Pagine

Print Friendly and PDF

mercoledì 26 giugno 2019

Il gioiello che vedo dal mio balcone


                 RAMPONIO, IL PAESINO DI FRONTE A LAINO ADAGIATO SU UN FIANCO DELLA MONTAGNA


Arvedo Leoni e il cigno con la coda di paglia

Ha visto dimezzare nel tempo i suoi abitanti, e tante case sono in vendita.

Chi è rimasto gli è molto affezionato. 

L’incontro con il pensionato

Arvedo Leoni, 78 anni, che realizza animali e altre opere con il legno che raccoglie nel bosco.  

Scrive anche poesie, che definisce
ricami di vita quotidiana.





Franco Presicci
Dal mio balcone lo vedo, il paesello delizioso: Ramponio; lo osservo, accucciato sul fianco della montagna, quasi attaccato a Verna, in origine un villaggio minuscolo. E quando non gli rivolgo lo sguardo, impegnato a godere il profumo dei fiori del mio giardino grande quanto un foglio di quaderno, mi attira un raglio d’asino, quasi un pianto, e il rumore di una sega, che mi dicono non appartenere a questo agglomerato, a differenza dello scampanio, a scadenze fisse, della chiesa, che spesso riprendo con l’obiettivo, incorniciato dai rami del boschetto che ho a due passi. 

Case di Ramponio
La gerla
Mi avevano detto che Ranponio, un gioiellino, si è svuotato e che gli 800 abitanti di una volta si sono dimezzati. Non c’è lavoro, i giovani se ne vanno in Svizzera, a Como o a Milano, e se ne sono andati anche tanti anziani, ma da un’altra parte. M’informa Alberto Sala, 69 anni, ex impiegato comunale ed ex vicesindaco, con una passione speciale: la raccolta di vecchie foto di personaggi, mestieri, negozi, tutti scomparsi, “fatta eccezione per un esercizio di alimentari… Fino a una ventina di anni fa, c’era un po’ di turismo: gente che quando a Milano il caldo si faceva rovente si riparava da noi per rinfrescarsi”, ad assaporare la tranquillità e il silenzio; a godersi l’aria pura. “C’era miseria, qui; i contadini avevano galline, conigli, la mucca, il cui latte nutriva le famiglie e il di più alimentava tre latterie”.

La casa di Leoni
Oggi molte case sono scatole vuote e gli esercizi commerciali sono spenti. A Ramponio come in tutta l’Alta Val d’Intelvi formicolava il movimento clandestino delle sigarette: i contrabbandieri attraversavano i sentieri, le mulattiere con le loro bricolle in spalla con la complicità del buio. La gente li conosceva e non li giudicava: era un mestiere che consentiva il sostentamento, un rimedio all’indigenza. “Durante la guerra si faceva la fame, come nel resto del Paese, e bisognava arrangiarsi”. Sala, un omaccione dal volto rasserenante, gli occhi vivaci, disponibile, racconta in breve e con una punta di malinconia, la sua culla, vincolata dai Beni ambientali fin dall’inizio del ‘900. E’ un posto ridente, suggestivo, riposante; ma amareggiano anche chi lo visita per la prima volta tutte quelle porte serrate, molte con la scritta “vendesi”. Sala torna alle sue foto (che hanno partecipato ad una mostra importante), di cui dev’essere geloso come tutti gli appassionati custodi del passato.
La piazzetta
A quell’esposizione accenna anche Massimo Vigli, 54 anni, ex forestale, che si è aggiunto a noi nella sala consiliare, spaziosa, ariosa, elegante, del municipio, adagiato sulla piazzetta che scivola verso la chiesa di San Giovanni, che gli sta di fronte: il cuore amministrativo e la sede della celebrazione del culto. A proposito di fauna, quali specie popolano il territorio? Risponde Vigli: “Cinghiali, che però non sono autoctoni, cervi, caprioli, qualche camoscio, volpi, faine, martore, tassi. Minacciati dal bracconaggio, non soltanto qui, ma in tutta la valle. I cervi compaiono la sera, verso le 10, e ovviamente scappano appena si disegna davanti a loro una figura umana. Sono meravigliosi, i palchi spettacolari”. Dove abito io, pur sempre diffidenti e guardinghi, si espongono un tantino di più: se mi limito a fotografarli a distanza di sicurezza, magari rimanendo seduto su un sasso, pasteggiano sotto un albero del boschetto; ma se solo mi alzo saltellano e spariscono nella vegetazione.

La volpe mi osserva



La volpe viene a passeggiare sul balcone o si apposta sul muretto grondante di gelsomino del giardino e mi guarda come se mi studiasse. Credevo di poter stabilire un rapporto di amicizia…, “ma queste cose – interviene Vigli - appartengono alla finzione cinematografica: in ‘Due passi dal cielo’, il lupo scruta Terence Hill, lo esanima, lo segue con cautela e alla fine si convince che può avere fiducia”. Ho un desiderio e lo confesso: incontrare un anziano impegnato in un hobby. Sala fa fatica a pescarne uno nella memoria. “Mio padre, Giovanni, non c’è più: lui, quando andò in pensione, per passatempo si mise a fare ceste, gerle, zoccoli, rastrelli di legno e altri attrezzi per la campagna”. 

Massimo Vigli

Neppure Vigli ha un nome da proporre. Pensa, si consulta con un conoscente appena arrivato per parlare con il sindaco, che ha faccende da sbrigare altrove (“Sarà qui fra un quarto d’ora”, comunica un’impiegata presa da un mucchio di fogli), ma l’idea non sboccia. Poi improvvisamente nella testa di Sala si accende la lampadina: Arvedo Leoni, 78 anni. Sta a pochi metri da qui: prima di arrivare alla chiesa, volti a destra, scenda per un po’ e lo trova a sinistra. Se c’è, vedrà che ha oggetti molto belli da mostrare… “. Riflette e dice: “E’ meglio che venga anch’io”. Pochi minuti, parcheggia, chiama, dalla porta aperta non esce alcuna voce; da una finestra della casa, bellissima, un’architettura da fiaba, sbuca Arvedo: “Scendo, intanto accomodatevi”. Sala mi presenta, Arvedo ci fa entrare, mi offre una sedia in cucina, mentre l’accompagnatore saluta ed esce. Il padrone di casa ha appena finito di pranzare, la moglie e il figlio sono al piano superiore, e lui mi fissa in modo interrogativo.

Maschera eseguita da Arvedo
Pongo la prima domanda, avendo già adocchiato alcuni suoi pezzi appesi alle pareti: trottole, pipe, maschere e un piatto con uccelli fatto con migliaia di stuzzicadenti intrecciati; e su una mensola, una tartaruga che muove la testa e la coda, un falco eseguito con le pigne… un’altra tartaruga realizzata con un guscio di noce, un bastone istoriato e con il pomo a mappamondo... Quanta fantasia! E che abilità nei dettagli, nelle rifiniture! Arvedo parla poco, ma soddisfa con delicatezza le mie curiosità. “Vado nei boschi con i miei cani, Bo e Cleo, e prendo il legno che mi serve: il nocciolo, il faggio, il carpino”. Riproduce quasi soltanto animali. Allinea alcuni esemplati sul tavolo, dov’è rimasta la tovaglia, e tace. Com’era qui la vita una volta? ”Curare le capre, le mucche… Chi non ne aveva voglia si dava al contrabbando”. Il suo mestiere? “Il metalmeccanico in un’azienda di Milano”. Da ragazzo aiutava il padre a fare lavori in legno, soprattutto gerle per trasportare il letame, il fieno… Da quando è in pensione ha ripreso a maneggiare gli utensili necessari. Non si vanta del suo serraglio, anzi lo tratta come se non fosse stato creato da lui; e si stupisce quando gli dico che è degno di un’esposizione. Non è in vendita: lo tiene per sè. Tutt’al più lo regala.

La casa di Leoni
Usciamo sul suo piccolo terrazzo che si affaccia sulla valle, dove lui evidentemente si siede per ammirare il paradiso che lo circonda. A guardar bene comprende anche Laino, le cui case, data la lontananza, sono piccole come quelle di Lilliput. E riecco il campanile che svetta trionfando su queste gobbe enormi. E’ ora di andare, anche se Arvedo non ci mette fretta: è calmo, sereno, un po’ distaccato. Forse aspetta altre domande. Sono insaziabile e ne improvviso una: qualche curiosità? “Fino a un paio di anni fa arrivava puntualmente una volpe, che mangiava con i miei cani, senza alcun timore per la mia presenza. Poi non si è fatta più vedere”. Quando sto per imboccare l’uscita, Arvedo vince il pudore: “La prossima volta le farò vedere delle cose?”. “Cioè?”. “La prossima volta”. Insisto e cede: “Le mie poesie”. Anche poeta. Gli chiedo di recitarmene una. “La prossima volta. Sono ricami di vita quotidiana”. Traduce in versi ciò che vede, ciò che accade in questo paese seducente, nonostante quella scritta implacabile (“vendesi”) sulle porte delle case di pietra senza più anima. Arvedo mi accompagna per un tratto; quindi affronto da solo i “tunnel”, gli archi, le stradine, le scale, le salite che conducono allo slargo del Comune, dove a dispetto dell’ora alcune signore vanno, senza correre, facendo invidia a chi a Milano vive tra concittadini che hanno il passo dei maratoneti. Mi rimetto in macchina pensando alla cortesia di Arvedo, che mi ha invitato a tornare per leggere i suoi ricami poetici. Che bella giornata, questa del 14 giugno: il sole, la pace di Ramponio, il campanile che detta le ore con i suoi batacchi, il paesaggio, le persone che ho conosciuto. Mi soffermo un po’a guardare il cielo, dove - mi ha detto Vigli - spesso volteggia l’aquila reale, ma forse è già passata e adesso banchetta nel suo nido. Mi rifarò con il falco che quasi ogni giorno fa il girotondo sulla mia casetta. Risalgo in macchina, metto in moto, mi ritrovo sulla strada, stretta, che in fondo si biforca, andando a destra verso Lanzo, e a sinistra, verso San Fedele, dove fra tante curve declina in direzione di Argegno, Como… Sono contento: mi sento più ricco.





Nessun commento:

Posta un commento