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giovedì 13 giugno 2019

Un aquilone vola libero nel cielo - EDIZIONE STRAORDINARIA


Enrico Nascimbeni

E’ DECEDUTO ENRICO NASCIMBENI
GIORNALISTA, POETA, CANTAUTORE







Cominciò la carriera collaborando
con “Il Corriere della Sera”, passò
poi al “Giorno”.

Scrisse canzoni con Roberto Vecchioni, che recensiva le sue poesie sul quotidiano di via Solferino.

Memorabile il suo impegno sociale a favore delle minoranze osteggiate.

Era coraggioso, buono disponibile.

I suoi concerti avevano successo, ebbe premi anche all’estero.



Interprete dei sentimenti dell'Autore e degli affezionati Lettori, pubblico con una edizione straordinaria, in contemporanea con l'articolo dell'amico Luigi Frisoli, la notizia riguardante la grave perdita del grande giornalista Nascimbeni, venuto a mancare improvvisamente all'età di 59 anni. Il direttore. 
Franco Presicci

Oggi, mercoledì 12 giugno, pomeriggio, alle 14.30, vado su Facebook e leggo una bruttissima notizia di Leonardo della Maga: è morto Enrico Nascimbeni, giornalista, scrittore, poeta, cantautore, figlio di Giulio, uno dei mostri sacri del “Corriere della Sera”, tra l’altro biografo di Montale. Le lacrime non mi hanno impedito di aprire il computer e di scrivere, sia pure di getto, un ricordo. Anzi più ricordi, susseguitisi con rapidità, tanto da farmi fare fatica a metterli insieme. Conseguita la laurea in lettere e filosofia, eccolo sulle orme del padre, che lui considerava un esempio, un modello.
Enrico Nascimbeni
Lo amava moltissimo, come si vedeva dalle fotografie che situava su Facebook (lui ragazzino seduto alla scrivania di fronte al grande Giulio, come l’allievo al cospetto del maestro, e in altre immagini che lo riprendevano con la mamma, che non c’era più). Dopo una collaborazione con “Il Corriere della sera”, venne al “Giorno”, già trasferito in piazza Cavour. Aveva 24 anni, era un ragazzo sveglio e tormentato. Quando catturava una notizia scattava, veniva da me e mi chiedeva se ero interessato ad occuparmene. Certo che lo ero, ma gli passavo volentieri il bastone, perché sapevo che era di stoffa buona e che doveva farsi le ossa. Un giorno ammazzarono due malviventi, sparando loro in faccia con un fucile a canne mozze, e mi interrogò con lo sguardo. Lo invitai a precipitarsi sul posto e io stesso telefonai al fotografo e all’autista, per fare più presto. Dopo un’oretta lo raggiunsi e la concorrenza, sempre pronta a malignare: “Non si è fidato, è venuto anche lui”. Era un avvenimento grosso, alle indagini partecipava anche un commissariato competente per territorio, dove io contavo tanti amici, e avrei potuto sapere particolari sulle vittime che magari a Enrico e agli altri non sarebbero stati rivelati. Enrico aveva già fatto una buona vendemmia e io me ne rallegrai. Tornati al giornale si mise subito a scrivere il pezzo, me lo fece leggere e gli dissi: “Bellissimo, dovizia di dettagli, ottima descrizione dell’ambiente e dei personaggi. Devi soltanto togliere la mia firma apposta accanto alla tua”. Insistette e io feci altrettanto. Una sera mi chiamò a casa mortificato: era andato al bar, aperto al primo piano del palazzo fino a notte, due rapinatori avevano fatto irruzione in un’oreficeria e un collega che non si occupava di “nera”, arrivato all’improvviso fuori dal suo turno e trovata deserta la cronaca, saltò in macchina catapultandosi sul posto. Al suo ritorno, Enrico gli regalò una chicca: “Uno dei rapinatori sentendo l’ululato delle volanti ha telefonato alla mamma in Sicilia esprimendole la paura di essere arrestato”.
Presicci con Enrico mentre finge un malore
Quindi Enrico telefonò a me e mi confidò la sua amarezza. “Non te la prendere - lo confortai – hai soltanto sentito il bisogno di andare a bere un caffè. A me è successo di arrivare in ritardo in piazza Filangieri per un’evasione collettiva, il 30 aprile ’80, perché ero a pranzo da un amico. Chi potrà giudicarti male? Un’altra volta andai al giornale verso mezzogiorno e trovai Enrico ad aspettarmi vicino all’ascensore. “Cosa è successo?”. In un negozio di parrucchiere nei pressi di corso Buenos Ayres un tossicomane ha rapinato l’incasso; mentre usciva la nipote del titolare per il terrore ha lanciato uno sgabello, quello si è voltato e ha fatto fuoco, uccidendo il titolare. Ho potuto raccogliere pochi dati perchè la serranda era abbassata e nessuno ha saputo dirmi qualcosa”. “Vuoi che ci andiamo insieme?”. “Mi farebbe piacere”. Davanti alla barbieria c’era un bar affollato. Entrammo e interpellando diversi avventori, che furono prodighi di brani della vita della vittima, che aveva esercitato per molti anni in quella via. Enrico notò una foto incorniciata su una parete; e sollecitando il proprietario, seppe che le persone ritratte, tra le quali c’era anche il parrucchiere, erano clienti assidui del locale (mi pare che giocassero tutti in una squadra di calcio). Enrico gli chiese in prestito il quadro, giurando che l’avrebbe riportato dopo un’ora la massimo: il tempo di andare al giornale, farlo riprodurre dai fotografi e tornare. E anche in quell’occasione scrisse un pezzo ammirevole. Per la mia collaborazione affettuosa mi ricambiò con il titolo di maestro. Mi fu riferito che lo aveva detto anche ai commissari all’esame di stato di giornalismo, affrontato nel ‘95. E ogni tanto lo scriveva su facebook. “Maestro di che, Enrico? Sei bravissimo, simpatico, generoso… Io ho soltanto un po’ di esperienza in più, visto che da anni mi muovo fra delitti, rapine, sequestri di persona, fatti di terrorismo… e ho un buon numero di amici che all’occorrenza mi riservano un occhio di riguardo.
Tanino Gadda e Luisella Seveso
Anche Giancarlo Rizza e Gaetano Gadda, conoscendo il tuo talento, ti darebbero una mano”. Un’altra sera stavo per uscire per andare con mia moglie alla festa del cronista che si svolgeva prima di Natale al circolo della stampa, squillò il telefono. “Franco, soltanto tu mi puoi aiutare. Ho saputo che gli uomini del commissariato…hanno ispezionato un’auto parcheggiata nella via… e vi hanno trovato 60 chili di cocaina (forse eroina, non ricordo). Ho telefonato e il piantone mi ha risposto che gli uffici sono vuoti perché tutti se ne sono andati a casa. La notizia è grossa, credo di averla soltanto io, ma mi manca il tessuto”. Feci un po’ di telefonate, seppi quello che dovevo sapere, lo trasmisi a Enrico, il quale il giorno dopo, aprendo il giornale, rimase demoralizzato: chi aveva realizzato il titolo in prima pagina,  per una svista (dovuta alla fretta con cui spesso si è costretti a lavorare in un quotidiano), aveva attribuito l’operazione alla squadra mobile. Non era una cosa da poco ed Enrico se ne addolorò, pensando alla figuraccia che avrei fatto io con chi mi aveva favorito, dandomi la notizia in esclusiva. 

Il poeta Nascimbeni
Rizza in barca col figlio Sergio
Provava imbarazzo quando qualche sprovveduto gli ricordava di essere il figlio unico di Giulio, che, redattore letterario del quotidiano di via Solferino, intervistò grandi personaggi del secolo, tra cui Marguerire Yourcenar, Pier Paolo Pasolini, Erich Fromm, George Simenon, Jorges Luis Borges, curò “Tuttilibri” per la Rai…. Come sè essere figlio di una penna nobile fosse una colpa. Poi Enrico lasciò “Il Giorno” e assunse l’incarico di capocronista all’”Arena” di Verona, quotidiano in cui il papà aveva iniziato la carriera a soli 16 anni, divenendo capo della terza pagina. Già scriveva libri di poesia, che Roberto Vecchioni recensiva sul “Corriere della Sera“, e canzoni per la voce di cantanti famosi, tra cui Mietta e Francesco Buccini. Su facebook faceva interventi contro gli omofobi, i razzisti, la cattiva politica…Un impegno sociale che svolgeva con coraggio, determinazione, per il quale tra l’altro subì un’aggressione sulla porta di casa da parte di due individui, che, ferendolo, gli urlarono “sporco comunista di m…”. Lavorava intensamente. Intervistò Craxi ad Hammamet, fece reportage a Kabul e nei Balcani; scrisse canzoni anche con Vecchioni, come “L’ultima notte di un vecchio sporcaccione” con lui interpretata al Premio Tenco nel 2003. Partecipava a manifestazioni contro la violenza di ogni tipo e faceva tante altre cose, compresa una collaborazione con “Il Corriere”.
Era nato nel ’59 a Verona (il papà a Sanguineto, dove gli hanno intestato una scuola), viveva a  Milano. Più volte negli anni gli ho telefonato, spesso parlando con Giulio perché lui era impegnato con la musica altrove. Mi chiamò per invitarmi a cena, ma io ero a Martina Franca. L’invito fu rimandato, ma quando rientrai Enrico era fagocitato dai suoi impegni ed era irraggiungibile.
La moglie Pat Vetti ha scritto che era un aquilone. “Ora vola libero e manda a tutti un abbraccio di libertà”. Ma gli aquiloni poi atterrano. Enrico ha compiuto il suo ultimo volo, e non lo vedremo più. Io ho uno scrupolo: non ho mai scritto un articolo su di lui: ragazzo meraviglioso che non aveva remore a stigmatizzare i mali della società in cui viviamo. Altri dicono “Ma chi me la fa fare? Tanto il mondo va a rotoli e non cambia”. Lui no, combatteva, inveiva, spesso con un linguaggio fuori delle righe. Adesso che se n’è andato, a 59 anni, sono tanti, anche su facebook, a salutarlo, a ricordare momenti esaltanti della sua vita: concerti di successo, premi a non finire, tra cui uno importantissimo in Australia... No, non sono stato il suo maestro. Avevo da imparare da lui. Non andrò al suo funerale: Enrico Nascimbeni, giornalista dall’85, uomo generoso e disponibile, schietto, amico sincero, è dentro il mio cuore.










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