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mercoledì 31 maggio 2017

A colloquio con il pugliese Salvatore Seccia





IL BARBIERE DI GALLERIA MAZZINI

 

NON DIMENTICA NICOLO’ CAROSIO

 

 

Ebbe tra i suoi clienti anche

 

Cesare Maldini, Ivanhoe Fraizzoli,

 

Gino Bramieri e altri nomi noti

 

non soltanto dello sport e dello

 

spettacolo.

 

Seduto a un tavolo del bar che stava di fronte

 

alla sua barbieria, la “Voce”, il mito: Carosio,

 

indicava ai passanti il figaro che vi lavorava.

 









 
 Franco Presicci


“Signore e signori, è Nicolò Carosio che vi parla”... Bisogna tornare agli anni Sessanta-Settanta per ritrovare il radiocronista considerato la prima voce, il cantore del calcio italiano.
Ricordo filatelico di Nicolò Carosio
Teneva incollati i tifosi alle sedie, mentre lui descriveva i gol, i tuffi, le parate spettacolari, le goleade, le cannonate, i rigori, le geometrie inventate sul campo dai campioni, come fosse non allo stadio, ma su un palcoscenico di fronte a una platea affollatissima. E quando la palla bucava la porta avversaria e lui urlava “Reteee!” (e non “goal”, per l’allergia del regime alle parole straniere), si accendeva la frenesia anche in chi attraversava la strada con il pensiero altrove. Ha raccontato i “derby”, i Mondiali, le finali…, esaltandosi ed esaltando. Era la “Voce” con la lettera maiuscola. Un mito. Padre funzionario della dogana, madre pianista inglese, laurea a Venezia in legge, debutto a Bologna nel ’33, Carosio non fu tra le vittime della tragedia di Superga (4 maggio ’49: l’aereo del grande Torino caduto al ritorno da Lisbona), perché era rimasto a casa per il battesimo del figlio.
Galleria Mazzini
Era popolarissimo anche fra chi non seguiva il “foot-ball”. Continuò ad esserlo con l’avvento della televisione, con il suo stile originale, ricco di accenti e di colori che toccava direttamente il cuore. Fu una calamita, fino al ’71, quando l’età della pensione lo sottrasse alla scena. La sua ugola limpida e secca, quelle sue grandi interpretazioni da mattatore erano attese con ansia come un avvenimento teatrale. Ci metteva l’anima, il grande commentatore, s’immedesimava, si sentiva sul campo, tra i giocatori, li incalzava, travolgeva chi stava con l’orecchio teso. Nella vita privata era un buontempone. A volte si sedeva a un tavolo del bar che stava quasi all’ingresso della Galleria Mazzini, a due passi dal Duomo e da piazza Missori, e sorseggiava una bibita, esortando i passanti a farsi tagliare i capelli o la barba da Salvatore Seccia, oggi 69 anni, titolare del salone di fronte. “Come tosatore non ha uguali, è un maestro”, commentava. Qualcuno lo riconosceva e si fermava a fargli domande sui suoi entusiasmanti racconti al microfono della Rai; altri lo salutavano con devozione e passavano oltre. Era un bell’uomo, forse orgoglioso dei suoi baffetti alla William Powell. Lo racconta Salvatore, barbitonsore di classe, appassionato di calcio e suo estimatore.

Salvatore Seccia al lavoro
Me lo descriveva mentre metteva ordine nella capigliatura del prefetto Francesco Colucci, per la verità non tanto folta, ed era in attesa dell’arrivo di Cesare Maldini, che parlava poco e ascoltava molto. Della “Voce”, riferendosi non a Frank Sinatra, ma a Carosio, parlerebbe per ore; ma anche di un altro suo cliente degli anni passati: Ivanhoe Fraizzoli, titolare di una fabbrica di divise militari ed alberghiere, successore, nel ’68, del petroliere Angelo Moratti alla presidenza dell’Inter. Non da oggi somigliano ai salotti, le barbierie: luoghi in cui in attesa del loro turno gli avventori alleggeriscono la noia parlando del più e del meno: delle partite già giocate e di quelle in programma; oltreché dell’attività del governo, dell’assillo delle tasse, dei fatti che ci tengono con il fiato sospeso, degli amori e dei loro tramonti nelle famiglie patrizie. Insomma, sono “simposi senza vino”, come vennero a suo tempo definite. Da Salvatore capita di sentirti chiedere a bruciapelo: “Ricordi Nicolò Carosio in Fancia-Italia nel ’58?”. E se non si è appassionati di calcio; se non si conoscono i virtuosismi degli assi, i primati dello sport, si prova imbarazzo, come il tale che, avendo frequentato sì e no la quinta elementare, si senta imprigionato da un saputo, magari finto, in una domanda sulla battaglia di Canne. 
Il salone di Seccia
Salvatore è un patito delle schermaglie calcistiche, ne conosce la storia e le storie, e di Carosio. “Lo sai che aveva una generosità quasi unica? Ha aiutato una nidiata di giornalisti, compreso il papà di un noto uomo politico che è anche scrittore raffinato” (il nome? “Mai farne anche in omaggio alla ‘privacy’”). Si faceva radere tutte le mattine. Era elegante, sempre in giacca e cravatta, espressione seria, quasi severa. Sulle poltrone girevoli di Salvatore Seccia in Galleria Mazzini si sono sedute parecchie personalità del mondo sportivo; e ancora adesso non sono pochi quelli che varcano la soglia della sua barbieria, dove si parla anche di Varenne, andato in pensione con la fama di “re indiscusso del trotto mondiale”; o dei pugni di Primo Carnera, un Sansone campione mondiale dei pesi massimi dal ’33 al ‘34. C’è tanto da imparare da Salvatore Seccia, che con amici e clienti vive l’attesa di un “derby” con la stessa emozione di uno sposo alla vigilia delle nozze. Lo sa anche Tito Stagno, il giornalista che fece la telecronaca dello sbarco del primo uomo (Armstrong) sulla luna (20 luglio ’69), commentato contemporaneamente da Ruggero Orlando da Houston; e lo sapeva Gino Bramieri, il grande attore comico affermatosi nella rivista con Macario. Entrambi affidarono a Salvatore la propria chioma.
Il Prefetto Colucci con Seccia
Ha preso per i capelli anche Carlo Sangalli, presidente dell’Unione Commercianti, i poliziotti Achille Serra, poi prefetto di Roma; Paolo Scarpis, questore di Milano, quindi prefetto di Parma; Lucio Carluccio, questore di Brescia e di altre città; il prefetto Francesco Colucci, tutti già pilastri di via Fatebenefratelli, come da commissari Vito Plantone, Mario Nardone, Mario Jovine, Enzo Caracciolo, il maresciallo Ferdinando Oscuri impegnati nella caccia a banditi di grosso calibro e a bande agguerrite e solidamente organizzate, come quelle “del cinese”, “della dolce vita”, “dei Tir”, “del lunedì” e via dicendo. “Salvatore – chiesi un giorno a Seccia mentre era intento a modellare il cespuglio di un signore con un paio di baffi alla Peppone (Gino Cervi), avversario di don Camillo (Fernandel, al secolo Fernand Joseph Desirè Contandin) –, di te non parli mai?”. “Io sono un umile barbiere, che devo dire?”. Scherza, è simpatico, un giocherellone. Diverte. Parla per paradossi, spara occhiate come fulmini, si esibisce in duelli verbali e fa il sornione. Chi usa con abilità pettine, forbici e rasoio svolge un mestiere d’arte, gli dico. E’ storia lunghissima, la vostra. Nell’antichità i tuoi colleghi andavano di porta in porta a offrire le loro prestazioni; in tempo di guerra anche a Milano esercitavano nei parchi con il cliente seduto sulle panchine; in Vietnam compiono l’operazione accosciati sul pavimento di fronte all’avventore nella stessa posizione; in Cina usano come poltrona il risciò…”. Facendo fremere il baffo alla Einstein, conclude: “Io ti ho già evocato Nicolò Carosio, che era, lui sì, un personaggio a tutto tondo. Mi appassiono soprattutto quando ne parlo lavorando sulla testa dei più giovani”. Salvatore è di Margherita di Savoia, il paese che signoreggia sull’Adriatico, sulla sinistra della foce dell’Ofanto (celebrato da Orazio e nominato da Virgilio), e odora di sale, iodio e bromo. Odori di farmacia, che partono dal III secolo avanti Cristo.

Via Mazzini
“Sono un pugliese doc e barbiere per caso”. Docente per alti meriti in un’importante scuola della categoria, non scelse deliberatamente il mestiere di figaro. “Il salone era aperto proprio davanti a casa nostra, e io ci andavo per fare il ragazzo-spazzola. Quando compii i sedici anni salii sul treno della speranza e approdai a Milano”. Dovendo guadagnarsi il pane, quasi istintivamente cercò una sala da barba, trovandola in via Fara, vicino al palazzo del Comune di via Melchiorre Gioia, dove di solito innalzavano il tendone i circhi di Liana e di Moira Orfei…, e scatenavano musiche e rumori i “luna-park”. Fatto il suo tirocinio, si trasferì in Galleria Mazzini. E la Puglia? “Penso molto a questa nostra terra luminosa, una meraviglia, un miracolo”. Si è tenuto la casa dei genitori non solo per andarci, ma anche per mandarci gli amici. “Come dimenticare la Puglia? La Puglia è parte di me”. Mi saluta con una beffa: “Scommetto che non hai ricordo dell’amichevole Italia-Cecoslovacchia allo stadio della Vittoria di Bari nel ’47. In campo Bagigalupo, Gabetto, Carapellese…”. Una domanda da “Lascia o raddoppia?”. Contro la malattia del calcio non è stato vaccinato.





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