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mercoledì 3 luglio 2019

I giorni roventi di Milano


Mario Nardone


UN INCUBO LE RAPINE FATTE O TENTATE
I SEQUESTRI DI PERSONA E GLI OMICIDI

Un assalto in banca finito con la resa dei
banditi; l’impresa di due fratelli alla scuola
elementare di Terrazzano, che tenne per
ore e ore la città con il fiato sospeso, primo
fra tutti Mario Nardone, allora capo della
squadra mobile.





Franco Presicci
Di giornate d’ansia Milano ne ha vissute tante: i 96 alunni presi in ostaggio il 10 ottobre del ’56 da due uomini esaltati nella scuola elementare di Terrazzano; la rapina di via Osoppo, finita in un libro che raccoglie le imprese più clamorose della malandra internazionale; il colpo all’oreficeria Colombo ((9 giugno del ’64; bottino 350 milioni); la sparatoria di largo Tel Aviv (13 settembre del ’67); l’assalto della banda Cavallero all’agenzia del Bano di Napoli di largo Zandonai, che seminò morti e feriti sulle strade; l’evasione in massa da San Vittore del 29 aprile dell’80, e via dicendo.
Francesco Colucci
Un altro giorno da cani fu l’8 settembre del ’75, quando due banditi si asserragliarono in una banca, prendendo in ostaggio dieci clienti e sette impiegati. Furono oltre 9 ore d’incubo. Erano entrati alle 9 del mattino, avevano razziato 10 milioni e se ne stavano facendo consegnare altri 14, quando furono notati da una pattuglia di vigili urbani di passaggio. Immediatamente strillò in telefono della centrale operativa della questura e due volanti ululando si precipitarono sul posto. I rapinatori ormai in trappola minacciarono di fare un macello, se non fosse stato consentito loro uno spiraglio.
Achille Serra

La situazione si faceva complicata e sul posto arrivarono Achille Serra, allora dirigente della sezione rapine (diventerà questore di Milano, capo dello Sco e prefetto di Roma), il capo della Mobile Antonio Pagnozzi, un ottimo poliziotto che concluderà la carriera anche lui da prefetto. Una delle due pellacce, dopo 10 anni di carcere, era uscita un mese prima dal carcere. E naturalmente faceva di tutto per non ritornarci. Che fare? Gli investigatori avviarono un dialogo, sperando di poter evitare che la situazione degenerasse, mettendo in pericolo la vita delle persone, tra cui 5 donne, un bambino di 4 anni e i suoi nonni, oltre a quella degli stessi banditi e dei “detectives”, che nel frattempo si erano infoltiti. Come succede in questi casi si era assiepata una folla, difficile da tenere a debita distanza. Tra l’altro, dalla calca si levavano urli di parenti angosciati e di cittadini propensi al linciaggio. Furono richiesti i rinforzi e giunsero altre volanti, “gazzelle” dei carabinieri, elementi del reparto la Celere. Achille Serra entrò nel bar attiguo e fece il numero della banca. Rispose uno dei rapinatori: “Non vogliano sentire ragioni: dovete metterci in condizioni di andar via; altrimenti farò cantare le armi”. Il poliziotto non si arrese, cercò di capire la psicologia dell’interlocutore; e, se possibile, anche l’identità del complice. 

Giannattasio e Oscuri
Il prefetto Antonio Pagnozzi
Seguirono decine di telefonate e momenti drammatici. La folla si agitava; gli urli di dolore e di vendetta non si placavano. I banditi chiedevano 200 milioni e un’auto per potersi allontanare portandosi dietro soltanto il direttore dell’istituto di credito. Serra insistette nell’opera di convincimento: era disposto a proseguire le trattative a condizione che lasciassero subito le donne, il bambino e i due nonni. A un certo punto uno dei due rivelò di conoscere Serra, i marescialli Oscuri e Imbriani, e il funzionario fece in modo di fargli dire le occasioni in cui li aveva incontrati e gli episodi di cui era stato protagonista. Così gli fu chiaro chi c’era dall’altra parte del filo. Si consultò con Pagnozzi, che decise di mandare a chiamare la moglie. Si pensava che la voce della donna avrebbe potuto sbloccare lo stallo. Invece no. Il sostituto procuratore della Repubblica Pomarici si alternò con Serra, mettendocela tutta per piegare il bandito, che continuava con le minacce, che diventavano però sempre più deboli, tradendo la stanchezza dei “duristi”.
Mario Jovine
Il sostituto ne approfittò per far credere che, se si fossero arresi al processo avrebbe chiesto pene meno pesanti. Serra incalzò: “Non avete alcuna possibilità di scampo, soprattutto adesso, che siete stati individuati”. Alle 17 il primo cedimento.: “Serra, di te ci fidiamo. Forse abbiamo perso. Se entri disarmato, noi ci arrendiamo”. Consulto con il vicequestore Monarca (nell’85 questore a Roma), Serra entrò, preoccupandosi che i suoi parenti non sapessero dalla radio, che trasmetteva in diretta le fasi dell’operazione, del rischio che stava affrontando. Seguirono altri momenti di tensione: i “duristi” pretesero di perquisirlo, lui rifiutò e sorse il dubbio: se volevano veramente consegnarsi, che cosa importava che il poliziotto avesse o no un’arma? Qual era il trucco? Le trattative non naufragarono. Serra, seguito dal magistrato, assicurò di essere disarmato, i due si fidarono, deposero i passamontagna, le pistole, una 7.65 Luger e una 7.65 Beretta, e l’incubo si sciolse. La folla tirò un sospiro di sollievo, i parenti piansero di gioia. Erano le 18. I banditi vollero essere accompagnati prima nello studio del loro avvocato, incappucciati e tenuti lontano dalla fiumana, che inveiva. Uno uscì tra due ufficiali dei carabinieri; l’altro “chiuso” tra Serra e Pagnozzi. I poliziotti furono accerchiati dai giornalisti, che li mitragliarono di domande senza tener conto del fatto che erano stravolti dalla brutta esperienza. Serra riuscì a dire che quella era stata una giornata per lui indimenticabile, come il precedente assedio in via Lassalle 10 di un bandito di più alto spessore, “cervello” di una banda che farà molto parlare di sé.
Enzo Caracciolo e Vito Plantone
“Quando bussammo alla porta dell’appartamento al quarto piano dello stabile in cui si erano rifugiati in tre, due uomini e una donna che in fatto di coraggio non aveva niente da invidiare agli uomini, uno gridò: “Non avvicinatevi, se no facciamo una strage”. Anche allora ci fu una trattativa, meno lunga. Alla fine, il presunto capo promise di arrendersi e chiese di brindare con Serra con coppe di “champagne” “Cristall”. Dopo la fuga dell’80 da San Vittore raggiunsi quel bandito, che si era rintanato in una casa di fronte in cui si trovavano una nonna e il nipotino: volevo fargli delle domande, ma mi trovai alle spalle Antonio Pagnozzi e Achille Serra, che non fecero fatica a tirarlo fuori e a infilarlo in una “pantera” della volante. Dopo qualche anno, presi parte a una decina di puntate di “Fuori Orario”, una trasmissione che andava in onda su Raitrè; e una sera la regista mi chiese se avessi la possibilità di intervistare un rapinatore. Mi procurai l’indirizzo di uno dei due della tentata rapina di cui parlavo prima; ma non c’era. La portinaia mi disse che forse avrei potuto trovarlo in un certo bar, che lui bazzicava abitualmente.
Mario Jovine nella sua casa di Bologna


Ci andai, mi suggerirono di scendere al piano sottostante; e lo feci. Mentre scendevo, una decina di persone sedute attorno a un grande tavolo mi guardarono interrogativamente; qualcuno in modo ostile. Spiegai il motivo della mia comparsa, ma nessuno mi rispose. Lasciai il mio biglietto da visita e dopo un paio di giorni la persona che avevo cercato mi telefonò al giornale. Le riferii l’invito in televisione e mi rispose che non voleva esporre il suo volto sul piccolo schermo. Passò del tempo e m’imbattei nel bandito nel corridoio della questura che portava alla Mobile. MI presentai e gli feci qualche domanda. Mi rispose in modo gentile senza fermarsi, perché era atteso proprio da Achille Serra, che era stato promosso dirigente. “Lei mi chiede com’è cambiata la mala? E’ cambiata molto; e a farla cambiare è stata la droga. Per esempio, una volta la mia categoria usava le armi in via eccezionale, quando era proprio necessario, ed aveva un grande rispetto per chi operava sul fronte opposto: voglio dire i rappresentanti delle forze dell’ordine. Oggi, pur di farla franca, ma anche per molto meno, si tirano fuori le pistole, se non i mitra. Io appartengo alla vecchia guardia e non voglio fare più passi sbagliati. E come me ce ne sono altri. Le nuove leve sono molto organizzate, dispongono di mezzi moderni e di auto veloci”. Arrivò a destinazione, bussò, mi salutò sventolando la mano destra e scomparve al di là della porta. Oggi ripenso ai sequestri di persona, alle stragi, come quella del Lorenteggio, con quattro morti ammazzati.







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