1400. I temi preferiti: i navigli, i tetti, i
chierichetti con la veste rossa, i cortili, la darsena, le ringhiere
gonfie di fiori penduli... Più volte lo colsi all’opera. Mi sedevo
su una cassapanca della nonna zeppa di tele ancora intonse e lui
deponeva la tavolozza per riferirmi le novità o per soddisfare le
mie curiosità. “Vieni – mi disse un pomeriggio – voglio farti
conoscere una persona che sicuramente ti potrà dare tante
informazioni”. E bussò alla porta di fianco alla sua. Aprì la
signora Elvira Radice, 92 anni, una chioma bianca come la neve, ma
una pelle liscia da donna in boccio.
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Casa di ringhiera lungo il Naviglio |
Sollecitata da Guido, rispolverò
i tempi in cui forniva la lisciva alle lavandaie che lavoravano
cantando e d’inverno vincevano il freddo con un sorso. Si avvicinò
una vecchina bassa, esile, gli occhi come olive, espressione da
gendarme, che – confidò - aveva ancora nelle orecchie i tuoni dei
bombardamenti dell’agosto del ’43. “Gli ordigni non caddero da
queste parti, ma da qui sentivamo il fracasso e immaginavamo i
disastri che producevano, terrorizzati che potesse toccare a noi”.
Aggiunse: “Lo sa che lo studio di Guido era una locanda di tanto in
tanto frequentata dal feldmaresciallo Radestky? Me lo riferì la
vecchia proprietaria, a sua volta ragguagliata da altri. Vuol sapere
quanta gente è passata da qui? Tanta”. E Guido ricordò due
spazzacamini spariti all’improvviso senza lasciare traccia; il
pittore Sarik (Riccardo Saladin, origini genovesi), bravo, simpatico,
compagnone, che quando scoprì la ceramica si trasferì in uno dei
tanti locali della Fornace Curti; Aldo Cortina, artista delizioso,
già allievo di De Pisis, presidente del comitato pittori di via
Bagutta, proprietario della grande libreria universitaria di fronte
all’Università Statale; il Carletto, alto, sottile, naso
prominente, un po’ ricurvo, polemico e sempre attento alla pulizia
del “ricciolino”, tanto da essere definito “sindaco del vicolo” Guido Bertuzzi, come Cortina,
non c’è più da tempo; e quando passo dal vicolo dei Lavandai per
andare da Gigi Pedroli, egregio acquafortista e cantautore in
dialetto milanese, mi fermo davanti al civico 4 e lo rivedo, Guido.
Ripenso al lungo servizio che una quarantina di anni or sono gli
dedicai su Telemontepenice in occasione di una Festa del Naviglio;
alla cartella di acqueforti su Milano, che volle far presentare a me,
terrone inossidabile, lasciando perplessi il poeta Armando Brocchieri
e il gallerista-pittore Angelo Cottino (che si ricredettero e mi
citarono nel brindisi). Poi Nencini, “dominus” della famosa
Galleria Boccioni, mi affidò l’incarico di intervistare, al Cida
(Centro informazione d’arte), in via Brera, una decina di
importanti artisti meneghini su come vedevano Milano. Venne anche
Guido e accennò al Naviglio Grande, definito un’autostrada liquida
lunga 50 chilometri, le cui prime notizie risalgono al 1179. Una via
d’acqua affascinante che racconta secoli di storia: una via
celebrata da scrittori, poeti, grandi giornalisti e fotografi, da
Giuseppe Pontiggia ad Alfonso Gatto, a Gaetano Afeltra, a Carlo
Castellaneta, a Fulvio Roiter…
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