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mercoledì 16 ottobre 2019

Bella e simpatica la cerbiatta della Valsoldese

Veronica vince un premio



E’ LA CAPITANA DELLA SQUADRA
LA GOLEADOR VERONICA SPANO’ 





E’ nata a Carlazzo ed è una speranza
del calcio femminile. A un torneo in
Svizzera è stata riconosciuta migliore
giocatrice. A Morbegno le è stato dato
il Premio come capocannoniera. Il suo
cuore batte per Marcello Pinchetti, un
gigante buono che gioca come portiere
in una formazione maschile.








Franco Presicci

Quando da bambina le regalavano una palla la prendeva a calci. E se c’era da qualche parte una porta, magari quella del garage, la lanciava dentro. Segno di una vocazione? Qualcuno ci aveva pensato. Qualche altro si era spinto più in là: “Questa bambina, bah, sento che diventerà una calciatrice”. Un’ipotesi che ad altri sembrava azzardata. Fattasi più grande, l’idea pareva essersi volatilizzata, perché nella zona in cui viveva, Carlazzo (un comune in provincia di Como che a suo tempo appartenne a quella di Milano), di squadre femminili non ce n’erano. E si amareggiava perché il fratello, Alessio, tre anni più grande, giocava, il papà, Stefano, faceva l’allenatore, e lei era costretta ad osservare.

Veronica durante l'intervista
Ma le donne di talento sono tenaci e volitive e Veronica si rifaceva allenandosi nella formazione del fratello, la Piano e Valli, del suo paese. Eccola, davanti a me a Laino, un altro gioiello del Comasco, Veronica, 23 anni, laurea breve in economia e commercio e prossima alla magistrale, con il suo fidanzato Marcello Pinchetti, impegnato nella cura dei giardini in questa località, Laino, splendida, a 700 metri d’altezza, affacciata sulle montagne. E’ bella, intelligente, spiritosa, un sorriso dolce e aperto. Risponde alle domande con prontezza, circostanziando, senza trascurare dettagli, senza ombra di enfasi. “Mio fratello poi ha cambiato squadra e non ho potuto più esercitarmi con lui; e mi sono iscritta alla pallavolo di Porlezza (venti minuti da Laino, baciata dal lago di Lugano e presente in “Piccolo mondo antico” di Fogazzaro: n.d.a.), dove ho giocato tre anni; e nel pomeriggio a calcio in un terreno sopra casa mia”. Era il calcio la sua passione. Avevano ragione i suoi profeti. Tra una pedata e all’altra pensava alla formazione di una squadra femminile e ha cominciato a chiedere se a qualcuna andasse di darle una mano a crearla. 

Battaglia sotto la porta
La squadra



















Poteva una come lei non riuscire a realizzare il progetto? Hanno anche trovato una società pronta ad appoggiarle, sempre a Porlezza, un paese-bomboniera, tranquillo, raccolto come Laino, con un lungolago meraviglioso.Nome della squadra, ovviamente: Porlezzese. “L’inizio non è stato facile, perché il gruppo era nuovo, l’esperienza pure, tante ragazze non avevano mai dato un calcio a un pallone, quindi l’impatto con il campionato non è stato positivo: siamo arrivate ultime”. Niente paura: dalle sconfitte si rinasce. E dopo un po’ di tempo alle ragazze di Carlazzo se ne sono aggiunte altre, il gruppo si è consolidato e le speranze anche.
Un allenamento
Veronica gioca da mediano, è la capitana della squadra.  E’ veloce come il giaguaro e vola come un colibrì per intercettare un pallone aereo. Non lo dice lei, non lo direbbe, ma chi l’ha applaudita in campo. Lei ha entusiasmo, passione, energia, ma non si vanta. Le hanno affibbiato un soprannome? “No, sono semplicemente la “cap”. E come cap, capitana, intervengo anche per sostenere una compagna in un momento critico dovuto a un errore…”. Con il tempo la formazione si è fortificata. “Per due anni abbiamo vinto il campionato. Abbiamo cambiato società: dalla Porlezzese siamo passate alla Valsoldese”. Hanno avuto le loro difficoltà e le hanno superate. Quali? “A volte ci sono capitati allenatori che prendevano il ruolo con disinvoltura: non con impegno, ma per passatempo”.
Hanno risolto anche questo problema. Si allenano due giorni alla settimana. Quando sono sull’erba per allenarsi, intente a sgambare, a provare equilibrismi con la palla, a trasformare un rigore, a costruire una barriera, sono gioiose. Durante le partite si scatenano: disegnano geometrie virtuose, violano le difese, pronte a rispondere alle insidie, a trovare varchi nelle muraglie, a compiere fraseggi ritmici. Danno spettacolo, animando gli spalti. Veronica, ripeto scherzando, non ha un nomignolo? “No, non ce l’ho”. Mi balugina un’idea: è una cerbiatta. Ha messo a segno qualche gol importante, dice lei. Ma chi l’ha vissuto lo definisce sensazionale. 

Una partita
Aggiunge che l’importanza di un gol dipende dall’avversario che hai di fronte, dalla compagine contro la quale giochi. Sminuisce, non ama vantarsi, ma per quei suoi gol i tifosi si sono alzati urlando, agitando le braccia. Le accolgono con esultanza, queste ragazze, ovunque scendano in campo: a Mornasco, a Cermenate, a Ponte Chiasso, una porta per il territorio elvetico. Sono note e apprezzate in tutto il Comasco e oltre. Naturalmente anche il nome della cerbiatta, al secolo Veronica, è esaltato. La cerbiatta della Valsoldese. Se sul terreno di gioco le sfugge qualche occasione, non intercetta una traiettoria, uno scatto, è una novità che stupisce. Glielo faccio osservare e mi risponde con un sorriso, che nasconde una domanda: “Chi glielo ha detto?”. Ma ecco un’altra chicca spuntare dal suo archivio mnemonico: Durante una partita è mancato il portiere e lei ha ricoperto quel ruolo. Beh, ha fatto una parata in “bagher”, “termine usato nella pallavolo”, m’informa. Insomma in campo Veronica è un’acrobata, svirgola, neutralizza gli attacchi, respinge, giocherella, inventa il gioco, duella. E’ un bolide. Non per niente ha vinto diversi premi: per due anni di seguito è stata riconosciuta migliore giocatrice a un torneo in Svizzera (a Rita San Vitale); poi a Origgio in un altro torneo e a un altro ancora, a Morbegno, le è stato assegnato il Premio come capocannoniere. 

Veronica e Marcello
E l’amore com’è spuntato? Tra una cannonata e l’altra? “Da cinque anni, con l’Associazione ‘Amici di ‘Gottro’ organizzo un torneo estivo di calcio a sei: stavo preparando la mia squadra e avevamo bisogno di un portiere. Ho incaricato un mio amico di cercarne uno e mi sono trovato di fronte Marcello”, un gigante buono, che gioca con slancio e capacità e lavora con lena e bravura. Pare non sia stato un colpo di fulmine, anche se lei ha tutte le doti per far crollare un uomo a prima vista. C’è voluto un po’ e alla fine sul campo da gioco il fiore è spuntato. Adesso sono inseparabili: il portiere e la capitana. Sull’argomento sia lei sia lui rispondono con monosillabi; e chi deve scrivere queste righe capisce che l’indagine deve limitarsi al calcio. Da aggiungere che questa ragazza che divide le sue giornate fra testi di economia e “dribbling”, è molto simpatica, decisa, concreta, gentile, fissa l’interlocutore negli occhi come fanno le persone schiette. No faccio fatica a ricevere le risposte che mi servono. 

Veronica a sinistra
La sua biografia è polposa. Marcello le sta di fianco e maneggia il telefonino. Ma ascolta senza darlo a vedere. Non interviene. Quando la parola spetta a lui depone l’aggeggio sul tavolo e dice: “Gioco, faccio il portiere”. Timido non è. E’ essenziale, succoso, ama la battuta, parla sottovoce. Veronica lo guarda sorridendo. Il gigante è paziente, cordiale, di poche parole. Non gli piace parlare di sé. D’altra parte la regina dell’intervista è Veronica. Ad agganciare il pallone che arriva come un razzo e a impedirgli di violare la rete è un asso. Me lo hanno riferito: lui non spiattellerebbe mai i suoi meriti. Mentre la salutavo pensavo al giudizio che pare abbia espresso nel lontano 1909 un giocatore di successo, mediano della Pro Vercelli, squadra all’epoca applaudita dappertutto: “Il calcio non è un gioco per signorine”. Un gioco per soli maschi? Soltanto perché in quel periodo le donne non trovavano spazio e forse non avevano neppure la voglia di prendere a pedate la sfera (le prime due squadre emersero nel ’46 a Trieste e non mostrarono tanta stoffa). Oggi quel calciatore o chi per lui si rimangerebbe la parola assistendo dalla tribuna alle trame geniali che le “signorine” tessono sul campo, dando vita a competizioni emozionanti. A dimostrarlo, la recente partita Italia-Bosnia, 2 a 0 a favore della prima. Una partita come quella ti esalta, ti emoziona. Impazzisci dalla gioia quando il pallone irrompe nella rete, spiazzando il portiere. Non spetta a chi scrive il compito del profeta. Ma un giorno Veronica Spanò assesterà le sue staffilate in una squadra nazionale, magari con la sua collega che i tifosi chiamano gazzella. O con qualche altra.




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