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mercoledì 30 ottobre 2019

Viaggiare su rotaie è una gioia



IL FASCINO DEL TRENO ISPIRA

POETI, SCRITTORI E PITTORI

Foto Gabriele Lepore


La prima strada ferrata in Italia la Napoli-Portici.

Nel capoluogo lombardo già si susseguivano i progetti e nacque la Milano-Monza. 

La locomotiva a vapore
e il viaggio, organizzato dall’Aisaf, di “Un treno chiamato jazz” da Bari a
Martina Franca, nel 2015.







Franco Presicci
Ogni occasione per andare alla stazione ferroviaria per me è buona: amo vedere i convogli che arrivano, partono, la gente in attesa infastidita da un ritardo eccessivo, i bambini seduti sui bagagli che mangiano il panino contemplando i binari; chi proviene per la prima volta dal Sud ed è disorientato, perché al suo paese lo scalo non c’è o è piccolo quanto un plastico da modellismo. La stazione ha un suo fascino, suscita emozioni con ogni tipo di treno, vecchio o moderno. Mi attirava la locomotiva a vapore quando circolava e oggi, senza tradirla, avendo sempre nelle mie orecchie il suo fischio, quella con il muso affusolato come la carlinga di un aereo. La motrice che sbuffava è legata alla mia adolescenza: la prendevo per raggiungere da Taranto Martina, a far visita a uno zio che aveva la campagna sul Chiangaro. Gabriele Lepore, un giovane appassionato di ferrovie e trasporti, collaboratore per hobby di alcune testate del settore con articoli, video e foto (qualcuna l’ha generosamente concessa a noi), mi informa di un esemplare monumentato nella stazione Bari-Sud-Est, forse la più antica locomotiva a vapore originale preservata in Italia, data di nascita 1901, di fabbricazione belga, nome St. Leonard numero 6; e mi scatta la voglia di correre a vederla. 

L'orchestra del treno chiamato jazz a Martina F. (foto G.Lepore)
E’ stata in esercizio fino agli anni 60. Dalle mie parti la chiamavano “‘a Ciucculatère”, dal bricco che fischia mentre il caffè brontola. Ricordo l’eccezionale manifestazione, “Un treno chiamato jazz”, tragitto da Bari a Martina Franca, del primo agosto 2015 (seconda edizione 19 settembre), con orchestre che suonavano nei vagoni e una folla che aspettava sul marciapiede. A trainare il convoglio una motrice d’epoca, ma io mi aspettavo “’a Ciucculatère”. Comunque un grande avvenimento. Il treno è sogno. Non per niente tante persone appartenenti alle più diverse professioni creano plastici semplici o complicati, a uno o a più piani di circolazione. Mi hanno riferito di personaggi di spicco che trascorrono le ore libere a manovrare il treno in miniatura che si sono costruiti da sé con passione e competenza, dotandolo di uno scenario spettacolare. Incanta vedere il trenino attraversare ponti, gallerie, diramazioni, rispettando il linguaggio dei segnali. Certi modellisti riescono a riprodurre un’epoca con dovizia di particolari, con un’armonia di tanti elementi, compresi i sistemi di elettrificazione.

Vecchia locomotiva  St. Leonard numero 6 (foto G. Lepore)
Collezionismo a parte, il viaggio in treno è quasi una magia. Tra l’altro offre occasioni d’incontri, possibilità di comunicare. Ci si imbatte in chi ha voglia di confessarsi, di raccontare una delusione cocente, il naufragio di un amore; e chi non ha voglia di attaccare bottone, preferendo guardare il paesaggio dal finestrino o leggere il giornale o un libro di Umberto Eco; e chi se ne sta isolato con gli occhi chiusi, le braccia conserte, e tace magari ascoltando. Comunque, viaggiare in treno è entusiasmante. Nonostante le tante ore che occorrono per approdare a Taranto da Milano, scelgo il treno. Molti anni fa, nel capoluogo lombardo, appena messo piede in quella che si chiamava galleria del Transatlantico (perché aveva al centro una monumentale sagoma della Michelangelo, una delle regine del mare della Società “Italia” di navigazione”), provavo la gioia dell’inizio di un’avventura. Viaggiavo e viaggio di giorno per il piacere di vedere le cascine, le vie di campagna, le auto ferme al passaggio a livello, i campi coltivati, le case (qualcuna purtroppo diroccata), i trattori in movimento, gli alberi che scorrono a grande velocità. E poi il mare, vele, trabucchi, scafi, le onde che s’infrangono sulle rocce spumeggiando e si placano scivolando sulla rena. La velocità m’inebria. Scuote i ricordi. Ecco le prime corse in una carrozza di terza classe (soprannominata carro bestiame) tirata dalla “Ciucculatere” dalla bimare alla città in cui Guido Piovene ammirava il più bel barocco pugliese. 

Piattaforma girevole
Giunta a destinazione, scaricati i viaggiatori, il gigante di colore nero si sistemava sulla piattaforma girevole per cambiare il senso di marcia. Da allora sono passati circa 75 anni. Quella piattaforma è semisepolta sotto ciuffi d’erba, consentendo la vista di pezzi di lamiera arrugginita. Prima o poi la restaureranno – si dice – concedendola allo sguardo di tutti come testimonianza storica. La storia appunto. La prima strada ferrata in Italia, come molti sanno, fu la Napoli-Portici, doppio binario, 7,25 chilometri, battezzata il 26 settembre del 1839 e entrata in servizio il 4 ottobre (regnava Ferdinando II). L’avvenimento fece esultare tutta la città e fu segnato da un lieto evento: la figlia del capo dipartimento al ministero dell’Interno, Felice Cerillo, durante il viaggio di ritorno fu colta dai dolori del parto. Una curiosità: il re aveva vietato che sulle sue ferrovie si praticassero “pertusi”, cioè gallerie, nel timore che il buio facilitasse attività immorali. La rivoluzione nei trasporti non poteva prendere di sorpresa Milano, dove già da tempo si susseguivano le idee – informava Francesco Ogliari, docente universitario, autore di centinaia di volumi sull’argomento, già presidente del Museo della Scienza e della Tecnica di Milano e creatore del Museo europeo dei trasporti all’aria aperta a Ranco. 

Un nuovo treno (foto di G. Lepore)
Nel 1838 la Holzhmmer di Bolzano ottenne la concessione per la “costruzione di una strada a rotaie di ferro dal capoluogo lombardo a Monza; nel ’39 il privilegio implicò una ditta viennese e il tratto ferroviario, lungo circa 13 chilometri a binario unico, fu terminato in pochi mesi. A tirare i vagoni la locomotiva a vapore “Lombardia”. Il viaggio inaugurale partì da Monza all’una del 17 agosto del 1840, con a bordo tra gli altri l’arciduca Ranieri, vicerè del Lombardo-Veneto, la consorte, i figli, il governatore generale, l’arcivescovo e la banda militare. Il convoglio, 40 chilometri all’ora, giunse 19 minuti dopo alla stazione di testa di Porta Nuova, a un passo dal Ponte delle Gabelle, applaudito freneticamente da una folla riunitasi per la grande novità. Poi ecco un secondo treno con la locomotiva “Milano”, e altra festa, altro delirio.

Ogliari nel suo studio milanese
Per gli esperti, e quindi per il professor Francesco Ogliari, uomo sensibile e generoso, la prima ferrovia davvero italiana era quella lombarda, studiata e disegnata dall’ingegnere meneghino Giulio Sarti, da tutti definito “un genio che volava all’avvenire”, consapevole dei notevoli passi, “ricchezza e prosperità commerciale” che il nuovo mezzo di comunicazione avrebbe consentito.

Il treno, principale innovazione del XIX secolo, accorciava le distanze, mutava la percezione del tempo e dello spazio. E stregava mentre attraversava sibilando la città con il suo carico umano. La prima stazione di Milano, a due piani, concepita in stile neoclassico, splendida facciata, realizzata su idea dello stesso Sarti, proprio quella di Porta Nuova, tra i viali Melchiorre Gioia e Monte Grappa. Fin dal suo annuncio accese polemiche a non finire, ma anche plausi e incoraggiamenti. I responsabili dell’impresa, certi dei loro progetti, non se ne curarono. 

Littorina

Il successo era inarrestabile. Nel 1841 vennero predisposti degli “omnibus” a cavalli per collegare il centro con Porta Nuova. I cittadini, molti dei quali andavano allo scalo per vedere il traffico dei treni e il loro uso anche qui della piattaforma girevole, apprezzavano anche il servizio, ritenendolo efficiente. L’anno successivo le linee furono più che raddoppiate. Gli “omnibus” vennero duplicati quando entrò in funzione la Milano-Treviglio.
A quel tempo Milano vantava 200 mila abitanti, di cui 1270 si servivano ogni giorno del treno. A dire il vero il viaggio non era confortevole, anche per i sedili poco imbottiti. In seconda classe si stava in piedi e all’aperto. Per prevenire gli inconvenienti, sempre possibili durante il tragitto, prima dell’orario programmato le motrici facevano qualche piccolo giro di prova: una volta accertato che la macchina era in buona salute, veniva collegata con le carrozze. I milanesi, come accennato, erano affascinati dal treno. Si eccitavano quando vedevano sbucare le locomotive e le loro tre carrozze., Era uno spettacolo straordinario. Sino ad allora in città transitavano soltanto le diligenze, quasi tipo Far West, alcune delle quali adibite a servizio postale. Un medico, Giovanni Raiberti, mise in versi l’ardore della gente: “su la strada a spasseggià per vedè la gran Macchina a passà…”. 

Il treno corre verso Crispiano
Ancora oggi sono tanti quelli che all’aereo preferiscono il treno, che è anche libertà. Scrittori e poeti lo hanno cantato, il treno. “I treni sognano nella rugiada in fondo alle stazioni/ Sognano ore poi stridono e s’incamminano… Amo i treni bagnati che passano nei campi/ questi lunghi convogli di merci che frusciano…Oh, vagoni spenti sonanti di respiri! Palpito di lumi velati d’azzurro… Il treno che c’incrocia e ci dice che soffre…”. Così Henry Bataille.  Eugenio Montale: “Addii, fischi nel buio, colpi di tosse/ e sportelli abbassati. E’ l’ora. Forse/ gli automi hanno ragione. Come appaiono/ dai corridoi mutati…”. E Alfredo Panzini, nel suo "Viaggio di un povero letterato" del 1919: "Approfittiamo allora del treno. Questo gran mezzo di locomozione può fornire notevoli illusioni e benefici". Alla domanda sul luogo da lui prediletto per scrivere lo scrittore Alexander Chee ha risposto: “Il treno”.
In treno si corre, una volta si ballava, c’erano e ci sono tante distrazioni (l’incaricato che ti chiede di mostrare il biglietto, il bibitaro che ti propone il caffè o l’aranciata, il viaggiatore che ti chiede che mestiere fai o dove sei diretto…). Sono soltanto momenti. Il treno ha ispirato anche i pittori. E’ un tema ricorrente tra i futuristi. Il treno è un simbolo di progresso.



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