Pagine

Print Friendly and PDF

mercoledì 31 luglio 2019

Le parole nelle ricevitorie del lotto


 
CHE FATICA CAPIRE CHI DICE

TRAPANO INVECE DI RAPIDO


Una donna anziana viaggiò in un “vacone” (scompartimento) con una ragazzina che “ascunneve” (nascondeva) un cagnolino nella “borzetta” (la borsa).


Una signora sognava ogni notte di fare l’amore con un partner diverso: l’idraulico o l’elettricista.



Franco Presicci

Una signora anziana, sdogata, chiusa in un vestito nero, sciarpa bianca attorno al collo, capelli gonfi mascherati dalla tintura, si presentò al botteghino del lotto per giocare un terno: era andata a Milano col “trapano” e durante il percorso aveva notato una ragazza che, seduta nel “vacone” accanto a lei teneva “ascunnute”, cioè nascosto, un cagnolino nella “borzetta”. “Ma il trapano non è un mezzo di trasporto”, osservò spiritosamente il ricevitore. “No, e da quànne? Lei lo aveva “pegghiate” (preso), una settimana prima pagando salato il viaggio e lui se ne usciva con quella novità? “Carta canda”, esclamò, tirando fuori dal portafoglio il biglietto.
Il treno
Equivoco risolto: il trapano era il rapido, il vacone lo scompartimento, la borzetta la borsa. L’addetto al botteghino, sconfitto, eseguì, sciorinando un sorriso. Nelle ricevitorie le parole vengono a volte violentate, storpiate, stravolte, massacrate da persone che con la nostra lingua hanno poca dimestichezza, pur essendo nate e cresciute in questo Paese bello come il sole. Gli esempi conservati nella mia memoria non sono pochi. Li ho raccolti tanti anni fa, quando, ormai in pensione, sul quotidiano “Il Giorno”, in una pagina che usciva la domenica scrivevo di lotto dal punto di vista demologico: i comportamenti dei giocatori, la superstizione, le situazioni che ispirano le puntate, gli assistiti (quelli che, dicendosi in possesso di una dote speciale proveniente da chissà quale spirito, danno i numeri magari in cambio di uno o due euro, assicurando che usciranno e poi giustificano la delusione con una scusa già pronta). Un pomeriggio un tale, alto, sottile, pelo bianco un po’ scarmigliato, passo marziale, camicia bianca e pantaloni color caki, sui settanta, tenendo la testa quasi infilata nello sportello, con atteggiamento circospetto, tono da saputo e voce bassa per non farsi sentire dalle due persone che poco distanti stavano guardando il tabellone che proponeva combinazioni presumibilmente fortunate, chiese che gli venisse smorfiata un’esperienza onirica: “Il nostro duce andette dentro al Belgio e ai suoi trocutori (interlocutori n.d.a.) belgesi facette un comizio che il posto era beddefatte (bello: n.d.a.). 
Palazzo del vecchio Giorno
Quelli là tutti ‘condendi’ gli dicettero che, se lui gli mandava un po’ di taliani, li facevano fatiare. Sua maestà li uardò mbacce e facette: ‘Ma acquà non ci stanno fenestre e io no manno nesciune’”. “Perché in Belgio costruiscono i palazzi senza finestre?”, gli fu chiesto maliziosamente. E quello: “Allora nu canosci che dentro a le miniere le fenestre non ce stanno”. “Tu però non hai detto che Mussolini si trovava nei pressi di una miniera”. L’impiegato smorfiò la narrazione e giocò un terno sulla ruota di Bari, secondo la richiesta ricevuta. E aggiunse che lui, il cliente, era un po’ in ritardo, visto che di tempo ne era trascorso dalla caduta del regime. “Sì, però je ‘stu fatte me lo so sunnate stanotte e ho subbete avenute quà”. Anche se, proseguì, lo aveva studiato a scuola, dove aveva avuto una maestra che “c’imparava uno de tutto”. Per curiosità, e con cortesia, lo sportellista gli domandò il luogo di nascita e il mestiere che svolgeva. Rispose che era da quarant’anni a Milano e confezionava orecchiette in un ristorante. Per gli altri due non veniva dalla luna e quando uscì lo delinearono con poche, ma efficaci pennellate: nelle sue rimpatriate estive, nonostante la frana del suo linguaggio, manifestava molta supponenza, come se con il trasloco in Lombardia avesse conquistato una promozione sociale.
Ospedale
Io in una stanzetta accanto ero in attesa che la ricevitoria si svuotasse per avere informazioni su quel mondo ritratto da Luciano De Crescenzo, Eduardo De Filippo, Matilde Serao, la giornalista-scrittrice, moglie di Edoardo Scarfoglio (del matrimonio, celebrato nel 1885, fece la cronaca Gabriele d’Annunzio con uno pseudonimo su “La Tribuna”), che nel suo “Ventre di Napoli” aveva tra l’altro affermato: “Tutti i napoletani che non sanno leggere, vecchi, bimbi, donne, specialmente le donne, conoscono la ‘smorfia’, ossia la ‘chiave dei sogni’, a memoria…”.
Il maiale
In un’altra ricevitoria trovai un ottantenne vesuviano, noto in tutto il quartiere per la sua capacità di snocciolare i numeri senza alcuna esitazione: Il morto? Fa 47; se parla, 48. Il maiale fa 4. E proprio in quei giorni, da mesi, il 4 infiammava i botteghini, per il suo resistente ritardo sulla ruota di Genova. E moltissimi patiti si stavano dissanguando: si vociferava di un barbone così accanito da aver già dissipato un paio di milioni di lire, al pari di una contessa da tempo sedotta dal gioco e di altri, che inveivano contro l’incolpevole suino, che nella smorfia non gode di grande simpatia. Sull’argomento il vegliardo, da me sollecitato, mi tenne una lezione; e saltando di palo in frasca sostenne di essersi imbattuto addirittura nel diavolo. Lo aveva intravisto nei panni di un gentiluomo in smoking a una festa di aristocratici disastrati nel fisico. “Si fece verso di me e mi dette appuntamento per la notte successiva in una zona isolata”. La mattina dopo, pur sapendo di aver vissuto un’esperienza onirica, a quell’appuntamento si presentò davvero “ed eccomi di fronte a Mefistofele in persona, nella realtà. ‘Fino a ieri hai sempre vinto -proclamò il demomnio - ma hai commesso l’imprudenza di giocare assieme ad un individuo negativo, che ti ha contaminato. Se continuerai a puntare, anche da solo, sprecherai il denaro’”. “Non si offenda – replicai - ma questa è fantasia o uno scherzo?”. “Fa male a pensarla così. Lei può anche non credermi, ma è tutto vero. Tanto che io al lotto vengo ormai solo per fare due chiacchiere con il titolare. E non suggerisco più i numeri agli appassionati, perché, visto che sono diventato negativo anch’io, non farei loro un favore. Quindi il mio patrimonio, cioè la padronanza della Smorfia, è ora soltanto un fatto culturale”. 
Diavulicchie
Detto questo, trasse dal taschino un peperoncino rosso e lo baciò. “Lo sa che per Spinoza la superstizione è la negazione della ragione e della libertà di pensiero, che ci sono stati concessi da Dio?”. Spinoza? E chi è? Era un filosofo. Brontolò: “Brutta razza!” e se ne andò, sventolando la mano destra. Ritorno al lessico claudicante pescato in un altro banco lotto, scomparso da anni. Ero lì a fare domande a tre o quattro signori in fila, quando entrò un ometto con il naso adunco, i capelli ricci, lo sguardo fulminante, alto un metro e 60. “Mi ha vvenute in sogno la mia giumenta”, confidò al ‘postiere (per donna Matilde chi sta al di là del vetro), ca se n’ha sciute e mi ha scantato: con una faccia da masciare (fattucchiera) mi ha detto: ‘Ti stai addicriando con quella zurlera, ma hai achiuso: sta pe vvenè a ‘pegghiarte’ a ‘senza nase’”. Qualcuno spiegò che il cliente aveva sognato la moglie defunta che l’aveva spaventato, avvertendolo che aveva finito di divertirsi con l’amante attaccabrighe, perché la morte l’aspettava dietro l’angolo. “Questo mestiere è interessante e anche divertente – mi commentò il ricevitore - e queste persone sono di una simpatia unica. Fortunatamente però la grande quantità dei frequentatori del gioco sono insegnanti, impiegati, operai, pensionati acculturati e non dicono ‘tramote’ per tumore, ‘furnace’ per bocca, ‘chiavute per indicare un parente che ha avuto un’eredità”.
Granchi
Una cliente ogni notte faceva l’amore in sogno con un ‘partner’ diverso: l’idraulico o il giovane che le portava la spesa a casa o il macellaio…, “ma facevo fatica a interpretarla. Un’altra mi elencò alcune parole per me ermetiche: ‘u caure ca m’ha muzzecate”, ‘spetale’, ‘putèje’, ‘putepumme’ (mi sono rimaste in mente). Un mio amico, nato dalle sue parti, aggiunse: ‘e ‘u putechine no?’, traducendo i primi quattro termini come granchio che mi ha morsicato, ospedale, bottega, rumore di un corpo che cade; e quello usato da lui come botteghino del lotto. La smorfia mi suggerì i numeri; il cliente ne giocò tre e la vuol sapere tutta? Vinse due milioni di lire”. Ho imparato tante cose facendo il giro delle ricevitorie delle varie zone della città e anche di alcuni paesi al nord e al sud. Oltre al vecchietto partenopeo che a suo dire si era intrattenuto con belzebù ho visto parecchi giocatori spargere sale contro la jettatura in ogni angolo del locale, mandando in bestia chi il mattino dopo doveva rimuoverlo… 
Rose siamesi
Succede anche – parola di ricevitore - di avere a che fare con chi ha sentito l’ululato del lupo mannaro, appostato nell’androne di uno stabile, fatto considerato portatore di fortuna (nel “Satiricon” un soldato si trasformò in licantropo, e nessuno potette correre al botteghino, perché a quell’epoca non ce n’erano). Al lotto convergono tutti gli episodi quotidiani soprattutto se straordinari. Un mio amico, per esempio, ha giocato due rose “siamesi” fiorite nel mio giardino. Il botteghino registra anche le maledizioni. Quando tuonano meglio giocarle al lotto che preoccuparsi. Come per il malocchio, altro spauracchio che, come ho accennato, si aggira in questi pressi. Catullo consigliò a Lesbia di non rivelare il numero dei baci che lui le mandava, per evitare che i maldisposti accendessero i loro sguardi biechi, ai quali viene attribuito un potere malefico anche dai tedeschi: “Lo sguardo uccide i serpenti, spaventa i lupi…”, secondo una credenza popolare molto antica. Un novantenne ricordava sedute spiritiche, di cui gli avevano parlato i genitori. “I morti devono essere lasciati in pace”, esclamava. Una sua parente aveva partecipato all’invocazione di un’anima addirittura in casa di un sacerdote: il tavolino, a tre gambe, si alzò e atterrando se ne spezzò una. Per me era un segnale. Mi sono sempre rifiutato di giocare i numeri al lotto”. Ma queste sono altre storie. Le rimandiamo a una prossima volta. Se il direttore gradisce.



Nessun commento:

Posta un commento